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30 marzo 2025

Vannino Chiti: La Democrazia sopravviverà a questo secolo? (i libri di Mompracen)

 

Vannino Chiti: La democrazia sopravviverà a questo secolo?

Analisi lucida, risposte senza mezzi termini. La sinistra all'ultima chiamata

Ancora una volta Vannino Chiti prende spunto dagli ultimi, inquitanti, segnali derivanti dalle tante elezioni svoltesi nel mondo nel 2024, dalla forte avanzata di forze di destra e antidemocratiche, dall'incapacità della sinistra di raccogliere il malessere per l'arretramento dei sistemi di Welfare, per guardare con preoccupazione a ciò che sta ora emergendo. "Oggi i leader del capitalismo dichiarano pubblicamente l'inconciliabilità tra il loro potere, il modello di sviluppo esistente e da incrementare e le regole democratiche". La conseguenza è immediata: "La democrazia è un peso imposto e sopportato in un'altra epoca, un inutile fardello che oggi si può e si deve rimuovere". Più che una semplice presa d'atto dello stato delle cose, a Chiti interessa capire perchè le forze di sinistra non sono state capaci di intervenire per cambiare segno a questa situazione e, soprattutto, a quali condizioni sia ancora possibile invertite le tendenze, sempre più forti, in atto. L'attenzione di Vannino viene allora a concentrarsi, semplificando un poco, su tre grandi questioni: quali siano le ragioni che hanno portato al potere nei paesi occidentali, a cominciare dagli USA, la peggior destra che si sia mai conosciuta nel dopoguerra; se e a quali condizioni la sinistra possa imporre cambiamenti in Europa e negli assetti mondiali per invertire la tendenza; quali valori e quali forze possono tornare a dare un senso "di sinistra" alla rinascita della democrazia e delle conquiste sociali. Sul primo quesito, le motivazini dell'avanzata delle destre, un primo interrogativo riguarda le ragioni per cui i magnati dei social ( e della finanza) "Sono passati armi e bagagli al sostegno dell'estrema destra". E poi un interrogativo ancora più inquietante "quali sono le cause che spingono la povera gente, gli strati popolari a votare per i miliardari, dimenticando, così sembra, i loro interessi". Ma se al primo quesito appare all'autore facile dare una risposta ("Si propongono di cambiare la democrazia e dettare alla politica le priorità da realizzare"), più complessa la risposta al secondo interrogativo (il venir meno di una speranza di futuro per sé stessi e i figli), che ci conduce direttamente al ruolo che dovrebbe essere in grado di svolgere la sinistra per contribuire a unirsi in Europa e far valere, con regole nuove, il peso dell'insieme dell'area di centro sinistra. Non senza una forte critica all'errore fondamentale compiuto, secondo l'autore, dalla sinistra in Italia e non solo: "ha distrutto o lasciato distruggere le proprie radici...ne è derivata la perdita di una capacità autonoma di critica dell'esistente". Ma, nonostante il pessimismo dell'analisi lucida e impietosa cui ci mette di fronte ("la politica torna ad essere cosa da ricchi"), Chiti non rinuncia a sollecitare la sinistra ad assumere proposte, anche radicali, di rinnovamento e cambiamento degli assetti da cui, secondo lui, derivano tante delle difficoltà di oggi. È questra, secondo me, la parte più importante dell'utilissimo lavoro di Vannino, dove intreccia la critica all'allineamento della sinistra stessa alle forze moderate che hanno rinunciato al rilancio dell'ONU quale forza di equilibrio e di pace, piuttosto che "a fare proprie visioni e disegni affidati esclusivamente alla prevalenza militare" , con un lavoro di scavo e di proposta. Partendo da una consapevolezza: "Senza assumere il compito di dare vita a una democrazia per il mondo globale, la sinistra non sarà protagonista nel XXI secolo". Le proposte di Chiti riguardano sia l'ONU, per il quale è urgente ampliare la rappresentanza  del Consiglio di Sicurezza, sia l'unione Europea, per la quale le proposte sono ancora più radicali per giungere ad una netta conclusione: "Occorre una democrazia federale europea, una politica estera e un esercito europei. Ѐ il passo da compiere subito". Naturalemnte lascio alla lettura del testo di Vannino Chiti la conoscenza delle modalità e delle concrete proposte operarative per raggiungere i risultati urgenti da lui indicati. Aggiungo solo che nella sua ricca e importante analisi c'è la consapevolezza di trovarci ormai all'ultimo momento utile, perdendo il quale il mondo potrebbe prendere una deriva dove finirebbero davvero per prevalere definitivamente le forze emerse con le ultime elezioni americane.  Arriviamo così all'ultimo, decisivo capitolo di questo vero e proprio saggio. Preso atto dei pericoli che derivano dalla nuova destra mondiale (il tecnofascismo, come lo chiama l'autore) Chiti ci lancia un messaggio, prima ancora che strettamente politico, di carattere etico e valoriale: "Se vogliamo vincere le sfide occorre unità. Se vogliamo costruire e affermare un progetto alternativo al capitalismo tecologico-finanziario, antidemocratico e della sorveglianza delle persone, è necessaria un'intesa tra credenti e diversamente credenti". Tornano qui alcuni dei temi più volte sollevati da Vannino, ma con la necessità di avviare ora un lavoro su scala mondiale per bloccare una deriva in atto di quelle forze che si stanno muovendo"sostituendo la fraternità e la solidarietà con l'individualismo amorale. L'unica regola è la competizione. Si passa dall'economia di mercato alla società globale di mercato". Il messaggio di Chiti è forte e chiaro. L'urgenza di assumerlo da parte di quelle forze di sinistra che sembrano talvolta distratte rispetto alla gravità della situazione presente, è altrettanto necessaria. Ma una riflessione come questa, un tempo consuetudine più frequente, almeno nell'ampiezza dei riferimenti, da parte dei dirigenti della sinistra, è utile e da assumere dalla più larga platea di quel popolo che, di fronte agli attuali avvenimenti, non vuol diventare "plebe", pronta ad assorbire le versioni più immaginifiche  che i social, in mano ai nuovi ricchi, ci propinano ogni giorno.

Renato Campinoti



23 marzo 2025

Mattia Torre: la linea verticale

La malattia e le regole dell'ospedale: tra ironia e paura

La prima cosa che colpisce di questo libro è la sua capacità di portare il lettore a contatto con l'ambiente e le persone che stanno nell'ospedale. Sembra, come in effetti diventerà, una sceneggiatura fatta di quadri che si susseguono fatti apposta per non farci perdere il filo delle vicende. Vicende al tempo stesso dolorose, dove l'uomo è costretto a fare i conti con qualcosa di più grande di tutto: la vita. Eppure raccontate con ironia e talvolta perfino col sorriso. 
Bastano poche pagine all'autore per mettere in piedi il piccolo circolo dei personaggi, malati, infermiere e infermieri, medici, chirurgo capo di tutti, che d'ora in avanti avranno ciascuno la propria reazione ad un ambiente insolito. 
Ecco allora il personaggio principale, Luigi che, quasi per caso scopre di avere un tumore al rene avendo già moglie, un figlio e un altro in arrivo. Cose e affetti importanti, ma costretti a passare in seconda fila rispetto alla priorità che si è presa la malattia e, con essa, tutti i riti dell'ospedale, dalle analisi, ai tempi di attesa per la risposta, per l'operazione ecc. 
Bellissima (e realistica!) la figura di Marcello, il ristoratore che sa tutto di medicina (si saprà perchè quando confesserà di essere all'ennesimo ricovero per una brutta malattia!), Amed, l'islamico ormai adattato alla vita in Italia, anche lui, suo malgrado, assuefatto alla vita ospedaliera. Bellissima e triste la scena del suo tentativo di non uscire dall'ospedale per non tornare a casa, consapevole che fuori dall'ospedale può attenderlo solo una brutta fine. 
Non meno triste e beffarda la figura di Riccardo Costa, il prete addetto alla visita e alla consolazione dei pazienti, improvvisamente avvertito di una grave patologia e della immediata operazione, incredulo del passaggio da consolatore dei malati a bisognoso di consolazione. 
Poi ci sono le figure ospedaliere, dall'infermiera Giusy, belloccia e braccata continuamente dal medico Barbieri, semplice accompagnatore del primario, che riversa sul tentativo di portarsi a letto l'infermiera, le frustrazioni professionali. 
Poi, su tutti, svetta il grande chirurgo, Michele Zamagna, il dio, come viene chiamato, che opera dalla mattina alla sera, capace di salvare chiunque, salvo quelli che non ce la fanno. 
E poi c'è il vero protagonista del racconto: l'ospedale. "Puoi avere tutti gli amici del mondo, la famiglia più calorosa e amorevole, i colleghi di lavoro più premurosi e attenti, ma quando sei in ospedale, sei solo. Con i tuoi sintomi e i tuoi pensieri." Ancora "In un ospedale i pazienti si dividono per categorie umane. C'è il paziente cupo, che dice sempre di si... Il paziente inspiegabilmente ottimista... L'ipocondriaco... il competente delirante... Ma tutti, tutti sono accomunati da una cosa: l'intima e profonda dipendenza dai medici: perché in un ospedale sono i medici gli unici custodi del loro futuro". 
Grande merito dello scrittore è alleggerire il racconto, di suo a tratti commovente, con descrizioni realistiche e ironiche della vita ospedaliera: "L'ospedale ha le sue regole. In un ospedale, ci sono regole scritte e regole non scritte... in una stanza d'ospedale il televisore del vicino di letto è sempre più bello...". 
Naturalmente sarebbero molte altre le frasi in grado di restituirci il clima e la tendenza dei pazienti a fare dell'ospedale, fintanto che lo vivono, il piccolo grande mondo che accompagna una stagione speciale della loro vita. 
Grande merito di Mattia Torre (non a caso il libro darà vita ad una vera e propria serie televisiva) è di averci fatto riflettere sulla fragilità di ciascuno e dell'importanza di reagire nel momento più difficile, quello della malattia, di quella oncologica in particolare. Poi, ironia della sorte, a soli 47 anni, un brutto tumore lo condurrà ad una morte pematura. Lasciando in noi il rimpianto di non aver più potuto apprezzare uno scrittore di grande talento.

Renato Campinoti

18 marzo 2025

Amélie Nothomb: Stupori e tremori

Il potere senza valori distrugge le competenze e le persone

In questo singolare romanzo/saggio la Nothomb ci racconta a modo suo il ritorno alle origini (Amèlie vive in Francia ed è nata a Kobe, in Giappone nel1967), facendoci immaginare un suo ingresso in "una delle aziende più grandi dell'universo" la Yumimoto. Si troverà così a fare i conti con una stretta e a suo modo perfetta scala di comando dove, a ogni livello, corrispondono un ruolo e un potere specifico. Entrata con tutte le migliori intenzioni dovrà ben presto rendersi conto della ferrea logica tutta aziendale e tutta incentrata sull'unico valore cui sono attaccate le persone, a qualunque livello della scala gerarchica: il proprio potere sui sottoposti. 
"E compresi una cosa importante: in Giappone l'esistenza è l'azienda". Una frase terribile che descrive tuttavia con efficacia la natura di una Nazione che fa dell'emulazione e della gara con l'occidente e dell'accelerazione del proprio sviluppo proprio negli anni ottanta e novanta del secolo scorso, la missione principale del Paese e dei suoi cittadini. 
Sarà con tale logica che il Giappone arriva a diventare, in quel periodo (la Nothomb pubblica il libro nel 2001) la seconda potenza economica del mondo. A quale prezzo la prolifica e brava scrittrice ce lo fa ben immaginare con questo romanzo che è, appunto, anche una sorta di saggio sulla decadenza dei valori sociali della nazione che le ha dato i natali. Perfino l'unico personaggio che Amélie ha creduto di individuare come diverso dagli altri, la ragazza cui viene affidata per svolgere il proprio compito nell'azienda, quella Fubuki in cui ripone la speranza di un'amicizia, si rivelerà del tutto integrata con la logica del potere aziendale. 
Dopo aver subito dal suo superiore il più feroce e pubblico rimprovero, sarà lei, che, pur bellissima nel fisico e nell'iniziale atteggiamento verso l'autrice, la costringerà al più umiliante dei lavori, il mantenimento della pulizia e dell'efficienza dei bagni. A questo punto del degrado umano cui viene costretta. l'autrice si allontana definitivamente dal suo Paese d'origine con alcune tra le riflessioni più amare e, forse, più vere che potesse farci. "In eterno gli umili hanno dato la vita a realtà che li trascendevano; almeno, prima, potevano supporre di farlo per qualche ragione mistica. Adesso non possono neanche più illudersi. Danno la vita per niente... Il Giappone è il paese in cui il numero dei suicidi è più elevato, come tutti sanno. Per come vedo io le cose, mi stupisce che il suicidio non sia più frequente". 
E a conclusione di una tale riflessione, l'ultima sentenza: "La cosa peggiore è che, nel resto del mondo, si pensa che questa gente sia privilegiata". Un libro e un saggio con un finale che ci fanno intentendere bene di quali valori sia in cerca questa bravissima scrittrice di culto.

Renato Campinoti




25 febbraio 2025

Fernando Aramburu: Il bambino

Un grande dolore che mette tutti alla prova

Dopo la sorprendente interpretazione della reazione della gente basca al dopo terrorismo col suo libro d'esordio "Patria", Aramburu torna a scandagliare le reazioni umane poste di fronte a un dolore estremo. Lo fa prendendo spunto da un dramma reale che il 23 ottobre1980 sconvolse la cittadina di Ortuella, a una manciata di chilometri da Bilbao, dove in una esplosione di gas persero la vita ben 50 bambini della scuola e tre adulti. 
Tutto ruota intorno al dolore che la vicenda provoca in una delle famiglie colpite dal drammatico lutto con la perdita di un bambino di appena sei anni, Nuco. I personaggi su cui si incentra l'attenzione dello scrittore sono soprattutto la madre, Mariaje, il marito di lei, Josè Miguel, il nonno, Nicasio. Un posto speciale riveste sicuramente la figura di Nacasio, il nonno che non vuole arrendersi all'evidenza della scomparsa del nipote tanto amato e tanto per lui prezioso, soprattutto dopo la scomparsa della moglie, la nonna che muore di tumore proprio alla vigilia della nascita di Nuco. 
Quello che rende speciale la reazione dei nostri personaggi alla perdita del bambino è che loro non riescono, così almeno sembrava a Mariaje, a piegarsi "all'evidenza che la vita non si ferma e che oggi dà una batosta a uno e domani a un altro, e non c'è altro da aggiungere". 
Non è così anzitutto per Nicasio, il nonno che, anche dopo la morte del bambino, si illude di continuare a prendersene cura come prima e a parlare con lui come fosse ancora presente nelle sue passeggiate o mentre lo accompagna a scuola. 
Su questo rapporto Aramburu scrive pagine bellissime e commoventi che non si possono descrivere fuori dal contesto di un racconto dove le emozioni sono la parte speciale del tutto. Si finisce così per prendere per buona la frase che la mamma riporta quando racconta all'immaginario narratore: "Non saprei dirle chi volesse più bene a chi, ma le assicuro che si adoravano". 
È tanta la pervicacia del vecchio nel volere costruire un suo mondo immaginato, che finirà per portarsi in casa tutte le cose presenti nella cameretta del bambino, rimaste nella casa materna, e riprodurne una simile nella propria abitazione. Sono pagine e descrizioni speciali quelle che vedono Nicasio chiudersi per ore in quella ricostruita cameretta a conversare con Nuco. 
Non meno importante, ai fini del racconto e della disamina dei sentimenti forti è la figura del padre, Josè Miguel, operaio robusto, tutto vocato al duro lavoro per non far mancare nulla ai suoi cari. Una brava persona, come più volte ci ricorda sua moglie, la madre del bambino, sposato più per le certezze che dava e la bontà d'animo che aveva, che non per un reale moto d'amore. 
Sarà lui, forse ancora di più della mamma pur disperata per la perdita del figlio, a rappresentare un dolore più forte di tutti. Dolorose e un pò angoscianti anche le pagine che descrivono il prolungato tentativo dei coniugi, tuttora abbastanza giovani, per cercare di avere un altro figlio. 
Saranno anche queste pagine rivelatrici di un ulteriore segreto con cui, ancora una volta, sarà Josè Miguel a dover fare i conti. 
Resta da dire della madre, sofferente anche lei in maniera forte, come è immaginabile. Ma forse quella dei tre che prova a cercare una strada che la faccia non solo sopravvivere a questo lutto estremo. 
Da evidenziare infine la grande cura di una scrittura semplice e perciò efficace, come pure la capacità di dare ritmo alle vicende introducendo fatti e personaggi che contribuiscono a tenere alta l'attenzione e la curiosità del lettore. Un libro, insomma, con cui Aramburu torna a stupire e deliziare il lettore che, come sempre, preferisce i personaggi posti di fronte ai momenti difficili delle loro esistenze. 
Da leggere assolutamente!

Renato Campinoti

16 febbraio 2025

Amélie Nothomb: Cosmetica del nemico

 Dove cercare il nostro peggior nemico

Snello e geniale il piccolo libro di questa "scrittrice di culto" che ogni anno delizia i suoi lettori con dei piccoli capolavori. Tutto inizia con l'annuncio di un forte ritardo di una aereo che costringe il protagonista, Jérôme Angust, a sorbirsi l'invadente conversazione di un tizio, Texel Testor come dirà di chiamarsi, che gli impedisce di dedicarsi alla lettura di un libro e lo costringe a ascoltarlo peer quanto l'altro ne ha voglia. 

D'ora in poi, per tutto il libro, si svolgerà un serrato dialogo in cui Texter farà di tutto per portarlo sulle presunte o reali colpe sue e del protagonista. In poco tempo sarà lui a portare la conversazione su un terreno particolare: "Quando si è destinati a diventare colpevoli, non è necessario avere qualcosa da rimproverarsi. Il senso di colpa si aprirà un varco con qualsiasi mezzo". 

Dopo una simile premessa, tuttavia, l'importuno Texel arriverà a confessare di amare una sola donna e di averla addirittura stuprata. 

Inframezzato da riferimenti al giansenismo, addirittura a Spinoza e, infine, a Max Stirner - teorico dell'egoismo - per giustificare i sentimenti strampalati di apparente innamoramento, di azioni addirittura criminali: "Dieci anni fa, lei ha ucciso quella che era la mia unica ragione di vita", esclamerà Angust quando l'altro gli confessa che, oltre lo stupro, era arrivato fino all'uccisione di quella che, ora lo capisce, era la moglie del nostro passeggero. 

Si arriva a questo punto della conversazione senza riuscire a staccarsi da una scrittura tanto ben fatta e costruita su continui colpi di scena che ci affascinano letteralmente. Ma restano ancora poche pagine per arrivare al colpo di scena definitivo di cui, ovviamente, non diremo niente al nostro lettore, se non che merita davvero di immergersi nelle relativamente poche pagine di cui è composto questo piccolo capolavoro della letteratura contemporanea. 

Tanto moderno da portare alla massima espressione e sinteticità quel filone che, aperto da noi da Italo Svevo e Pirandello, sviluppato oltralpe da Simenon, fa della lettura delle contraddizioni e dei sensi di colpa dell'uomo di oggi, l'oggetto di una letteratura che parla come mai prima all'animo dell'attento lettore.

Renato Campinoti

11 febbraio 2025

Kawamura Genki: Se i gatti scomparissero dal mondo

 "Quello che conta veramente è il modo in cui si vive"

Piacevole ed originale questo snello libretto di un grande della letteratura giapponese, con già alle spalle una bella mole di pubblicazioni e, data la ancora giovane età, in grado di regalarci nuove esperienze letterarie. 
Interessante l'idea di questo tutto sommato giovane protagonista, postino per scelta, solitario per caso, mamma deceduta, in crisi col padre, che un giorno scopre di avere un tumore in fase terminale. Il Diavolo ne approfitta per proporgli un classico "patto": per ogni cosa che decidi di far sparire dalla mondo ti regalo un giorno di vita in più. 
Si comincia con i telefoni, soprattutto quelli cellulari, la cui sparizione sembra avere anche dei lati positivi, soprattutto con lo sviluppo del digitale e con la schiavitù cui ha costretto le persone verso il proprio telefonino. Guadagnato così un faticoso giorno in più di vita, si passa ad ipotizzare la scomparsa dei film, grande amore del protagonista, che comincia a soffrire di questo gioco imposto dal diavolo. 
Soprattutto qui la vicenda si intreccia con una ex fidanzata impegnata nella gestione di una vera e propria sala cinematografica, che il protagonista ritrova e verso la quale sembra avere dei rimpianti da scontare. Ma il punto critico si raggiunge quando il diavolo propone di far scomparire i gatti come condizione per allungare ancora la vita del protagonista. 
Qui la storia si intreccia col ricordo doloroso della mamma del protagonista che col suo "per avere qualcosa bisogna sacrificarne un'altra", detta il tema di fondo di questo apparentemente leggero, in realtà pungente e stimolante racconto. 
È a questo punto, quando il protagonista non riesce a prendere una decisione, che si fa strada un approdo più significativo della sua riflessione. Il Diavolo, che ha tutto l'interesse a totalizzare il massimo di cose scomparse dal mondo, di fronte alla reticenza del protagonista ("Non ho intenzione di far scomparire più niente") lo stimola a ripensarci: "Ma potresti vivere ancora a lungo". E nella risposta che il giovane da al Diavolo, si condensa tutta la filosofia del racconto: "Lo so, ma vivere di per se non conta molto. Quello che conta veramente è il modo in cui si vive". 
Poco dopo anche la figura del Diavolo, rappresentato fin qui come un personaggio in carne ed ossa, sfuma in una ben diversa rappresentazione. "Il Diavolo esiste esclusivamente nel cuore e nella mente di voi esseri umani... E, a quanto pare, il diavolo che c'è nel tuo cuore ha le tue sembianze". 
Un finale, di cui non dirò altro ovviamente, che rafforza l'impressione che questo notevole libro ci trasmette fin dall'inizio: buona e scorrevole scrittura, ritmo notevole e una filosofia di vita che non andrebbe mai smarrita.

Renato Campinoti




08 febbraio 2025

Paolo Ciampi: Nulla va perduto, vita straordinaria di Leda Rafanelli

"Ho amato anche il mio crudele destino, che mi ha tolto tutto ciò che potevo possedere... Ma è il mio Destino, e tutto quanto è stato ed è mio, lo amo...". 
Leda Rafanelli (4 luglio 1880 - 13 Settembre 1971) scrisse questa poesia quando ormai si stava avvicinando a quei novant'anni dentro i quali è racchiusa quella "vita straordinaria" che Paolo Ciampi ci racconta in questo bellissimo libro, da esperto di indimenticabili biografie che meritano, tutte, di essere lette. 
Sarà nello stesso periodo, quando si è oramai ritirata dalla battaglia politica e si dedica principalmente alla famiglia e ai nipoti, che ci lascerà il suo testamento politico: "E la conclusione è che, nella mia Vita libera... solo i Compagni, solo gli Anarchici, non mi hanno mai deluso. Dai più illustri ai più umili, tutti sono stati per me Luce, Calore, Vita, e solo unita alla schiera dei ribelli, dei refrattari, degli Individui che vanno contro corrente, sono rimasta IO". 
La prima cosa che balza agli occhi di questa donna speciale è la sua coerenza in un tempo in cui sono tantissimi quelli pronti a cambiare idea per opportunismo o, come accade a tanti quando il fascismo si insedia al potere, per necessità. Lei, come vedremo, fiutò prima di tutti di che pasta era fatto il trasformista Benito Mussolini. Così, alla fin del libro, da cui siamo partiti, Ciampi potrà dire con assoluta certezza: "Leda senza rimpianti, orgogliosa della sua anarchia, dai quattordici ai novantuno anni. Potessero tutti dire così di se stessi". 
Ma forse è necessario partire dall'inizio, da quei quattordici anni da cui inizia la storia politica di Leda. Scopriremo così che, con l'irrequietezza di una adolescente precoce, incontra un libro "I miserabili di Victor Hugo che in effetti è assai più di un romanzo, è una visione di vita, una dichiarazione di umanità". Sarà questo libro, insieme agli incontri di anarchici in carne ed ossa, che la convincerà ad abbracciare questa fede. Così finirà per annunciarlo ai genitori perché "essere anarchica significa qualcosa di più che dirsi socialista". 
Da questo momento in poi inizia la sua militanza che avrà fine solo molto, ma molto tardi. Saranno "Maria Luisa Minguzzi.. .e il marito, Francesco Pezzi, entrambi di Ravenna, ora a Firenze dopo anni di fughe e vagabondaggi, la loro casa a San Frediano un porto di mare... Leda che ascolta volentieri i loro racconti. L'esilio a Lugano, l'amnistia, gli scioperi alle manifatture... quasi un mito i coniugi Pezzi. E lei, Gigia, che un tempo ha anche fatto girare la testa a molti, per la sua bellezza...". 
Comincia a darsi da fare eccome anche Leda, che sembra rispecchiare molto della personalità di Gigia. "Leda che promuove campagne antimilitariste... che anima il Circolo anticlericale di Porta a Prato... che collabora ad Azione Diretta, foglio sindacale... che invia lettere ai più noti agitatori". E fin dall'inizio della sua militanza anarchica e anticlericale, Leda si distinque anche in questo da tutti per la sua piena e convinta adesione all'Islam."
Tirerà dritto come sempre. Anarchia e mussulmana: e allora? Ogni giorno le cinque preghiere... I compagni scuotono la testa. Che c'entra Dio con l'Anarchia?... Leda è Leda, va bene, ma cosa c'entra Allah? Ma lei va avanti con convinzione su entrambe, anarchia e adesione all'Islam. "Quello di Leda è un Islam particolare, si rivolge alla tradizione dei mistici sufi. La stessa dei dervisci rotanti..."
Per tutta risposta Leda dirà "I miei compagni sono atei e padroni dimisero. Io sono credente. A me non interessa affatto che gli altri siano religiosi, amo esserlo io". 
Sarà così per tutta la vita, coerente anche in questo. Poi arrivano le vicende dei grandi amori, che si intrecciano con le sue grandi passioni. Sposerà precoce Luigi Polli e con lui, "invece di un figlio Leda e Luigi hanno fatto nacere una casa editrice... In via dei Pepi, in quella stanza fredda e di poca luce, il via vai è incessante". In questo caso "La casa editrice non pubblica romanzi, ma opuscoli al servizio della causa... In gran parte è farina del sacco di Leda. Incredibile quanto scrive... Sull'emancipazione delle donne. Sulle condizioni delle carceri. Su ciò che bisogna pretendere dall'insegnamento scolastico". 
Questa dell'editoria, più avanti anche letteraria (il suo primo libro "Un sogno d'amore" è del 1905), sarà un pallino che accompagnerà la Rafanelli per tutta la vita. "Oh, la carta stampata! Ha riempito, orientato tutta la mia vita" dirà verso la fine della sua esistenza. Come lo saranno i numerosi amori che la porteranno a separarsi da Luigi (con cui rimarrà tuttavia in amicizia), per mettersi con Giuseppe Monanni, anarchico aretino, autodidatta e tipografo, con cui pubblicherà riviste e libri e con il quale si trasferisce per lungo tempo a Milano, "dove l'incendio pare imminente, dove ogni rivolta è plausibile".
A Milano succede di tutto a Leda. Incontrerà Marinetti, anche se vedrà con diffidenza il movimento futurista. Sarà tentata dalle avances di Mussolini, se non vedesse in lui un altro dei tanti trasformisti del periodo da cui non esiterà a prendere le distanze. Soprattutto Leda rimarrà incinta del figlio che amerà per tutta la vita. Di qui in avanti la vita di Leda si intreccia strettamente con le grandi vicende del Paese e con le lotte degli anarchici, dalla battaglia contro l'entrata in guerra dell'Italia nel 1915 fino ai grandi scioperi e alle lotte proletarie del "biennio rosso". 
Poi saranno tanti gli scritti che Leda lascia ai suoi lettori, come saranno ancora un certo numero le vicende amorose (come pure l'abbandono da parte di Giuseppe che se ne andrà con un'altra!) di cui il nostro scrittore ritrova tracce. Sarà lunga la vita di Leda e non le saranno risparmiati delusioni e dolori, il più grande dei quali la morte dell'amato figlio. Così come vedrà morire i maggiori rappresentanti dell'anarchia del suo tempo come Pietro Gori e Errico Malatesta. Il lettore troverà tracce importanti della vita di Leda anche nel tempo della sua età avanzata, in un lavoro di ricostruzione a modo suo che Ciampi ci fornisce, finendo per farci amare una donna straordinaria che, come detto, mantiene una forte coerenza nelle sue idee, nella sua religione (studierà e diventerà una delle più raffinate conoscitrici della lingua araba e del Corano!), nel suo stile di vita, fedele solo a se stessa. 
C'è da dire che questo interessante e prezioso volume non è solo una biografia. Molto bello l'accostamento delle vicende narrate con i brani musicali che più, secondo l'autore, entrano in simbiosi con le stesse. Si può dire che il lavoro di Ciampi è anche e forse soprattutto un particolare prodotto letterario, dove l'autore, come gli capita spesso, mette a confronto le storie che ci racconta con una raffinata e attenta biografia del suo tempo e di se stesso, costringendoci, in ultima analisi, a riflettere sulla nostra stessa esperienza e lasciando perciò una traccia di pensiero importante al lettore non distratto. Che è quanto di più significativo si può chiedere alla letteratura.

Renato Campinoti