Dei molti, buoni libri cui ci ha abituato Carofiglio, con la consueta competenza e professionalità, questo ha rappresentato per me una piacevole sorpresa. Dietro una apparente, semplice storia, emerge una figura di donna davvero fuori dal comune.
Caduta in disgrazia dal ruolo che si intuisce importante nella polizia investigativa a causa di eccessi caratteriali solo immaginabili, Penelope sembra essersi inflitta una sorta di autopunizione isolandosi dal mondo e usando le persone (e gli uomini) solo in forma strumentale e casuale. Beve e fuma in quantità non eccessive ma dannose e fa uso di psicofarmaci.
Rimane tuttavia aggrappata alla vita imponendosi un minimo di "disciplina" dando continuità ad un pò di allenamento fisico e di alimentazione decente. Dura con gli altri, fragile dentro.
Poi avviene una novità. Il marito di una donna brutalmente uccisa, assolto per insufficienza di prove dal sospetto di essere l'assassino, chiede a lei, su suggerimento di un ex collega che ne conosce le doti, di aiutarlo a trovare il vero assassino per togliere quella macchia e i dubbi possibili. Soprattutto per la figlia, oggi piccola ma che domani, da grande, potrebbe porsi domande imbarazzanti.
Qui, con tutte le incertezze, inizia una fase nuova della vita che Penelope si era imposta. Il libro, sta qui secondo me la sua vera efficacia, si muove d'ora in poi su due binari che finiscono per intrecciarsi.
C'è, ovviamente, il lento ma continuo sviluppo dell'attività investigativa che Penelope percorre, non disdegnando di chiamare in causa i rapporti personali con gli ex colleghi che continuano a stimarla e ad aiutarla. Perfino il giornalista della nera che è stato amico molto apprezzato la spinge ad uscire dal suo torpore, come lo chiama: "Tu hai un talento che andrebbe usato, smettendo di pensare a quello che è accaduto".
Penelope, pur con la consueta durezza di carattere anche con gli amici, inizia a riflettere sulla sua natura e sui suoi reali desideri. Si avvia così, in parallelo all'indagine, l'altra faccia di questo racconto: il lento ma progressivo recupero dell'autostima della donna al centro della narrazione. Molto efficace, quando avvia davvero l'indagine ("Di nuovo in pista, su una vera indagine... mi venne voglia di... cucinare") il ricordo della nonna Penelope: "mi ha insegnato a cucinare, a fare i giochi di prestigio e molte altre cose che ho sperperato... È morta quando avevo sedici anni, ma io ho continuato a parlare con lei per tantissimo tempo."
Lascio al lettore attento gustare questo bellissimo passaggio dove sono molte le suggestioni che aiutano Penelope a ritrovarsi. Per concludersi infine con la riscoperta di un libro con una dedica della nonna che è una bellissima poesia di Anna Achmatova, molto in sintonia col momento di risveglio della nostra ex poliziotta.
Ed è ancora nell'ambito della ritrovata fiducia in se stessa che l'autore ci fa regalare da Penelope un'altra perla: "In passato mi domandavano quali sono le doti essenziali di un buon investigatore. Rispondevo dicendo cose piuttosto ovvie: spirito di osservazione, capacità di ascoltare... Ma la qualità essenziale... è la consapevolezza del ruolo decisivo del caso, della fortuna... Il buon investigatore è qualcuno che cerca di moltiplicare le possibilità che accada qualcosa di casuale e fortunato".
Si sente qui la professionalità e la cultura dello scrittore. E saranno proprio queste doti a permettere a Penelope di portare a buon fine la sua indagine semi clandestina.
Tra l'altro non potrà prendersi nessun merito per il risultato cui conduce quella non semplice indagine. Ma non importa. Mentre è presa dai soliti esercizi fisici all'aria aperta ha un pensiero "Disciplina senza sottomissione: mi piacque molto, mi parve un'intuizione e, forse, un insegnamento. Un modo di essere al mondo... una possibile soluzione. Una scelta".
Ancora una volta si chiude un libro di Carofiglio e non si vede l'ora che ne arrivi un altro.
Renato Campinoti
Renato Campinoti
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