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23 settembre 2025

Gianrico Carofiglio: La disciplina di Penelope (Mondadori)

Gianrico Carofiglio: La disciplina di Penelope

Una figura di donna forte che sa indicarci la strada per superare i momenti difficili


Dei molti, buoni libri cui ci ha abituato Carofiglio, con la consueta competenza e professionalità, questo ha rappresentato per me una piacevole sorpresa. Dietro una apparente, semplice storia, emerge una figura di donna davvero fuori dal comune. 
Caduta in disgrazia dal ruolo che si intuisce importante nella polizia investigativa a causa di eccessi caratteriali solo immaginabili, Penelope sembra essersi inflitta una sorta di autopunizione isolandosi dal mondo e usando le persone (e gli uomini) solo in forma strumentale e casuale. Beve e fuma in quantità non eccessive ma dannose e fa uso di psicofarmaci. 
Rimane tuttavia aggrappata alla vita imponendosi un minimo di "disciplina" dando continuità ad un pò di allenamento fisico e di alimentazione decente. Dura con gli altri, fragile dentro. 
Poi avviene una novità. Il marito di una donna brutalmente uccisa, assolto per insufficienza di prove dal sospetto di essere l'assassino, chiede a lei, su suggerimento di un ex collega che ne conosce le doti, di aiutarlo a trovare il vero assassino per togliere quella macchia e i dubbi possibili. Soprattutto per la figlia, oggi piccola ma che domani, da grande, potrebbe porsi domande imbarazzanti. 
Qui, con tutte le incertezze, inizia una fase nuova della vita che Penelope si era imposta. Il libro, sta qui secondo me la sua vera efficacia, si muove d'ora in poi su due binari che finiscono per intrecciarsi. 
C'è, ovviamente, il lento ma continuo sviluppo dell'attività investigativa che Penelope percorre, non disdegnando di chiamare in causa i rapporti personali con gli ex colleghi che continuano a stimarla e ad aiutarla. Perfino il giornalista della nera che è stato amico molto apprezzato la spinge ad uscire dal suo torpore, come lo chiama: "Tu hai un talento che andrebbe usato, smettendo di pensare a quello che è accaduto". 
Penelope, pur con la consueta durezza di carattere anche con gli amici, inizia a riflettere sulla sua natura e sui suoi reali desideri. Si avvia così, in parallelo all'indagine, l'altra faccia di questo racconto: il lento ma progressivo recupero dell'autostima della donna al centro della narrazione. Molto efficace, quando avvia davvero l'indagine ("Di nuovo in pista, su una vera indagine... mi venne voglia di... cucinare") il ricordo della nonna Penelope: "mi ha insegnato a cucinare, a fare i giochi di prestigio e molte altre cose che ho sperperato... È morta quando avevo sedici anni, ma io ho continuato a parlare con lei per tantissimo tempo." 
Lascio al lettore attento gustare questo bellissimo passaggio dove sono molte le suggestioni che aiutano Penelope a ritrovarsi. Per concludersi infine con la riscoperta di un libro con una dedica della nonna che è una bellissima poesia di Anna Achmatova, molto in sintonia col momento di risveglio della nostra ex poliziotta. 
Ed è ancora nell'ambito della ritrovata fiducia in se stessa che l'autore ci fa regalare da Penelope un'altra perla: "In passato mi domandavano quali sono le doti essenziali di un buon investigatore. Rispondevo dicendo cose piuttosto ovvie: spirito di osservazione, capacità di ascoltare... Ma la qualità essenziale... è la consapevolezza del ruolo decisivo del caso, della fortuna... Il buon investigatore è qualcuno che cerca di moltiplicare le possibilità che accada qualcosa di casuale e fortunato". 
Si sente qui la professionalità e la cultura dello scrittore. E saranno proprio queste doti a permettere a Penelope di portare a buon fine la sua indagine semi clandestina. 
Tra l'altro non potrà prendersi nessun merito per il risultato cui conduce quella non semplice indagine. Ma non importa. Mentre è presa dai soliti esercizi fisici all'aria aperta ha un pensiero "Disciplina senza sottomissione: mi piacque molto, mi parve un'intuizione e, forse, un insegnamento. Un modo di essere al mondo... una possibile soluzione. Una scelta". 
Ancora una volta si chiude un libro di Carofiglio e non si vede l'ora che ne arrivi un altro.

Renato Campinoti


17 settembre 2025

William Saroyan: La commedia umana

William Saroyan: La commedia umana
 
Quando l'America era di tutti i popoli che l'abitavano

Mi è piaciuto molto questo piccolo, grande capolavoro di uno scrittore armeno, vissuto in America quando gli USA erano la patria di tutti quelli che l'abitavano. 
Come romanzo di formazione non ha niente da invidiare ai capolavori del genere, come Siddharta di Herman Hesse o Il Giovane Holden di Salinger. Qui la presa d'atto della realtà da parte del giovane Homer è più impegnativa degli altri giovani, meno fantastica e più legata ai bisogni materiali della famiglia, con la perdita del padre e l'invio al fronte del fratello maggiore Marcus. 
Inoltre i personaggi che ruotano intorno al giovane postino-telegrafista, sia il fratellino più piccolo Ulysses che la più grande, la sorella Bess, fanno parte integrante della crescita di Homer che di giorno frequenta il liceo e di sera, impiegato alla sede locale delle poste (la cittadina è Ithaca, nome quasi evocativo!), fila veloce a consegnare telegrammi e, correndo in bicicletta, si avvia a diventare adulto. 
Ma le analogie con altri testi finiscono qui. L'America e il racconto che ce ne fa questo scrittore di origini armene è al tempo stesso più amara e più dolce di quella degli scrittori che ho richiamato. È più amara perché il racconto si svolge in uno dei periodo più difficili per i giovani americani, quello dell'entrata in guerra, dopo Pearl Harbor, da parte degli Stati Uniti nella seconda guerra mondiale. 
Le vicende si svolgono tra il 1943 e il 1944, gli anni più sanguinosi del conflitto. Nella apparente pacifica cittadina dove vivono Homer e la sua famiglia, si fa sempre più amaro l'eco delle giovani vittime al fronte. E toccherà proprio al giovane portalettere recapitare alle famiglie la triste notizia attraverso un burocratico telegramma dell'Amministrazione americana. 
È di una notevole efficacia la pagina che descrive la prima, bruttissima esperienza di Homer quando è costretto a consegnare uno di questi telegrammi alla mamma, che intanto sta festeggiando con figlia e amici il suo compleanno. "La madre venne alla porta: "È di Alan, ne sono certa"..."È il mio compleanno", disse. "Mio dio, sono vecchia. Devi augurarmi ogni bene, figliolo". Allungò a Homer un bicchiere di punch. "Le auguro..." cominciò Homer, ma non riuscì a proseguire. Appoggiò il bicchiere sul tavolo e se la diede a gambe...La madre aprì il telegramma e lo lesse...la figlia fissò sua madre, ancora sulla porta. Come impazzita, si precipitò a spegnere il giradischi. "Mamma" le urlò, e le corse incontro". 
Pur mantenendo sullo sfondo questa amarezza (che si ripresenterà più volte!), tuttavia il quadro che lo scrittore descrive dell'America, attraverso questa cittadina in quel periodo, è quello di una realtà orgogliosa di se stessa ("grazie ragazze americane", diranno i tre giovani soldati che si fanno semplicemente accompagnare al cinema da altrettante giovani ragazze del luogo) E il riferimento all'America e all'essere americani risuonerà più volte nel racconto. 
Molto netta l'affermazione di Marcus rivolto al suo amico soldato, orfano dalla nascita e che si preoccupa di questo. "Ho l'impressione di non avere gli stessi diritti che hanno gli altri- capisci un ragazzo battezzato all'orfanotrofio, non da sua madre e suo padre... che non sa qual è la sua patria d'origine. Alcuni dicono che sono mezzo spagnolo e mezzo francese, altri italiano e greco...". Marcus lo interrompe. "Tu sei americano...Non c'è da discutere. È chiaro per tutti". 
Già questa è una bella lezione per quelli, sempre più numerosi, che al giorno d'oggi, anche da quelle parti, tendono a dividersi su tali concetti. Ma ancora più forte è l'orgoglio che trapela dalle parole del giovane e intelligente capufficio di Homer quando, girando in auto con la fidanzata nei dintorni di Ithaca, dove molte famiglie fanno pic nic. "La musica era a tutto volume, le danze erano sfrenate. 'Americani, greci, serbi, polacchi, russi, messicani, armeni, tedeschi, neri, spagnoli, baschi, portoghesi, italiani, ebrei, francesi, inglesi, scozzesi, irlandesi: quante razze diverse. Incredibile!". 
E si capisce che per lui (come per molti americani in quel periodo) questa era la forza del nuovo mondo! Cosa che oggi, purtroppo, sembra essere diventata appannaggio di una minoranza! 
E l'America di questo bellissimo racconto è quella che ripone nella saldezza della famiglia e dei suoi affetti un altro punto di forza della Nazione destinata a diventare, proprio in quegli anni, la maggiore potenza mondiale. Una Nazione dove la solidarietà e il rispetto tra le generazioni sono all'ordine del giorno. 
Bellissimo da questo punto di vista il rapporto di Homer col vecchio telegrafista, Grogan, che non mancherà di farsi troppi bicchierini al vicino bar, ma che troverà nel ragazzo appena assunto un suo sostegno, come troverà in Spengler , il capufficio, la persona che lo lascerà venire in ufficio anche quando ha superato l'età e potrebbe andare in pensione, pur di fargli evitare la solitudine e il rischio di sentirsi inutile. 
Ci sarebbe da dire di un'altra bellissima figura, quella della signora Hicks, l'insegnante che ha di fatto accompagnato la crescita di molte generazioni della cittadina e che impartisce lezioni di morale a tutti "In uno stato democratico tutti sono uguali, ma è fondamentale che ciascuno si impegni per dare il meglio di sé, non importa come". 
Non mancheranno vicende che riporteranno amarezza nei nostri personaggi. Ma quando si chiude il libro si rimpiange che quel Paese che stava in quel periodo crescendo e che accoglieva nel suo seno i profughi dalla miseria, dalle discriminazioni razziali, e anche coloro che cercavano semplicemente una nuova opportunità, sia oggi tra quelli che pensano possibile ergere muri tra le Nazioni del mondo.

Renato Campinoti

11 settembre 2025

Eugenio Giani: Pietro Leopoldo, Il Granduca delle riforme

La prima cosa che viene da dire, a proposito di questo interessante e utile libro di Eugenio Giani, è che ce ne era veramente bisogno. Non che mancassero biografie del giovane Granduca di Toscana. Ma questa rende davvero giustizia alla lungimiranza e alla visione innovatrice di questo singolare monarca nato e vissuto nel secolo dei lumi. 
Talmente dettagliata e articolata nei singoli capitoli è la scansione del racconto della vita e delle opere di Pietro Leopoldo che non si può non essere grati allo scrittore per la lucidità e chiarezza dell'esposizione. E l'altra cosa che colpisce davvero nella lettura della bella biografia è la distanza siderale tra il periodo in cui si colloca la sua funzione di Granduca, quando ancora è l'epoca delle monarchie assolute, e il suo pensiero sul criterio di governare. 
Di questo Pietro Leopoldo parla diffusamente nel corso della biografia, ma che espone nella forma forse più esplicita quando, chiamato a sostituire il fratello Francesco, deceduto, nella funzione di imperatore dell'Impero Asburgico, e con cui aveva più volte preso le distanze sul modo di intendere la funzione del monarca, scrive un pò sconsolato alla sorella Maria Cristina: "Non è possibile governare senza la cooperazione e il consenso di coloro che debbono obbedire. Le misure violente possono incutere timore ma non persuadono nessuno, e prima o poi le conseguenze non possono che essere funeste per il sovrano". 
Pietro Leopoldo, ecco l'altro filone di riflessione, è soprattutto ricordato da un vasto pubblico per aver abolito, il 30 novembre del 1786 la pena di morte, primo monarca in assoluto, coerente del resto col pensiero sopra ricordato. E giustamente la Regione Toscana, su impulso proprio di Eugenio Giani, ne ha fatto la data della Festa regionale. Ma sarebbe sbagliato estrapolare la pur "rivoluzionaria" misura assunta da questo ancora giovane monarca, dall'opera complessiva portata avanti nei venticinque anni in cui ha potuto operare nel Granducato di Toscana. 
Colpisce, soprattutto a confronto delle discussioni in corso in questo periodo, la lungimiranza di Leopoldo nella abolizione dei tanti dazi e balzelli di cui erano gravate le attività agricole e la commercializzazione dei suoi prodotti, a cominciare dal pane, che avevano finito per ingessare una situazione che aveva come conseguenza una vera e propria fame diffusa nelle classi più povere della regione. Ma altrettanto si potrebbe dire delle profonde riforme avviate nell'ambito del codice penale del granducato, dimostrando su questo terreno di essere uno dei più coerenti seguaci degli illuministi del settecento come Beccaria (Dei delitti e delle pene) che lo porteranno all'abolizione della tortura, alla riforma della polizia, come soggetto di supporto e non solo di repressione verso i cittadini e, infine, all'abolizione della pena di morte. 
Senza ripercorrere tutta la pur ricca quantità di iniziative nei più svariati campi (dalla riforma agraria, alla medicina e ai vaccini, alle infrastrutture realizzate, all'abolizione dell'esercito, alla riforma della Chiesa toscana, al decoro urbano ec.) di cui questo speciale monarca si è occupato, non si può non fare riferimento alla politica sanitaria e a quella assistenziale da lui affrontate nell'ottica di far assumere allo stato il ruolo di garante della salute dei sudditi e di non lasciare alla sola bontà dei privati le esigenze di assistenza dei più sfortunati. 
Ma ci sono ancora un paio di cose che meritano davvero di essere ricordate e che il libro di Giani evidenzia con cura e attenzione. 
La prima questione è riferita al metodo di governo di questo particolare sovrano che è riassumibile con quanto ricorda di lui l'autore: "Non si governa restando nelle proprie stanze, bisogna rendersi conto di persona, bisogna 'conoscere per amministrare'. Bisogna arrivare nei territori più remoti, più marginali.... E i suoi viaggi saranno numerosi, frequenti, intensi, a volte estenuanti. Ma malgrado la fatica addosso, cercherà sempre di concludere la giornata raccogliendo le sue esperienze in pagine scritte...che un giorno diventeranno le 'Relazioni sul governo della Toscana'". 
Si tratta, come si capisce, di un criterio e di un metodo, quello di rendersi conto di persona e di stabilire rapporti diretti con i governati, che rientreranno anche in seguito tra gli aspetti più apprezzati dalla popolazione della regione. 
E per finire non si può non apprezzare e molto di questo sovrano la qualità delle persone chiamate a comporre una vera e propria squadra di governo, pescando tra le competenze più riconosciute e apprezzate negli ambienti sia universitari che scientifici di questo fecondo periodo. Ecco allora personaggi come Pompeo Neri, come Angelo Tavanti, come Giulio Rucellai, per non andare oltre, che adotteranno loro stessi il metodo di prima conoscere e poi decidere, favorendo le molte riforme che illustreranno il non breve regno di un Sovrano che, come ci ricorda Giani, farà tante cose, soprattutto innovative, pur vivendo poco più di quarant'anni, avendo però iniziato a governare all'età di diciassette anni con la mentalità di un uomo adulto, saggio e soprattutto innovatore.

Pietro Leopoldo, Il Granduca delle riforme - Giunti Editore

Renato Campinoti

27 agosto 2025

Giancarlo De Cataldo: Romanzo Criminale

Racconto potente: il crimine cresce, si sviluppa, muore e rinasce, nell'intreccio coi poteri

Credo si possa dire che quando un romanzo raggiunge vette di veridicità e complessità come questo, è difficile leggerlo con un solo punto di vista. Allora andiamo per gradi. 
Indubbiamente De Crescenzo, grandissimo scrittore e documentatissimo degli ambienti di cui ci parla, ha voluto narrare una vicenda complessa, impegnativa, realistica, forse ispirandosi, come rilevato da più parti, alla nascita e al declino della cosiddetta "Banda della Magliana". Vicenda di cui ci sono sicuramente molti echi, compreso quello, finale, del rapporto con settori della Chiesa romana. 
Interessante, da questo punto di vista, l'iniziale capacità e intenzione dei promotori principali della banda, a cominciare dal Libanese e dal Freddo, di andare oltre la pur diffusa malavita presente nella città eterna, per dare vita ad un sodalizio legato a doppio filo dall'interesse di ciascuno con quello di tutti. 
Fu così che, facendo fuori i capi tradizionali ma divisi, questo nuovo gruppo criminale, tramite appunto il Libanese, avvertì che "un senso di indomabile potenza, lo sollevò ad altezze stratosferiche... perché finalmente ora erano diventati un gruppo. Uniti. Invincibili." Saranno gli sviluppi successivi, a cominciare dal definitivo controllo di affari come quello della droga, di iniziali investimenti sia nel gioco d'azzardo che nelle speculazioni edilizie, che porteranno il gruppo stesso a contatto con altri poteri, fino a quelli delle ben più forti mafie e parti corrotte delle istituzioni e delle stesse forze dell'ordine. 
Con un ritmo incalzante e con una grande capacità di tenuta di tutti i fili su cui si sviluppa un racconto mai privo di colpi di scena e di immediate riprese di una nuova narrazione, De Crescenzo ci conduce al finale inevitabile rispetto al quale si apre un nuovo filone di riflessione. Sarà proprio il Commissario Scialoja, l'unico poliziotto davvero impegnato a distruggere la banda, che alla fine del lungo racconto, quando sembra aver ottenuto il suo scopo, a metterci in guardia: "...non esiste nessun Uomo del destino, tutto sta scritto nel sacro fiume della vita, che scorre, scorre inesorabile e si porta via per sempre il Bene e il Male". 
Ecco che allora un libro e un racconto come questo, trascendono le stesse specifiche vicende di cui ci parlano per avvertirci che questo esperimento, non riuscito, a questo pur bestiale e determinato gruppo criminale, è tuttavia destinato a riprodursi, costruendo volta a volta i rapporti con altri poteri criminali, con altri apparati corrotti, con altri settori politici interessati a impedire un vero rinnovamento. Per questo nessuno si illuda, sembra dirci l'autore. Verranno altri interessi, altri intrecci perversi tra "la strada e il palazzo" fintanto che non cambieranno le premesse e gli interessi in campo. 
A questo punto emerge un altro piano di lettura che l'autore non nasconde al lettore attento. Lo fa, ancora una volta, attraverso un presunto sfogo del suo poliziotto Scialoja, quando, scoraggiato dalla scoperte delle forti collusioni messe in piedi dalla banda, concede una spregiudicata intervista ad una giornalista. Siamo dopo il caso Moro e la sconfitta della politica di unità nazionale, siamo dopo i ripetuti attentati ai treni e la strage del 2 agosto alla stazione di Bologna. Parlando dei servizi segreti deviati, ad una domanda della giornalista sulle ragioni del lassismo e delle devianze dei servizi medesimi, Scialoja risponde: "Nelle grandi linee si tratta di politica. Mantenere l'ordine. Tenere la situazione sotto controllo. Affinché niente cambi. I bombaroli potrebbero essere utili. Li lasciano fare. Li usano. Li coccolano. Tutto dipende dall'anticomunismo. La leva iniziale è stata la paura dei rossi... Mi fa inorridire l'idea che per tenere alla larga gente come Amendola e Berlinguer si debba andare a letto con gli assassini. Proteggere i trafficanti di droga. Pagare i terroristi neonazisti. Lasciare mano libera alla mafia". 
C'è, in questo sfogo, il riflesso di una fase molto difficile e pericolosa del Paese che l'autore non ha voluto trascurare. Ma c'è anche, per come la vedo io, il riflesso di una tensione morale che De Crescenzo non vuole trascurare proprio mentre evidenzia vicende tanto gravi e tanto potenti al temo stesso, da parte della malavita romana che appare quasi invincibile, almeno in alcuni suoi personaggi di spicco. 
Non si può trascurare, infatti, nella lettura di un romanzo di questo genere e di una così forte inquadratura dei personaggi, l'attenzione che l'autore mette nello sminuire fino ai più bassi livelli la caratura morale e culturale degli stessi. Di particolare impatto l'orientamento politico dei maggiori personaggi, a cominciare da quello più "intelligente" di tutti, il Libanese, così fortemente attaccato all'ideologia fascista e così ammiratore di Mussolini da darne una deformata immagine buona neppure per i peggiori coatti delle tifoserie della capitale. 
Per non parlare dell'assoluta incapacità di questi personaggi di concepire uno sforzo finalizzato alla lettura di un qualche genere di libri. L'unica volta che uno di loro se ne era portato uno, "Il Nero andò a ripararsi sotto un cornicione. S'era portato un libro, che fingeva di leggere". 
Infine, a sottolineare il vuoto che si portavano dentro, ciò di cui ognuno di loro aveva più paura era la noia, tipica proprio di chi, come la principale protagonista femminile della banda, vive solo di fatti esteriori: "Essere costretta a guardarsi dentro: ecco l'unica cosa che veramente le faceva paura". Lo stesso accadeva agli altri, come il Bufalo che "temeva la noia più di ogni altra cosa almondo: la noia tu risucchia come un buco nero, per sfuggire alla noia si fanno cose che sul momento non ci ci pensi, poi a rimediare sono guai seri
Due ultime osservazioni per finire. Anzitutto la scansione delle vicende della banda in stretto collegamento con le vicende del periodo, a cominciare dal caso Moro, durante il quale comincia a farsi luce la possibilità di un rapporto di utilità della banda con i servizi segreti. Così come cresce il ruolo del gruppo nella misura, come ricordato, che si scatenano i poteri forti per rintuzzare il pericolo di un vero cambiamento nel governo del Paese. 
La seconda osservazione riguarda l'analogia che viene in mente, pur nella differenza di stile e di approccio, con certa letteratura americana, a cominciare da Ellroy e il suo L.A. Confidential. Dove tuttavia è prevalente l'aspetto della corruzione nella polizia. Ma io preferisco questo Romanzo criminale e le suggestioni che ancora, dopo molti anni dalla sua uscita, non ha finito di suscitare in ogni lettore che si appresti a gustarne tutte le sfaccettature.

Renato Campinoti

19 agosto 2025

Serena Dandini: Cronache dal Paradiso

Ho conosciuto Serena Dandini come bravissima conduttrice televisiva (quando ancora si potevano fare certi programmi sulla Rai) fin dai tempi della "TV delle Ragazze", ma non la conoscevo come scrittrice. Per questo mi è ancora di più piaciuto questo libro in cui sono racchiusi più registri e tutti di valore notevole.

Partiamo dalla fine. Parlando di Margaret Mee e della sua ossessiva ricerca del "Fiore della luna" in Brasile e nei pressi della foresta amazzonica, a proposito dell'azione di deforestazione che continua inesorabile, l'autrice ammonisce "Gli scienziati avvertono che siamo ormai giunti ad un punto di non ritorno, e se non facciamo qualcosa in tempi molto brevi per il nostro polmone verde il pianeta intero rischia di diventare un deserto di polvere e sassi, mettendo a rischio l'esistenza della specie umana".

Si tratta di una osservazione più che condivisibile (e necessaria assolutamente!) tanto da farci pensare a tutta la ricerca del "Paradiso" di cui ci parla andando a ritroso nel tempo quando la famiglia possedeva "una grande villa" accompagnata, tra l'altro, da "un giardino all'italiana in miniatura: il regno incontrastato della nonna Enrica... sfuggiva all'ordine costituito un fitto cespuglio di ortensie: era quello il mio paradiso".

Ecco, allora è questo finale a cui volevi portarci, insieme alle bellissime parole che accompagnano la sua ricerca del tempo dell'infanzia e della famiglia ancora unita in quella meravigliosa realtà? Certamente questa, della necessaria lotta per salvare il pianeta dagli interessi potenti e meschini che non si fermano neppure sull'orlo del precipizio, è una forte e apprezzabile chiave di lettura. Eppure, per quanto grandioso questo proposito, sarebbe riduttivo evidenziare questo come unico registro di un libro così pieno di spunti e di scoperte.

A proposito di Paradiso, di quello terrestre declamato dalla Bibbia, Serena ci fa notare, prendendo in prestito le parola di un'altra grande donna e scienziata, Margherita Hack: "La colpa di Eva è stata quella di voler conoscere, sperimentare, indagare con le proprie forze le leggi che regolano l'universo, la Terra, il proprio corpo, di rifiutare l'insegnamento calato dall'alto, in una parola Eva rappresenta la curiosità della scienza contro la passiva accettazione della fede".

Parole, queste, che sono anche la rappresentazione del cammino intrapreso, contro molti pregiudizi, dalla Hack medesima e che un bello sceneggiato della Rai (quando ancora si facevano queste cose in RAI!) ci ha raccontato. Inizia così la scoperta di un registro da sempre praticato dalla Dandini, quello del ruolo delle donne nella storia dell'umanità e delle innumerevoli battaglie che sono state necessarie per avviarne il riscatto.

Attenta sempre ad intrecciare questo tema con i ricordi familiari e con la ricerca del paradiso terrestre nella costruzione del personale angolo di verde, l'autrice ci fa conoscere personaggi femminili che meritano un'attenzione adeguata.: Tra queste di particolare rilievo la figura di Jeanne Baret che, pur di realizzare il sogno di imbarcarsi su una nave verso la Polinesia e l'isola di Mauritius e le scoperte floreali di quelle parti, si accompagna con uno scienziato più anziano di lei, si traveste da uomo per sfuggire al rigido divieto in voga tra i marinai e ne fa di tutti i colori per raggiungere il suo scopo. Alla fine, siamo nel 1778, sarà lei a salvare e donare all'Accademia francese delle Scienze un ricchissimo catalogo di piante, pesci e fiori finora sconosciuti. Ma il premio arriverà solo dopo una difficle traversia e più come "badante" dello scienziato, morto nel frattempo, che come "valorosa scienziata". "D'altronde", chiosa giustamente Dandini, "potrebbe mai una donna avere realmente aiutato il progresso? Anche oggi si fatica a riconoscere i meriti delle ragazze che intraprendono le materie scientifiche. Figuriamoci nel Settecento."

Sempre su questo registro della valorizzazione femminile, molto belle sono le pagine dedicate dall'autrice alle scrittrici, a cominciare dalla grandissima Agatha Christie, che diventerà la regina del giallo che conosciamo perché, partita arruolandosi come infermiera volontaria, incapace di assistere alla cura dei feriti e al sangue, si rifugerà nel dispensario, in cui finirà per conoscere le proprietà positive (ma anche quelle letali) degli unguenti ricavati dalle piante officinali di cui ha disponibilità. Da ciò la competenza sui vari tipi di veleno che saranno utilizzati dai suoi "assassini" e che riscuoteranno l'apprezzamento prima degli scienziati e poi del largo pubblico dei suoi lettori. Tutto ciò quando ancora le case editrici, di fonte a testi interessanti scritti da donne, vigeva "la norma di farle firmare con uno pseudonimo maschile per rassicurare il mercato, senza contare che è abbastanza inaudito che una donna si cimenti nel genere poliziesco".

La fortuna di Agatha è che il suo editore "si rivela particolarmente illuminato e lascia in copertina il vero nome dell'autrice". Naturalmente sarà poi la qualità dei suoi scritti e l'eccellente invenzione di un personaggio come Poirot a fare la sua fama di scrittrice. Più complicata fu la vicenda di altre grandi scrittrici. Basti dire che dovettero piegarsi, all'inizio, all'usanza del nome maschile scrittrici come Jane Austen e Charlotte Brontё, "e Mary Shelley riuscì a mettere il proprio nome in copertina solo dopo che la prima edizione del suo Frankenstein, firmato 'Anonimo', ebbe enorme successo".

Saranno ancora altre le donne di cui ci parla la bravissima autrice per riscattarne ruolo e memoria spesso deformate da una Storia scritta al maschile. Ricordo in particolare Caterina de' Medici come Regina di Francia la cui storia si intreccia, nella logica del libro in questione, con la scoperta di profumi e di piante particolari grazie all'arrivo alla sua corte di Renato Bianco, suo profumiere personale.

Dandini ci parlerà anche di Cristina di Svezia che "è una pioniera dei diritti delle donne pur non sopportando a parole le donne, una femminista inconsapevole... che mette all'indice la mancanza di educazione a cui il genere femminile è condannato da secoli".

Serena Dandini ci racconta anche la storia di un'altra femminista ante litteram, quale fu sicuramente Alexandra David-Néel, nata nel 1868 da un padre ugonotto, una madre fervente cattolica, vicino Parigi. "Quando non è intenta a far perdere le proprie tracce, divora la biblioteca del padre e comincia ad appassionarsi alla storia delle religioni, ma legge d'un fiato anche l'opera completa di Jules Verne e sviluppa un vero talento per la musica." Ne farà di strada questa ragazza, partita più volte per viaggi solitari, fino all'India, per diventare, a venticinque anni, premiére cantatrice all'Opera Company di Hanoi. Alexandra farà in tempo a dirigere il teatro nazionale di Tunisi, a sposarsi all'età di trentasette anni, a divorziare e a raggiungere, prima donna, Lhasa in Tibet, addirittura incontrare il Dalai Lama e scrivere un libro che ebbe un grandissimo successo: Viaggio di una parigina a Lhasa.

Ce ne sarebbero ancora di cose da dire su questo per me sconosciuto personaggio femminile, ma mi limito a ringraziare Serena Dandini anche per la conoscenza di tali personalità femminili. Infine, ultimo ma non per importanza, registro di questo bellissimo libro, riguarda quella che potremmo chiamare l'autobiografia culturale dell'autrice, che ci porta spesso a contatto con figure di rilevante spessore culturale, per rivelarci aspetti o pensieri che destano comunque la nostra curiosità e attenzione. Imparando insomma molte cose anche da questo versante della cultura. Cito per tutti Nabokov, l'esule russo a causa della rivoluzione d'Ottobre, autore di Lolita e incallito cercatore e catalogatore di farfalle, e invito il lettore che spero di avere incuriosito a inoltrarsi nelle tante altre storie che questo inaspettato e meraviglioso libro ci offre.

Renato Campinoti

17 agosto 2025

Marco Malvaldi: Piomba libera tutti (Sellerio)

Potrebbe sembrare, a prima vista, l'ulteriore, divertente racconto con cui Malvaldi ci ha più volte deliziato con i vecchietti del Bar Lume, con il barista-investigatore Giovanni, con la sua compagna e madre della loro figlia, vicequestore Alice, con l'immancabile coppia Tiziana e Marchino. 

Eppure ancora una volta... non ce la fai a smettere fino a che non finisce il libro. Intanto c'è la morte di Aldo, nonno di Giovanni. C'è un testamento che parla della casa e della collezione di dischi del defunto. C'è un’occupazione di casa un poco alla carlona. 

E soprattutto c'è una vicenda che dai dischi del defunto e dalle canzoni prende spunto per avviare le indagini sulla morte violenta di una signora così antipatica e maligna che, come viene da pensare ad Alice, era più facile "trovare qualcuno che non avrebbe voluto ammazzare Giada Meini", come si chiama la vittima. 

A questo punto, indagando sui residenti del condominio nel cui garage è stata uccisa questa signora, diventa interessante trovare le ragioni che, oltre i piccoli o meno piccoli dispetti di cui siamo messi a conoscenza, motivino qualcuno a spingersi fino ad organizzare un omicidio. 

In questo senso il racconto porta il lettore in un territorio non banale che è, appunto, l'indagine sulle molle che muovono, nel profondo, l'animo umano. Naturalmente non mancano neppure stavolta le divertenti conversazioni tra i vecchietti e con gli altri che mettono in evidenza, in forma di ironia toscana, i difetti e i pregiudizi che albergano in tutte le generazioni. 

Insomma, ancora una volta Malvadi, dopo prove non banali in altri territori, compreso il romanzo storico su Galilei (Pisano anche in questo!), è ritornato al fortunato gruppo del Bar Lume per allietare da par suo la nostra troppo breve pausa estiva.

Renato Campinoti

 

13 agosto 2025

Pierluigi Bersani: "Chiedimi chi erano i Beatles"

"La generosità è la materia prima della politica".
Rivolgendosi con questo linguaggio alle giovani generazioni Bersani è sicuramente uno dei politici che può dirlo senza il rischio di contestazioni o altro. 
Prima di giungere alla politica e a ciò che gli sta più a cuore, un PD in cui è tornato a riconoscersi con la segreteria Schlein, Bersani offre una chiara e pensata ricostruzione storica delle vicende politiche italiane, europee e mondiali, che sono anche un esempio di capacità di sintesi senza perdere la chiarezza delle conclusioni. 
Di particolare efficacia la ricostruzione sulle ragioni che portarono i nostri costituenti a incardinare la nuova Costituzione "fondata sul lavoro", come altrettanto chiara la reazione della destra neofascista e reazionaria proprio su questo punto con la discesa in campo del mondo del lavoro a difenderne il valore fondativo: "Anni di repressione e di mafia. Dal 1944al 1960 in Italia sono stati uccisi ventotto sindacalisti e undici segretari di Camera del lavoro". 
La parte più pregnante di questo interessante saggio storico/politico, arriva quando, con la crescita del mondo sindacale e delle sinistre, il PCI in primis, si assiste a quella "strategia della tensione" che ha già fatto vittime in Grecia e ha basi nella Spagna di Franco e nel Portogallo di Salazar. Saranno Moro e Berlinguer che, piuttosto che stare solo sulla difensiva, prendono l'iniziativa cercando "il contropiede allargando la base democratica del sistema". 
Siamo al Compromesso storico e a quello che, pur sconfitto, rappresenterà al momento dell'idea, delle ragioni e dei valori alla base della nascita del PD. Naturalmente Bersani, da uomo di pensieri lunghi, non trascura certo, in questo periodo, gli avvenimenti mondiali, la guerra in Europa Trump negli USA e la necessità di accelerare una più forte ed efficace integrazione europea "che torni a parlare al mondo"
Così come particolarmente efficace è l'analisi delle nuove tecnologie e lo stesso impatto sulla vita politica. Naturalmente non poteva mancare da parte sua lo spunto per una riflessione sulle autonomie locali e in particolare sul rapporto Stato-Regioni anche per battere la sciagurata iniziativa governativa dell'autonomia differenziata. 
E c'è infine una riflessione che dovrebbe essere più valorizzata proprio dal mondo dell'associazionismo e del volontariato cui è rivolta. "C'è politica fuori dai partiti" porta il titolo questo capitolo. Un civismo inteso come "Sensibilità per le esigenze della comunità in cui il cittadino vive"..."Si tratta," tornando al PD, "di progettare nel futuro i ponti fra una politica più solida e la politicità di formazioni comunitarie autonome, destinate a moltiplicarsi in una società più complessa e differenziata ". 
Si può, come sempre, non condividere ogni singola riflessione, ma non si può non ringraziare Bersani per averci fornito tanta e profonda materia per continuare a sperare in un cambiamento non solo politico ma, soprattutto, valoriale di questo nostro Paese. Che è anche questo, un modo efficace di fare politica.

Renato Campinoti