Perché considero questo uno dei più bei libri sulla Resistenza? Anzitutto perché, anche oltre il pensiero espresso da Vassalli nella pur pregevole introduzione, l'Agnese, pur troneggiando tra i protagonisti del libro, non è affatto l'unica donna impegnata in azioni anche pericolose che vengono richieste alle donne dal Capitano.
Anzi, si potrebbe dire che molte altre donne entrano in campo e lo fanno in maniera coordinata e utile alle azioni dei partigiani, perché loro, l'Agnese e le altre, si capiscono al volo e, grazie anche all'audacia dell'Agnese, svolgono un ruolo di supporto che in alcuni momenti va ben oltre la funzione un pò banale di certa letteratura sul tema.
Sia chiaro, questo non toglie niente ai meriti immensi di questa donna che, mossa subito da un intuito chiaro circa il ruolo dei tedeschi e dei fascisti repubblichini, non esita a vendicare la brutta morte dell'amato marito, Palita, di cui si macchiano insieme tedeschi e fascisti.
Emozionanti le pagine che ci parlano di come, individuato il tedesco responsabile sia della tratta di Palita che dell'uccisione brutale del loro gatto, Agnese userà dalla parte della canna lo Sten del soldato che si appisola per mandarlo al creatore.
Da quel momento Agnese capisce chiaramente che la sua vita subirà un radicale cambiamento e non potrà non essere insieme ai partigiani. Sarà breve l'apprendistato di questa apparentemente modesta figura di donna, in realtà pronta a tutto.
Bellissima la risposta che darà al Capitano, quando gli alleati, siamo all'inizio dell'autunno del '44, invitano i partigiani ad avere pazienza e ad aspettare la loro pur lenta avanzata. Di fronte alla presa di posizione netta del gruppo dirigente di continuare a combattere e alla richiesta dell'opinione di Agnese, lei risponde: "Io non capisco niente - rispose lei, levando dal fuoco la padella - ma quello che c'è da fare si fa".
Agnese vive con un pò di soggezione il rapporto col Capitano, personaggio di elevata cultura da quel che ci fa capire l'autrice, ma sempre pronto a svolgere il proprio ruolo anche nelle attività più pesanti. Più volte lo troviamo a maneggiare derrate o armi nel clima freddo dell'inverno del '44 senza mai lasciare solo agli altri i compiti più pesanti, fino al punto, come ci viene narrato, di veder screpolare le sue mani dalla pelle più fina e leggera di quella altrui.
A proposito del rapporto col Capitano, cosa che meriterebbe un rilievo a parte, non c'è solo il riconoscimento del suo ruolo e del suo carisma da parte di Agnese, ma c'è anche il viceversa da parte dello stesso Comandante verso questa donna via via più coraggiosa e indispensabile nella vita della Brigata partigiana.
Bellissime le pagine che il Comandante dedica alla donna che, in un momento di preoccupazione per il rischio di accerchiamento da parte dei tedeschi (siamo nella valle di Comacchio, dentro la palude!) ha ripreso un pò bruscamente. Poi, mentre si allontana, sente il bisogno di parlare dell'episodio col proprio vice Clinto: "Senti Clinto. Ti pare che ho fatto male con l'Agnese? Pensa che è lei la più brava, anche se ha sbagliato, povera vecchia...sempre un errore di troppo coraggio, sempre meravigliosa. Tu credi che avrà molto dispiacere?" - Molto - disse Clinto. Il comandante riprese... “Si mi pento di non averle detto quello che penso di lei... Farle capire almeno quanto ci ha servito, di che utilità ci è stata... Dovevo diglielo, adesso che staremo lontani. E dirle anche che quando saremo liberi, la zona intera dovrà saperlo. Lo dirò io chi è l'Agnese".
Il Comandante è tanto dispiaciuto di averla rimproverata che chiederà a Clinto di tornare indietro a impartire ordini e ruoli all'Agnese medesima, cosa che il Capitano non aveva fatto. Del resto questa donna, partita con modestia nel supporto ai partigiani, poche pagine prima era stata la protagonista di un faccia a faccia con i tedeschi addetti al rastrellamento e che avevano bussato alla sua porta nella casa dove nascondeva il gruppo residuo dei partigiani della Brigata e, senza battere ciglio, li convince che è in casa da sola e che non c'è niente da cercare. Rischiando per l'ennesima volta la fucilazione.
Ho detto che questo è il più bel libro sulla Resistenza perché non nasconde niente dei meriti e anche dei limiti del ruolo della lotta partigiana. A cominciare dalla consapevolezza che la difficoltà di scacciare i tedeschi era dovuto anche al fatto di essere aiutati e spalleggiati dalle "brigate nere" dei fascisti italiani, contro cui i nostri saranno costretti a intraprendere un'azione ad alto rischio per liberare alcuni partigiani fatti prigionieri, scoprendo che i fascisti si sono accaniti contro di loro in maniera ancora più atroce degli stessi nazisti.
A proposito dei meriti della Resistenza molto veritiera e e chiara nella sua sinteticità la descrizione di pagina 158: "La forza della resistenza era questa: essere dappertutto, camminare in mezzo ai nemici, nascondersi nelle figure più scialbe e pacifiche... un fuoco senza segno. I tedeschi e i fascisti ci mettevano i piedi sopra, se ne accorgevano quando si bruciavano".
Ma la bravissima scrittrice, anche lei partecipe ed esperta della lotta partigiana (la stessa Agnese, come ci dirà in una bella postfazione, è nata da una vera esperienza!), non ci nasconde niente, neppure i limiti e le difficoltà dei rapporti tra resistenza partigiana e ruolo delle truppe alleate sbarcate in Italia capaci soprattutto di bombardare dagli aerei le città e i paesi dove sospettavano la presenza dei tedeschi.
I partigiani capiscono poco questa avanzata lenta e tutta dall'aria. Soprattutto si sentono un pò presi in giro dai proclami dei comandante delle truppe alleate, generale Alexander, che li incita continuare a danneggiare i tedeschi fino al loro sfondamento delle linee nemiche. Poi, quando tutti si aspettano un rapido sfondamento da parte degli americani e inglesi, nell'autunno del 44, vengono informati dallo stesso generale che ci vorrà più tempo e di smobilitare le Brigate fino alla primavera. Come era ovvio i partigiani non cadono in questo che considerano quasi un tranello."Sciogliere le formazioni, escamò Clinto, per andare dove? Chi di noi potrebbe andare a casa? Siamo tutti ricercati o renitenti alla leva". Allora interviene il Capitano: "Le formazioni restano. Il problema serve soltanto per far conoscenza con i nostri alleati e provare una volta di più che se ne fregano di noi".
Poi, di fronte alle lamentele dei suoi il Comandante, mangiando la ministra preparata da Agnese, mette la parola fine al discorso: "Senti, per quello che hanno mandato fino adesso possiamo anche farne a meno...Faremo da noi!".
Comincia così quel "lungo inverno del '44" che vedrà le Brigate partigiane come le principali antagoniste dei tedeschi così come, da parte dei tedeschi in fuga sulla linea gotica, continuano le efferate stragi di civili, donne, bambini che la Viganò ci fa intravedere già in questo suo libro del '49. "Si vedevano le fiamme dalla strada, arrivavano di corsa i pochi scampati allo sterminio. Correvano per istinto, ma il loro pensiero era fermo, fra le case nel fuoco, le raffiche dei mitra, i corpi accatastati, grandi e piccoli, e ancora più piccoli e più nudi quelli dei bambini, sulla neve sporca di sangue".
Quello che colpisce, a leggere queste frasi del libro, come sia stato possibile che la verità sulle stragi naziste, col supporto dei fascisti, sia rimasta rinchiusa a lungo in quello che un meritorio giornalista, Franco Giustolisi, porterà alla luce col suo libro del 1994, "L'armadio della vergogna", mettendo in evidenza le efferati stragi di Sant'Anna di Stazzema, le fosse Ardeatine, la strage di Marzabotto, di Civitella in Val di Chiana, del Duomo di San Miniato, di Niccioleta nel comune di Massa Marittima e di tante altre.
Tutto ciò fornì al Magistrato Marco de Paolis il materiale necessario per aprire finalmente le indagini che porteranno ai processi di una parte, quelli ancora in vita, dei gerarchi nazisti che si resero responsabili di tali efferati delitti. Ed è tutto ben illustrato nel suo libro "Caccia ai Nazisti", che merita davvero di essere letto come complemento del racconto che Renata Viganò, pur priva della documentazione messa in sordina da una non proprio meritoria classe dirigente italiana, ci ha fatto con il più bel libro sulla Resistenza.
Renato Campinoti
Renato Campinoti
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