"Averne, di storie come questa.", conclude la sua prefazione Leonardo Gori, dopo aver messo in evidenza i molti pregi di questo primo romanzo lungo di Sergio Calamandrei sul suo amato Sabatino Arturi. E non si può che essere d'accordo con lui.
Non che Sabatino sia uno sconosciuto per i lettori di Sergio. Tra le altre è apparso in forma già più che abbozzata nel racconto che Calamandrei ha inserito nella antologia da lui stesso curata dedicata dal Gruppo Scrittori Firenze proprio a Firenze Capitale e molto apprezzata dai cultori del periodo.
Sono molti, appunto, i pregi di questo romanzo ed è giusto ricordarli. Intanto, come ho messo nel sottotitolo, è davvero un affresco perfetto della Firenze del periodo, breve, in cui la città del giglio ebbe il merito (per alcuni la disgrazia!) di svolgere il ruolo di Capitale d'Italia.
Già questa antinomia di opinioni da parte degli stessi fiorentini sul periodo della Capitale, è ben rappresentata nello svolgimento del romanzo di Sergio. Basti pensare agli appellativi rivolti agli stessi militari venuti da Torino a pontificare sui presunti difetti della nostra città, come pure sul carattere troppo chiuso degli stessi.
Per i fiorentini, Calamandrei lo rappresenta da par suo, la discesa di tutta questa gente per realizzare la funzione di Capitale del Regno porta con sé più problemi, talvolta anche gravi, che opportunità. Basti pensare ad un problema come quello degli alloggi e della cacciata dal centro storico dei residenti non in grado di far fronte all'innalzamento vertiginoso dei prezzi degli affitti!
Anche sulle questioni del rinnovamento dell'assetto urbanistico della città, dai viali, all'abbattimento delle antiche mura, fino ai progetti per fare piazza pulita dell'antico ghetto, si apriranno dibattiti infiniti tra una popolazione che non ha mai smesso di discutere, neppure oggi, sui risultati di tali vicende.
Ecco, tutto questo è presente nel romanzo di Calamandrei in maniera che oserei dire perfetta. Del resto Sergio è sicuramente la persona che più di ogni altro, a Firenze, ha approfondito il periodo storico di Firenze Capitale, che continua tuttora, con una documentatissima newsletter, a regalarci ogni mese approfondimenti circa l'una o l'altra questione che è stata oggetto di scelta o di confronto nel periodo considerato.
Dunque un grande plauso all'autore per avere con così puntuale e profonda conoscenza inquadrato le vicende che ci narra, senza peraltro debordare mai dalle indicazioni vuoi geografiche, vuoi storiche relative al periodo (corre l'anno 1867) in cui si svolgono gli avvenimenti relativi al suo Sabatino Artusi.
Forse, una delle novità che in questo romanzo Calamandrei affronta con più nettezza, è proprio quella che dà il titolo al romanzo: l'uso dell'oppio e degli oppiacei da parte di molti personaggi della cosiddetta classe dirigente, inconsapevole, così sembra, dei gravi effetti collaterali, a cominciare dalla forte dipendenza, che essi comportano. Da qui, tra l'altro, anche il titolo del romanzo.
L'altro grande merito di questo romanzo è il carattere, che ho chiamato di thriller, che Sergio riesce ad imprimere alla storia di Sabatino sia con l'amica Silvia, peraltro figlia di un noto banchiere, che con Katherine, anch'essa col padre nel mondo degli affari. Saranno molti altri i personaggi che costellano questo riuscito romanzo ottocentesco, a cominciare dai commilitoni con cui Sabatino, da poco uscito dal servizio militare, continua ad avere un rapporto.
Ma forse, come peraltro ci consiglia lo Stesso Gori, dire thriller è riduttivo di un romanzo che, pur avendo i caratteri del genere, è troppo carico di storia e di storie per essere ridotto ad un solo genere.
Quello che è certo, ed è un terzo grande pregio di questo lavoro letterario, è che del genere ha il ritmo e la capacità di catturare il lettore fino all'epilogo della storia che ad un certo punto prende il sopravvento sulle altre e ci costringe a fare le ore piccole per farci svelare qualche segreto dall'autore.
In questa parte del romanzo ho avvertito la mano di un grande maestro come Simenon, capace di farci conoscere il contesto parigino alla perfezione e ad abituarci a vedere nel genere un modo per indagare la realtà sociale del suo periodo.
Per chi come me ha tratto dall'autore di Maigret lo spunto per le povere cose che mi è capitato di scrivere, è motivo di convinzione e di invidia vedere i risultati che su quella scia l'amico Calamandrei è riuscito a raggiungere. Allora grazie di questa bella opera e avanti verso il prossimo romanzo di Sabatino Artusi!
Renato Campinoti
L'Oppio di Firenze Capitale - Angelo Pontecorboli Editore
Renato Campinoti
L'Oppio di Firenze Capitale - Angelo Pontecorboli Editore
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