"Non si può scendere dal tempo... ma si può smettere di averne paura"
Chi l'avrebbe detto che proprio lei, l'autrice di "Porci con le ali", il libro della gioventù contro tutto ciò che puzzava di vecchio, sarebbe arrivata a insegnarci a non aver paura di invecchiare? Anzi, a fare della vecchiaia, oggi che "ci sono ancora trenta anni tra l'età della pensione e il resto della vita" un'occasione irripetibile. Perché, come conclude questo bellissimo libro/saggio la Ravera, "vivere, quando il tempo davanti a te diventa breve, accende una curiosità incontenibile".
L'"orgoglio dell'età", come recita sfacciatamente il titolo. Ma per arrivare a questa intrigante conclusione l'autrice ci accompagna in una severa, anche se spesso ironica, disamina di tutti "i pregiudizi sull'età", sia di natura culturale e filosofica, sia più strettamente materiale e generazionale. Solo rimettendoli in discussione, sui diversi piani in cui si sono stratificati, è possibile acquisire un'idea positiva e consapevole del "Terzo Tempo diverso" che ci aspetta dopo i sessanta anni e arrivare a uno stato di serenità.
La Ravera inizia, nella prima parte, col mettere a nudo i tanti, troppi, tentativi di uomini e donne del nostro tempo, di combattere l'arrivo della vecchiaia con gli strumenti della chimica e della chirurgia che sono l'altra faccia di una generazione ancora immersa nei pregiudizi che con l'avanzare degli anni si perdano le doti migliori, rappresentate dalla bellezza, dalla forza, dal vigore sessuale e, soprattutto per le donne, la capacità riproduttiva,
Di qui l'accettazione di tutto ciò che può sembrare che aiuti la lotta contro il tempo che passa. Ma, ecco la novità, oggi questo tempo della maturità e della vecchiaia si è talmente dilatato che è illusorio combatterlo con tali strumenti. Ecco che allora è giocoforza rimettere in discussioni la cultura, sia filosofica che materiale, che è alla base dei pregiudizi che rischiano di renderci infelici per un lungo tratto della nostra esistenza.
Una parte importante del libro è dedicata alla necessità di fare i conti con la visione che della vecchiaia avevano le generazioni che ci hanno preceduti. Sono molteplici le frasi fatte con cui, ripercorrendo le sue stesse sensazioni sul tempo che passa, ci aiuta a rivedere criticamente e a superarle noi stressi.
Bellissima questa. "A un certo punto, intorno al ventiseiesimo compleanno, ho deciso di far pace con il destino: sarei stata vecchia". O ancora, col passare del tempo: "Ho sessant'anni e sono innamorata. Mi sento ridicola, mi sento fuori posto... Pare che esista un'età per innamorarsi e una per ricordarsi di quando si era innamorate".
In sostanza ci confessa, l'autrice, "io mi sono rovinata la giovinezza e maturità per la paura di invecchiare".
Ma da qui, da questa cruda rivisitazione dei luoghi comuni e dei pregiudizi, la Ravera va all'attacco e rimette in discussione molte delle più radicate visioni, anche di filosofi e grandi scrittori sulla paura della vecchiaia. Che sia il filosofo Galeno o il grande Tolstoj è necessario aggiornare radicalmente il concetto attuale di vecchiaia e il modo con cui vivere questa lunga e libera fase della nostra vita.
La Ravera prende a prestito l'analisi che lo stesso Monsignor Paglia fa sulla profonda novità rappresentata dalla presenza, nella società italiana attuale, di un terzo di abitanti con più di sessantacinque anni, per andare alla ricerca della cultura e della filosofia necessarie a imparare a vivere come una opportunità questo periodo della vita.
Ma per farlo occorre compiere un'ulteriore escursione e rimessa in discussione. Questa volta contro i pregiudizi sui presunti limiti e difetti dell'età degli ultrasettantenni. Da qui i conti con tanti personaggi, per debellare quello che Hilmann ci insegna: "La patologia più grave della vecchiaia è l'idea che ne abbiamo".
Inizia da qui una lunga disamina dei pregiudizi radicati in tanti segmenti della società e anche in grandi personaggi della filosofia e, perfino, della psicoanalisi. Perfino Jung finisce, giustamente, sotto la mannaia, della Ravera quando, parlando del "meriggio della vita", critica "l'ambizione sbagliata, secondo la quale i vecchi dovrebbero essere come i giovani". Da certe teorie l'idea che a una certa età non si riesce più a imparare e a conoscere cose nuove.
Naturalmente la scrittrice non risparmia critiche forti alla cultura fascista e all'inno "giovinezza, giovinezza, primavera di bellezza", che porterà solo guerra e lutti al Paese.
L'altra faccia della battaglia culturale da compiere è quella che vorrebbe mettere i vecchi contro i giovani, addebitando agli anziani ancora presenti nei luoghi di lavori, la responsabilità della disoccupazione giovanile e, addirittura, della precarietà del loro lavoro. Di qui la necessità di non assecondare una "politica che punta a compiacere i giovani, non a risolvere i loro problemi", con l'aggravante di rompere un patto tra le generazioni, più che mai necessario nel mezzo ai cambiamenti del mondo dei lavori che stiamo vivendo.
Messi a posto così i vari pregiudizi sulla vecchiaia, si può passare, come fa magistralmente l'autrice, a stilare, sotto la voce "IO DESIDERO", un vero e proprio decalogo di ciò che la donna (e l'uomo) anziana di oggi desidera per sé.
Si comincia con il primo desiderio, che è poi il sunto di tutti gli altri: "Non essere discriminata in quanto non più giovane. Gli esseri umani non perdono il valore con il trascorrere del tempo come l'insalata che prima è sul banco dell'ortolano, pronta per essere consumata, e poi nella pattumiera, in quanto ormai inadatta al consumo".
Naturalmente il lettore fa bene a leggere attentamente tutti e dieci i Desideri espressi dalla Ravera, compreso l'ultimo, di natura addirittura politica!
Quando chiuderà questo interessantissimo saggio, il lettore, soprattutto se dell'età giusta, si renderà conto del grande contributo che ha ricevuto. Finora sono state molte le anali, diciamo così "fredde e scientifiche" dei mutamenti in corso riguarda al dato anagrafico nella nostra società.
La Ravera ci ha portato un di più di analisi culturale e di passione civile, sfiorando spesso la forma lirica, che danno una spinta potente all'abbattimento dei pregiudizi, condizione indispensabile perché perfino la politica cominci a doverne tenere di conto e a prendere i provvedimenti necessari.
Renato Campinoti