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13 agosto 2024

Nicoletta Verna: I giorni di Vetro

Quando la memoria familiare incontra la memoria storica

La cosa che colpisce prima di ogni altra è la capacità di Nicoletta Verna di costruire personaggi senza mezzi termini: la stessa protagonista principale, Redenta, che pure denuncia difficoltà e carenze sia fisiche che cognitive, rimane impressa tuttavia per la sua capacità di reagire agli eventi estremi che è costretta a vivere in maniera decisa, fino al rischio del sacrificio personale.
Altrettanto scolpiti nella pietra sono gli altri personaggi, sia quelli "positivi" che quelli "negativi". Tutti, potremmo dire, senza mezzi termini. Ecco allora l'altro protagonista, quel Vetro del titolo, chiamato così per l'occhio di vetro donatogli addirittura dal generale Graziani, per le azioni feroci di guerra in Africa che lo fanno subito distingure, per cattiveria, dagli altri.
Vetro è, si può ben dire, l'emblema di quanto di più negativo e cattivo possa entrare nell'animo umano quando uno spirito razzista, machista, guerrafondaio incontra i disvalori del fascismo e del nazismo. Se nella violenza cieca sulle donne si troverà in buona compagnia con altri maschi del romanzo, sarà quasi unico nella ferocia e brutalità con cui ricerca il proprio piacere malato con le donne.
Altrettanto violento e spietato si mostrerà nell'atteggiamento verso sia le donne che i soldati delle colonie dove "conquista" i galloni di merito dal fascismo.
Non da meno emerge la figura del padre di Redenta, anch'egli fanatico fascista, che tuttavia non riesce ad imporre la sua visione in famiglia. E qui emergono le figure che sono in grado di opporsi a tali personaggi, e sono tutte figure femminili, a cominciare dalla mamma di Redenta che riesce a tenere a bada le tentate violenze del marito, minacciandolo esplicitamente. Immensa, col tempo, emergerà la figura di Iris, che partecipererà alla guerra partigiana a fianco dell'uomo di cui si innamora e che rappresenta anche il primo uomo con caratteristiche positive del romanzo: quel Bruno che Redenta aspetta tutta la vita in attesa della promessa di matrimonio che le ha fatto fin da ragazzini.
Naturalmente sono anche altre le figure maschili e femminili che si distinguiono per la positività, una su tutte emerge con forza ed è quel signor Verità, che pur in condizioni di relativa agiatezza, fedele ad un'idea di libertà e di democrazia, rischierà perfino la vita pur di aiutare la lotta dei partigiani che, intorno a Forlì e Castrocaro, dove si svolgono le vicende narrate, si organizzano per scacciare i tedeschi e battere i fascisti fondatori della Repubblica di Salò.
E qui emerge l'altro grande merito di questo libro di notevole spessore della giovane e brava autrice: saper coniugare l'invenzione delle storie personali che racconta con le verità storiche di cui è necessario tenere memoria. Sarà lei stessa a dircelo nella nota posta a suggello del romanzo: "In questo romanzo non c'è niente di vero, eppure non c'è niente di falso... la storia è del tutto inventata, eppure non c'è niente di falso perché quasi ogni vicenda parte da racconti e personaggi di cui in qualche modo ho letto o avuto notizia". 
Ed è la stessa autrice ad elencare vicende, a cominciare dalle azioni partigiane in quel di Forli' e dintorni, che si intrecciano egregiamente con il racconto del libro. Di particolare rilievo il ricordo, che l'autrice fa, del fallimento dell'azione partigiana in occasione della riunione dei gerarchi fascisti del 25 Settembre del 1943 presso il Grand Hotel Terme di Castrocaro, da cui scaturì la nascita della Repubblica di Salò. "Se i partigiani fossero arrivati in tempo, forse la guerra di Liberazione avrebbe avuto un corso diverso", come ci dice la stessa autrice. 
Certamente, tra le vicende che più lasciano impressione nel lettore ci sono le azioni efferate tra i civili e i partigiani che il battaglione M IX settembre, arrivato a Castrocaro nel luglio del 1944 compì, anche se a comandarlo non c'era Vetro (personaggio di invenzione) ma un personaggio altrettanto violento. 
Fra le azioni infine che si intrecciano con il racconto della Verna, c'è l'eccidio di Tavolacci, avvenuto il 22 luglio del 1944, dove i nazifascisti uccisero 64 civili, di cui 19 bambini di età inferiore ai 10 anni e soprattutto donne e anziani. "La più grande strage commessa in Romagna dalle truppe nazifasciste... Le motivazioni e i responsabili sono stati a lungo sconosciuti... la strage resta di fatto impunita", ci ricorda l'autrice. 
cDa questo punto di vista non c'è dubbio che queste parti del libro, perfettamente integrate nel racconto dell'autrice, rappresentano un contributo di rilievo al mantenimento di quella Memoria storia che è il fondamento dell'attuale vita democratica del nostro Paese, troppo spesso insidiata da nuove formazioni politiche. Ma non si può sottacere la capicità di Nicoletta Verna di portare a conclusione il romanzo, intrecciando in modo egregio vicende pubbliche e sentimenti privati. 
Emblema di questo, come ho accennato, è sicuramente la figura di Iris, una ragazza follemente innamorata di Bruno ma che non è altrettanto ricambiata anche se vivono insieme la lotta partigiana. 
Ci voleva una figura di donna e una forza dell'amore come il suo per prendersi le responsabilità che decide di prendersi e che lascio, ovviamente, al piacere del lettore. 
Infine, che dire ancora di Redenta, questa figura femminile apparentemente succube di una prevalente cultura maschilista, che trova tuttavia la forza e il coraggio di trasformare l'amore per l'unico uomo di cui si è innamorata da giovane, in una delle azioni più difficili per ogni essere umano. 
Insomma, personaggi così se ne trovano pochi in tutta la letteratura e si deve a Nicoletta la fortuna di averceli fatti incontrare e restare con noi più a lungo di quanto vorremmo. Finisco dicendo che grazie a un'autrice che contribuisce non poco con libri come questo a farci rimanere innamorati di una letteratura che stimola la fantasia senza dimenticare la funzione civile e culturale del genere.

Renato Campinoti

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