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31 maggio 2024

Marc Augè: Il tempo senza età, la vecchiaia non esiste

Contro i luoghi comuni, si può sempre "morire giovani", un'occasione mancata

Poiché l'invecchiamento è il vero tema di questo nostro tempo, uno scienziato sociale come Marc Augé non può fare a meno di indagare gli effetti del fenomeno sui comportamenti sociali. 
In un volume breve ma denso di concetti, Augé spende la prima parte per demolire, col supporto dei classici, in particolare Cicerone, una parte dei luoghi comuni che proprio i classici ci hanno tramandato. A cominciare da un presunto accoppiamento tra l'accumulo di tempo e esperienze negli anziani e l'acquisizione di una sorta di saggezza, ormai svanita con la scissione tra tempo e età, la vera rivoluzione sociologica cui dedica praticamente tutto il suo studio l'autore. 
Così, in questa logica, perde senso anche l'idea che la vecchiaia possa rappresentare il culmine dell'accumulo di conoscenze, indipendentemente da una reale acquisizione delle stesse nel tempo dell'esistenza del soggetto. 
Auge' passa quindi ad indagare il motivo per cui, soprattutto l'intellettuale, usa spesso la categoria dell'autobiografia per indagare i risultati del tempo che passa e del rapporto tra questo e l'età che avanza dello stesso soggetto indagatore. Certamente questa è la parte che più interessa all'indagine parascientifica dell'autore. 
"Gli intellettuali sono più inclini di altri a condividere l'auspicio di Cicerone di vedere le persone anziane che si prendono cura della loro mente tanto quanto del corpo". Resta il rimpianto, leggendo queste parole, che un fine intellettuale come Augé non colga in questa bella osservazione, la sempre più diffusa parola d'ordine di numerose associazioni di anziane e anziani. Sono loro che, alla luce del notevole allungamento della vita media nei Paesi più ricchi, predicano e, più spesso, praticano appunto questi stessi obbiettivi ben riassunti nelle parole d'ordine dell'invecchiamento attivo e dell'apprendimento permanente. 
Al nostro autore interessa piuttosto l'indagine del racconto di sé da parte di quegli intellettuali, come Simone de Beauvoir e degli scritti più concentrati sul rapporto tra il tempo che passa e la vita degli stessi. Non mancano, in questa direzione, riferimenti sia a Sartre che al Victor Hugo de "Le fantasticherie del passeggiatore solitario". 
Purtroppo anche in questo caso l'autore vede nella tendenziale solitudine prodotta dal passare del tempo e dall'allentamento dei legami parentali e amicali solo l'ovvia constatazione della possibile realtà individuale, trascurando una seria valutazione dei possibili rimedi o, quanto meno, dell'attenuazione di tale stato. Mi riferisco alla necessità di una crescita della vita sociale, valorizzando, in Italia, quella realtà del Terzo Settore, che trova nella socialità e nella aggregazione la sua principale ragion d'essere. 
Augé, insomma, finisce per sintetizzare così la necessità di scrivere di sé di molti intellettuali: "Scrivere è un pò morire, ma un pò meno soli". 
 La seconda parte del testo, l'autore la dedica alla scissione del rapporto tra il tempo che passa e l'età delle persone. L'indagine, in questo contesto, si porta su molte sfaccettature di tale scissione, dal rapporto tra la classe ("quelli del 1980", per esempio) e l'età dei protagonisti che può andare, per paradosso, da venti a ottanta anni. Anche il rapporto tra età e stato di apparenza delle persone. 
C'è, anche in questo caso, la ricerca di ambiti o di vicende che possano ricadere positivamente sull'associazione. La conclusione su questo tema è: "sperimentare nuovi rapporti umani; è un privilegio vivere ciò che avevano solo immaginato... che ce ne si rallegri o che lo si deplori... bisogna pur ammetterlo: tutti muoiono giovani".

Renato Campinoti

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