Ho conosciuto Serena Dandini come bravissima conduttrice televisiva (quando ancora si potevano fare certi programmi sulla Rai) fin dai tempi della "TV delle Ragazze", ma non la conoscevo come scrittrice. Per questo mi è ancora di più piaciuto questo libro in cui sono racchiusi più registri e tutti di valore notevole.
Partiamo dalla fine. Parlando di Margaret Mee e della sua ossessiva ricerca del "Fiore della luna" in Brasile e nei pressi della foresta amazzonica, a proposito dell'azione di deforestazione che continua inesorabile, l'autrice ammonisce "Gli scienziati avvertono che siamo ormai giunti ad un punto di non ritorno, e se non facciamo qualcosa in tempi molto brevi per il nostro polmone verde il pianeta intero rischia di diventare un deserto di polvere e sassi, mettendo a rischio l'esistenza della specie umana".
Si tratta di una osservazione più che condivisibile (e necessaria assolutamente!) tanto da farci pensare a tutta la ricerca del "Paradiso" di cui ci parla andando a ritroso nel tempo quando la famiglia possedeva "una grande villa" accompagnata, tra l'altro, da "un giardino all'italiana in miniatura: il regno incontrastato della nonna Enrica... sfuggiva all'ordine costituito un fitto cespuglio di ortensie: era quello il mio paradiso".
Ecco, allora è questo finale a cui volevi portarci, insieme alle bellissime parole che accompagnano la sua ricerca del tempo dell'infanzia e della famiglia ancora unita in quella meravigliosa realtà? Certamente questa, della necessaria lotta per salvare il pianeta dagli interessi potenti e meschini che non si fermano neppure sull'orlo del precipizio, è una forte e apprezzabile chiave di lettura. Eppure, per quanto grandioso questo proposito, sarebbe riduttivo evidenziare questo come unico registro di un libro così pieno di spunti e di scoperte.
A proposito di Paradiso, di quello terrestre declamato dalla Bibbia, Serena ci fa notare, prendendo in prestito le parola di un'altra grande donna e scienziata, Margherita Hack: "La colpa di Eva è stata quella di voler conoscere, sperimentare, indagare con le proprie forze le leggi che regolano l'universo, la Terra, il proprio corpo, di rifiutare l'insegnamento calato dall'alto, in una parola Eva rappresenta la curiosità della scienza contro la passiva accettazione della fede".
Parole, queste, che sono anche la rappresentazione del cammino intrapreso, contro molti pregiudizi, dalla Hack medesima e che un bello sceneggiato della Rai (quando ancora si facevano queste cose in RAI!) ci ha raccontato. Inizia così la scoperta di un registro da sempre praticato dalla Dandini, quello del ruolo delle donne nella storia dell'umanità e delle innumerevoli battaglie che sono state necessarie per avviarne il riscatto.
Attenta sempre ad intrecciare questo tema con i ricordi familiari e con la ricerca del paradiso terrestre nella costruzione del personale angolo di verde, l'autrice ci fa conoscere personaggi femminili che meritano un'attenzione adeguata.: Tra queste di particolare rilievo la figura di Jeanne Baret che, pur di realizzare il sogno di imbarcarsi su una nave verso la Polinesia e l'isola di Mauritius e le scoperte floreali di quelle parti, si accompagna con uno scienziato più anziano di lei, si traveste da uomo per sfuggire al rigido divieto in voga tra i marinai e ne fa di tutti i colori per raggiungere il suo scopo. Alla fine, siamo nel 1778, sarà lei a salvare e donare all'Accademia francese delle Scienze un ricchissimo catalogo di piante, pesci e fiori finora sconosciuti. Ma il premio arriverà solo dopo una difficle traversia e più come "badante" dello scienziato, morto nel frattempo, che come "valorosa scienziata". "D'altronde", chiosa giustamente Dandini, "potrebbe mai una donna avere realmente aiutato il progresso? Anche oggi si fatica a riconoscere i meriti delle ragazze che intraprendono le materie scientifiche. Figuriamoci nel Settecento."
Sempre su questo registro della valorizzazione femminile, molto belle sono le pagine dedicate dall'autrice alle scrittrici, a cominciare dalla grandissima Agatha Christie, che diventerà la regina del giallo che conosciamo perché, partita arruolandosi come infermiera volontaria, incapace di assistere alla cura dei feriti e al sangue, si rifugerà nel dispensario, in cui finirà per conoscere le proprietà positive (ma anche quelle letali) degli unguenti ricavati dalle piante officinali di cui ha disponibilità. Da ciò la competenza sui vari tipi di veleno che saranno utilizzati dai suoi "assassini" e che riscuoteranno l'apprezzamento prima degli scienziati e poi del largo pubblico dei suoi lettori. Tutto ciò quando ancora le case editrici, di fonte a testi interessanti scritti da donne, vigeva "la norma di farle firmare con uno pseudonimo maschile per rassicurare il mercato, senza contare che è abbastanza inaudito che una donna si cimenti nel genere poliziesco".
La fortuna di Agatha è che il suo editore "si rivela particolarmente illuminato e lascia in copertina il vero nome dell'autrice". Naturalmente sarà poi la qualità dei suoi scritti e l'eccellente invenzione di un personaggio come Poirot a fare la sua fama di scrittrice. Più complicata fu la vicenda di altre grandi scrittrici. Basti dire che dovettero piegarsi, all'inizio, all'usanza del nome maschile scrittrici come Jane Austen e Charlotte Brontё, "e Mary Shelley riuscì a mettere il proprio nome in copertina solo dopo che la prima edizione del suo Frankenstein, firmato 'Anonimo', ebbe enorme successo".
Saranno ancora altre le donne di cui ci parla la bravissima autrice per riscattarne ruolo e memoria spesso deformate da una Storia scritta al maschile. Ricordo in particolare Caterina de' Medici come Regina di Francia la cui storia si intreccia, nella logica del libro in questione, con la scoperta di profumi e di piante particolari grazie all'arrivo alla sua corte di Renato Bianco, suo profumiere personale.
Dandini ci parlerà anche di Cristina di Svezia che "è una pioniera dei diritti delle donne pur non sopportando a parole le donne, una femminista inconsapevole... che mette all'indice la mancanza di educazione a cui il genere femminile è condannato da secoli".
Serena Dandini ci racconta anche la storia di un'altra femminista ante litteram, quale fu sicuramente Alexandra David-Néel, nata nel 1868 da un padre ugonotto, una madre fervente cattolica, vicino Parigi. "Quando non è intenta a far perdere le proprie tracce, divora la biblioteca del padre e comincia ad appassionarsi alla storia delle religioni, ma legge d'un fiato anche l'opera completa di Jules Verne e sviluppa un vero talento per la musica." Ne farà di strada questa ragazza, partita più volte per viaggi solitari, fino all'India, per diventare, a venticinque anni, premiére cantatrice all'Opera Company di Hanoi. Alexandra farà in tempo a dirigere il teatro nazionale di Tunisi, a sposarsi all'età di trentasette anni, a divorziare e a raggiungere, prima donna, Lhasa in Tibet, addirittura incontrare il Dalai Lama e scrivere un libro che ebbe un grandissimo successo: Viaggio di una parigina a Lhasa.
Ce ne sarebbero ancora di cose da dire su questo per me sconosciuto personaggio femminile, ma mi limito a ringraziare Serena Dandini anche per la conoscenza di tali personalità femminili. Infine, ultimo ma non per importanza, registro di questo bellissimo libro, riguarda quella che potremmo chiamare l'autobiografia culturale dell'autrice, che ci porta spesso a contatto con figure di rilevante spessore culturale, per rivelarci aspetti o pensieri che destano comunque la nostra curiosità e attenzione. Imparando insomma molte cose anche da questo versante della cultura. Cito per tutti Nabokov, l'esule russo a causa della rivoluzione d'Ottobre, autore di Lolita e incallito cercatore e catalogatore di farfalle, e invito il lettore che spero di avere incuriosito a inoltrarsi nelle tante altre storie che questo inaspettato e meraviglioso libro ci offre.
Renato Campinoti
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