Leonardo Gori: Il vento di giugno
All'origine dei servizi segreti deviati nell' Italia del dopoguerra
Da appassionato lettore dei romanzi di Leonardo Gori, credo di poter dire con convinzione che questo "vento di giugno" è sicuramente uno dei migliori, se non il migliore in assoluto, di quelli offertici dal bravo scrittore fiorentino. E lo è, a mio giudizio, per più ragioni. Anzitutto per la capacità di restituire al lettore il clima e la reale condizione di quella fase dell'Italia, di Roma in particolare, in bilico tra le rovine, non solo materiali, di una nazione sconfitta dalla guerra, riscattata dalla Resistenza, tuttora incerta sul suo futuro, perfino sul regime che l'aspetta tra monarchia o repubblica. Crudo e impietoso il quadro di Roma che appare al suo Maggiore Arcieri quando, dovendo recarsi a piedi, per più di un'ora, alla su nuova abitazione "gli sembrava di vedere, nei volti smagriti dei pochi che incontrava alla luce incerta dei lampioni, nelle loro occhiaie profonde, le stimmate di una miseria laida e disperata, che non aveva più nulla a che fare con la povertà innocente dei suoi anni giovanili". Accostiamo questa descrizione dei nuovi poveri tra il popolo di Roma a ciò che che gli appare quando incontra la famiglia di nobili decaduti che lo accoglie come ospite pagante (e perciò prezioso) nella loro decadente dimora, quando, come racconta il vecchio colonello di Arcieri, "nemmeno l'amministratore personale del marchese ha saputo impedire il tracollo finale. Il marchese non può lavorare, è ovvio; il figlio non vorrebbe nemmeno. È il destino di quel pezzo d'Italia. Il vecchio mondo è morto." Quello che emerge da questo accostamento è ciò che, a me pare, lo scrittore vuol farci capire: siamo in una fase in cui l'Italia deve ancora ripartire e lo farà, per la sciagurata politica e la guerra in cui il fascismo l'ha cacciata, da una condizione peggiore di prima del regime. Sia come popolo che come classi noboli che non hanno saputo approfittare, come ha fatto una ristretta minoranza, del mercato nero e delle nuove opportunità. Ma insieme a questo clima che Gori ricostruisce magistralmente, c'è la trama, che vorrei dire principale, di questo impegnativo (anche per chi l'ha scritto, credo) romanzo, il quale, senza disdegnare la fiction necessaria al racconto, ambisce anche, a mio giudizio, a romanzo storico. E non devono essere state di poco conto le ricerche cui Gori si è dovuto sottoporre per centrare, con la precisione che dimostra, lo sviluppo delle vicende storiche che accompagnano lo svolgimento della trama. La quale, per dirla in bereve, vede Arceri richiesto dal suo vecchio comandante, di svolgere una impegnativa analisi delle vicende che si dipanano intorno all'Ufficio I, che ha sostituito il vecchio SIM, il servizio segreto per il quale lavorava fino alla caduta del regime fascista. E sarà la ricerca che Arceri mette in campo, avvalendosi di soggetti anch'essi, come si sente lui stesso, emarginati dal nuovo Servizio, che farà emergere il lavoro sotterraneo (ma non troppo) per far nascere quei Servizi, che si meriteranno in seguito l'appellativo di "deviati", ancora di fatto al servizio della mentalità reazionaria e fascista, sconfitta sul campo ma non nei gangli dello Stato. Gori data questo lavoro sotterraneo proprio in questa fase dell'Italia, i giorni immediatamente precedenti il Refrendum che vedrà prevalere la Repubblica, ma che si porterà dietro un ben pesante fardello che darà, in seguito, i suoi frutti amari con la cosiddetta "strategia della tensione", con le bombe sui treni e nelle piazze. C'è, in questo lavoro di Gori, anche il riflesso di un certo pessimismo sulla permanenza di una certa presenza culturale in settori del popolo italiano: "il fascismo era nelle ossa degli italiani, sia prima sia dopo. Un cancro forse incurabile". Non mancano nel romanzo, riferimenti alle vicende sentimentali di Arcieri, così come l'incontro con donne, in particolare Cristina, la bella e impegnativa figlia del marchese, che lasceranno un segno nel virtuoso Maggiore. Arceri centrerà, con la sagacia di cui è capace, anche alcuni risultati positivi, in particolare a favore della famiglia del marchese e di sua figlia. Ma alla fine di questa piacevole e eccellente scrittura, quello che rimane davvero è l'impressione di un'indagine, in forma di romanzo, di uno dei periodi più difficili e complessi della storia del nostro paese, quasi con l'avvertimento, da parte dell'eccellente scrittore, a guardarsi intorno ancora oggi per impedire che il cancro diventi davvero incurabile.
Renato Campinoti
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