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04 agosto 2025

Jane Shemilt: "Una famiglia quasi perfetta"

Dico subito che questo romanzo è davvero apprezzabile, prima e più per la impostazione di “grande thriller”, come pure è sottotitolato, per molte altre caratteristiche. La prima e principale questione che percorre tutto il voluminoso racconto è senz’altro rappresentata dall’emergere, da parte della madre, medico, della progressiva consapevolezza di non conoscere la figlia come credeva e che, anzi, era testardamente convinta di sapere tutto di lei. Così, di fronte ad una rivelazione sulle esperienze sessuali della figlia scomparsa, si convince che “Non era possibile, avrei saputo..Lei me lo avrebbe detto. E anche se me lo avesse taciuto, l’avrei capito. Ero sua madre.
Una parte importante del romanzo gira proprio intorno a questa questione: quanto conoscono i genitori delle vite dei loro figli quando entrano in quella stagione complicata e impegnativa che è l’adolescenza?
L’altro aspetto che emerge, solo in parte collegato al primo, è la presunzione di ciascun genitore di elaborare da solo il rapporto con i figli e, magari, pensare di essere ciascuno il depositario della verità. Qui emerge la forza dell’autrice, non a caso laureatasi, dopo medicina, in scrittura creativa: fare della scomparsa della figlia, la maggiore quindicenne rispetto alla coppia maschile di gemelli, il punto di criticità delle persone, genitori e figli, e dell’emersione dei problemi e dei segreti personali di cui ciascuno è portatore.
Anche se il personaggio principale è sicuramente la mamma, con le sue certezze in frantumi, non meno rilevante è la figura del padre, che intende fare della sua competenza professionale la fonte del suo prestigio sociale anche in famiglia. Sarà proprio la messa in dubbio di tutto ciò che lo porteranno a rivedere buona parte del ruolo anche nel rapporto con la moglie. Moglie che, di fronte alle difficoltà dei figli, dimostrerà la maggiore forza e capacità femminile di saper trovare la forza per non fuggire e affrontare i problemi. “Guardai le mie mani sul tavolo… avevano aiutato a far nascere bambini, inserito cateteri e flebo… sorretto la fronte dei miei figli mentre vomitavano. Le strinsi forte. Posso farcela. Devo”.
Ecco un altro aspetto interessante del libro (e sicuramente intenzionale dell’autrice), il ruolo comunque centrale della donna nella vita di coppia e nella famiglia. Detto ciò, va dato atto all’autrice, di una ottima trama e, di conseguenza, di un ritmo sostenuto che cattura il lettore. Senza dimenticare, infine, gli accenti antirazzisti che emergono di fronte all’ennesima delusione maschile della mamma.
Naturalmente non manca neppure qualche aspetto discutibile nella ricerca di qualcosa di troppo spettacolare nello sviluppo della trama. Ma che non toglie niente alla godibilità della lettura di un bel testo e ai sentimenti positivi che riesce a trasmettere.

Renato Campinoti

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