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18 agosto 2024

Paolo Ciampi: Il babbo di Pinocchio

Un atto d' amore per Firenze, Lorenzini e la letteratura

Quando ti dispiace chiudere un libro che non vorresti finisse mai, vuol dire che c'è qualcosa di buono davvero dentro. Ho letto gli altri libri di Paolo Ciampi, compreso quello sul Maragià. Mi sono piaciuti molto. Ma questo li supera tutti. Forse sarebbe meglio dire: li riassume e li supera! 
Che dire allora. Bellissima l'idea dell'incontro con Lorenzini, detto Collodi. Bellissimo il richiamo alla Firenze del suo tempo e il controcanto con l'oggi. 
Così si va dal Caffè Michelangelo, quello dei Macchiaioli per capirci, alle più note osterie del periodo, Gigi porco, Beppe sudicio e Cencio porcheria. "È la lingua dei fiorentini, che se vogliono bene dicono male... per rendere lode agli intingoli". 
Della Firenze del tempo di Carlo Lorenzini (e anche prima) Ciampi avrà modo di parlarne tantissime volte con Collodi. Cosi ci porta in giro per la città, a cominciare da quella via Taddea dove sono nati i fratelli Lorenzini, proprio di fronte al palazzo dei conti Ginori, che saranno un po' i loro benefattori nei periodi di magra e nella prestigiosa manifattura dei quali il fratello Paolo arriverà a svolgere la funzione di Direttore generale, potendo così dare una mano a Carlo, spesso indebitato per il gioco o per i vizi della tavola e delle donne. 
Di Firenze Ciampi ricorda quasi tutta la storia, non trascurando, nei pressi del Porcellino, la statua di Michele di Lando, alla testa della rivolta dei Ciompi, che favorirà l'adozione di quegli "Ordinamenti di giustizia" che saranno al centro dello scontro di interessi tra Guelfi e Ghibellini, prima, tra Guelfi bianchi e neri dopo di cui fu vittima proprio Dante. 
In realtà tra nuova borghesia degli affari cittadini e vecchia aristocrazia delle campagne. 
Di Firenze Ciampi parla molto, ricordandoci, tramite Collodi, l'arrivo della ferrovia e della stazione Leopolda in particolare, durata così poco dato che appena dieci anni dopo la sua inaugurazione entrò in funzione la stazione di Santa Maria Novella. Sarebbe lungo e ripetitivo ripercorrere tutte le tappe degli incontri cittadini che in questa notte di colloquio tra Ciampi e il babbo di Pinocchio si realizzano. 
Basterà dire che arriveranno fino a San Miniato al Monte e al cimitero delle Porte Sante dove, come salutandolo, ci fa presente l'autore, "all'ora dell'aperitivo poteva conversare di cucina con Pellegrino Artusi, di libri con Vasco Pratolini, di cinema con Franco Zeffirelli e Mario Cecchi Gori, di fotografia con i fratelli Alinari, di tutto questo e ovviamente della loro Firenze, sempre amata e sempre maltrattata". 
Fatti questi pochi accenni ai luoghi e ai personaggi di Firenze (che sono tuttavia parte costituente del bel racconto di Paolo!) è da evidenziare l'altro filone del libro e della immaginaria conversazione tra due così diversi autori: mi riferisco appunto allo scandaglio, forse mai così approfondito, della reale vita e dei pensieri di Carlo Lorenzini, detto Collodi. Attenzione, tuttavia! A Ciampi interessa certamente evidenziare le caratteristiche e la storia di questo autore, ma così facendo finisce per ribaltare su se stesso le impressioni, i punti di vista, le esperienze mai così esplicitamente, anche per quanto lo riguarda, messi in evidenza. 
Di Lorenzini ci fa toccare con mano sia lo slancio risorgimentale che porterà per ben due volte a partire volontario, sia a Curtatone e Montanara che, dieci anni più tardi, nel reggimento dei Cavalleggeri di Novara. Emerge anche la sua incoerenza lavorativa, spesso portato a cambiare lavoro, così come una certa indolenza che, pur portandolo a scrivere quel vero e proprio capolavoro che è Pinocchio, finirà per lasciare poche altre tracce durevoli negli altri lavori letterari (quasi sempre per l'infanzia) cui provò ad applicarsi. Allo stesso titolare della casa editrice di Pinocchio che, visto il grande successo delle prime edizioni lo sollecita a scrivere altro, risponderà da par suo, di non insistere troppo, che lo prendeva il nervoso. 
Emergono, insieme ad altri pregi giornalistici per cui era apprezzato, la sua indolenza verso rapporti femminili duraturi (non a caso non si sposerà mai) e i suoi vizi con l'alcool e col tabacco che saranno tra le cause che, a solo 64 anni, lo vedranno vittima di aneurisma che lo fece cadere di fronte al portone di casa. 
Certamente aveva contribuito al suo indebolimento fisico e al suo lasciarsi andare, la perdita dell'unica persona che l'aspettava ogni sera al suo rientro in casa: sua madre. 
Ho detto del controcanto che su ogni aspetto o riflessione introdotta nella conversazione dallo stesso Ciampi o da Collodi sulla vita del del babbo di Pinocchio, l'autore fa su se stesso, sui suoi punti di vista o sulle sue esperienze, parlando anche lui ad un interlocutore personale che pare essere, anche per lui, sua madre. 
Di tutto ciò non dirò niente se non che è questo un filone di non minore interesse per approfondire la conoscenza di un operatore culturale fiorentino tra i più prolifici ed originali in questo momento in città. 
Infine, come ho accennato, resta da dire del rapporto tra questo intenso lavoro di Ciampi e la letteratura, così come l'autore ce la fa riscoprire nell'occasione. A partire dal fatto che Lorenzini adopera lo pseudonimo di Collodi e dall'analogia (lo pseudonimo!) dietro cui si nascondono autori di grande interesse come Italo Svevo (l'autore all'origine della moderna letteratura italiana!) e poi Pablo Neruda, Stendhal e Agata Christie, Harper Lee fino a Marguerite Yourcenar, (che se solo avesse scritto di Adriano avrebbe un posto nell'empireo della letteratura!) e Elena Ferrante, il mistero di oggi. Ma Paolo ci ricorda anche Boris Vian e poi Fernando Pessoa, per farci venire nostalgia di Lisbona e del Barrio Alto. 
Molto bello anche l'accostamento di Lorenzini a Mark Twein e ai suoi volumi di racconti leggeri (come appunto fece il Collodi) o, ancora di più, a Jerome K.Jerome, quello di "Tre uomini in barca", "Carlo Lorenzini era il mio Jerome K. Jerome in versione domestica, fiorentina come il lampredotto e la bestemmia", confessa Ciampi.
Ancora, pensando a Collodi, l'autore ci ricorda come spesso cercasse di nascondere nell'umorismo i suoi malesseri. "Mi venne in mente Romain Gary, uno scrittore che mi è particolarmente caro. 'L'umorismo', diceva, 'è un'affermazione di dignità, una dichiarazione della superiorità dell'uomo su tutto ciò che gli accade' " Più avanti, sempre in coerenza con la descrizione di Lorenzini e di se stesso, Ciampi citerà Melville, Neruda e, inevitabile, Salgari e altri, che ora ometto di ricordare se non per dire della capacità di uno scrittore di razza come Paolo Ciampi di invitare il lettore, parlando di tante altre cose, a ripassare capolavori della letteratura come parte integrante della chiacchierata con il "Babbo di Pinocchio". 
E non sarebbe completa, per me, questa riflessione sul libro se non citassi quello che, ad un certo punto, stimolato dall'interlocutore, ci vuole dire Collodi: "Il fatto è che non è un libro per bambini... Scrivevo per loro, i bambini, però scrivendo per loro scrivevo per i bambini che non erano più bambini" E poco dopo, sempre Lorenzini, ci ammonisce: "Siamo bambini", mi incalzò, "siamo i bambini diventati adulti, siamo gli adulti che sono ancora bambini". 
E credo che non ci potesse essere un modo migliore per onorare questo immenso libro e il suo autore. Così come credo che il racconto di Paolo Ciampi meriti, questa volta, di andare oltre l'ingresso in classifica di uno dei maggiori premi della letteratura italiana.

Renato Campinoti

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