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06 giugno 2025

Emanuele Trevi: La casa del mago (ponte alle grazie)

Un libro speciale che costringe a guardarsi dentro con attenzione.

Per dire che questo di Trevi è un libro speciale, basterebbe partire dall'incipit, dal quel "lo sai come è fatto" detto poi ripetutamente dalla madre a proposito del padre, il mago del libro. Ci vorranno poi circa duecentocinquanta pagine per farci avvicinare alle svariate sfaccettature di cui è in realtà fatta una personalità forte, complessa, di grandissima cultura come quella del padre di Emanuele Trevi. 
Con un'avvertenza fin dal ricordo del percorso finale della vita di quel grande "guaritore" quando, preoccupati i parenti di capire di cosa avesse bisogno, "non voleva più nulla, se non quello che aveva sempre chiesto al mondo: essere lasciato in pace". E ancora, sempre in quel momento terminale della sua affascinante vita, "rendesse evidente la natura profonda, la quintessenza di un uomo così capace di fare a meno della compagnia del prossimo". 
Poste così le premesse dell'indagine sulla vita e la cultura del proprio genitore, si incappa presto, col trasferimento dell'autore nella "casa del mago", in quello che sembra rappresentare il vero punto di congiunzione tra la vita di questo straordinario personaggio e il suo figlio avvezzo a fare della parola lo strumento del proprio modo di interpretare il mondo, quello suo personale compreso. 
Mi riferisco, per essere chiari, agli studi e alle teorie di Carl Gustav Jung soprattutto attraverso il Libro "Simboli della trasformazione" che, rimasto al centro dell'enorme scrivania presente nella "casa del mago" quando l'autore vi si trasferisce, diverrà un interlocutore importante della ricognizione sulla vita e la cultura del padre e sulla sua acquisita capacità di interpretare la "malattia dell'animo" delle persone e favorirne la cura. 
Naturalmente sono molte le scoperte che Trevi fa sul modo di "studiare" del padre, quel suo "scrivere continuamente", apporre note a lato dei concetti che lo interessavano, talvolta più importanti e di maggiore ampiezza degli stessi concetti espressi dall'autore del libro. "Se sceglieva un qualunque argomento, lo faceva perché per lui era necessario andare a fondo, spremere qualche tipo di succo. Non si arrendeva alla sostanziale, irrimediabile incomprensibilità della vita, alla tirannide dell'insensato".
Un padre così, l'autore ce lo dice quasi di sfuggita, non poteva non essere stato partigiano nelle brigate comuniste. Ma la cosa affascinante di questo bellissimo romanzo è la capacità dell'autore di confondere e intrecciare le trame, iniziando a trasformarlo nel romanzo di lui, l'autore stesso. E lo fa introducendo, nella casa del mago in cui è andato ad abitare, le figure più improbabili e forse vere che danno ritmo e fanno acquisire simpatia dal lettore. 
Dirò subito della Degenerata, quell'improbabile donna di servizio, di origini sudamericane, peruviana per la precisione, che anziché pulire casa, "mi parlava molto. Si trattava di interminabili ciance familiari popolate di peruviani residenti a Roma...". E sarà grazie all'intervento di Rocio, come si faceva chiamare la Degenerata, ("che disapprovava apertamente lo stile di vita monacale che avevo adottato") che entrerà in gioco un altro personaggio di rilievo in questa storia, una donna di particolare bellezza e disponibilità, 
Paradisa come si faceva chiamare. "Non è proprio una puttana, precisò la sua amica (Rocio) come se mi avesse letto nel pensiero". Lascio alla curiosità del lettore gli sviluppi di questo rapporto col l'autore!
Non si può non parlare di un'altra presenza, un pò inquietante, che l'autore introduce nel gruppo delle cose curiose che gli capitano: la visitatrice, con quei passaggi che l'autore immagina notturni (ma la porta rimane sempre chiusa!) che lascia qualcosa (a cominciare da mozziconi di sigaretta) che turbano non poco Trevi. Ma saranno proprio questi strani personaggi che, al momento del loro distacco dall'autore (Rocio e Paradisa rientreranno nel loro Paese d'origine) che lasceranno "rimpianti e nostalgie" nell'autore. 
Ma l'altra qualità del romanzo è da ritrovarsi nell'intreccio ben orchestrato tra il racconto di questi improbabili personaggi, (con atmosfere da "cent'anni di solitudine" di Màrquez), con l'incontro di figure di ben altro spessore e valori. Basterà accennare al rapporto del padre (stessa scuola) con Beppe Fenoglio e i suoi racconti sui Partigiani, alla vicenda personale di un uomo come Ernst Bernhard, che a causa delle leggi razziali di Mussolini, rischiò di morire ucciso da fascisti. E sarà proprio lui, Bernhard, come racconta Pietro Citati, che, accolto il padre depresso dell'autore ("come tanti che hanno combattuto in una guerra stentava a tornare a una vita normale") nel suo studio nell'immediato dopoguerra, "lo trasformò in un guaritore". 
Sarà ancora nello studio del padre che l'autore incontra una antica lucerna, di quelle che facevano luce con l'olio prima dell'invenzione dell'elettricità. "Dopo tanto tempo è finita nella mie mani: simbolo senza dubbio confortante, ma anche ammonitore delle tenebre che incombevano, che sarebbe stato necessario attraversare". 
È l'epilogo di questo libro speciale, ed è come un ammonimento per i nostri giorni. Accade così che un grande scrittore come Trevi, partito per descriverci la straordinaria vicenda del padre, il mago del titolo, "è anche lui un mago. Questo libro è il suo incantesimo", come commenta nell'ultima di copertina Antonio Scurati, uno che di personalità e di scrittura se ne intende non poco.

Renato Campinoti

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