"Nel dicembre del 1921 nel salotto di Gertrude si presenta un giornalista americano poco più che ventenne... È Ernest Hemingway, che ha in tasca una lettera di presentazione di Sherhood Anderson per colei che è ormai considerata la "madrina" degli intellettuali... a Parigi". In realtà la bellissima storia che Nicoletta Manetti ci racconta inizia nel 1908 a Firenze dove Gertrude Stein e Alice si incontrano dando vita a una delle più belle, tormentate (come lo sono tutte le vere storie) d'amore del novecento.
Al tempo stesso inizia col loro sodalizio e con l'attività intensa di incontri, discussioni, opere che potremmo definire "didattiche" quell' impalpabile ma efficace lavoro di orientamento e di stimolo da parte di Gertrude che la porteranno a essere quella "sacerdotessa del cubismo" da tutti i maggiori artisti del secolo riconosciuta e apprezzata come tale.
"Grazie a lei sono entrati nella storia artisti europei squattrinati ma geniali, come Picasso (il ritratto che lui le fece nel 1906 è considerato l'inizio del cubismo), Braque, Degain, Matisse. Artisti che mai avrebbero potuto prefigurarsi la loro fama, esposero e vendettero le prime tele nel suo atelier".
La ragione che permise alla Stein di sviluppare il ruolo che le sarà di fatto riconosciuto risiede, come ci spiega bene Nicoletta, nell'avvio di quel ruolo di collezionista cui daranno vita lei e il fratello Leo che acquisteranno quadri "fino all'indebitamento".
Tutto comincia a Firenze perchè, ci dice la Manetti, "Firenze ha sempre attirato gli stranieri non solo per la bellezza dell'arte e del paesaggio, ma anche e soprattutto per la libertà... la piacevolezza del vivere lontani dagli schemi e dai giudizi impietosi della società puritana incombente nel mondo anglosassone, consigliava di vivere a Parigi o a Firenze". Avviene così che tutto il prezioso volume, in un continuo rimando tra Firenze e Parigi, ci regala un affresco dei più completi e acuti sulla nascita e la contaminazione dell'arte, sia come pittura che come scrittura, del novecento, tra le nuove avanguardie europee e quelle angloamericane.
Quasi senza soluzione di continuità si va così dalle dieci estate "fiorentine" prima di Gertrude e Leo Stein, poi, dopo il litigio col fratello, di Gertrude con Alice da sole, in un continuo rimpallo tra una villa e l'altra delle nostre colline, per passare poi nell'Atelier parigino di Rue de Fleurus, 27, dove "dopocena tutti a vedere i nuovi acquisti: Derain, Vallottton, Juan Gris, Picabia, Manguin, Braque... L'atelier è uno studio arredato con mobili scuri in stile rinascimentale italiano... la voce si sparge, e oltre agli artisti parigini arrivano gli ungheresi, i tedeschi, gli americani...".
Un richiamo a parte richiede il rapporto tra Gertrude e Picasso cui abbiamo già accennato, non solo perché "Tra Pablo e Gertrude si insatura un'intesa speciale", ma soprattutto perché "il ritratto di Gertrude da parte di Picasso segna il passaggio dal primo 'incantevole, italianeggiante' periodo dei grandi Arlecchini a quello tormentato del cubismo... Gertrude si sente madrina di questa nuova forma artistica che nasce tra le pareti di casa sua. Ne introietta il senso del non senso che però ha un senso, vi ispira la propria poetica".
Accadrà infatti che pochi anni dopo, nel 1911, ancora sulle colline fiorentine, mentre in città Marinetti e i futuristi milanesi danno vita a disordini che non raggiungono tuttavia le zone sopraelevate della città dove vive la nostra protagonista e la sua Alice, proprio lei apre nuove strade anche nella letteratura. Sarà infatti col lungo romanzo/racconto di oltre cinquecento pagine (The making of Americans) "che Gertrude ha forse compiuto il passaggio più importante del suo percorso letterario: non trova più rispondenza tra i cinque sensi e il mondo che la circonda. Lo scopo e il metodo sono proprio lo svicolare la narrazione tra tempo e luoghi... La rottura delle regole del linguaggio coincide e ricalca la rottura dell'ordine sociale". Insomma Gertrude Stein, dopo aver dettato legge ed esaltato i nuovi pittori dell'impressionismo e del cubismo, si pone come faro anche di un nuovo modo di interpretare la letteratura. "Stavo cercando di sfuggire dalla narrativa del diciannovesimo secolo all'attualità del ventesimo".
Basta porre mente a cosa era stata la letteratura russa, francese italiana nel diciannovesimo secolo, per avere un'idea del compito davvero immenso cui ha messo mano questa peraltro presuntuosa e piena di se (salvo diventare fragile e arrendevole davanti alle scenate di gelosia della sua Alice!) letterata e "docente" di letteratura. Ora infatti non sono più solo i pittori (e che pittori!) ma i nuovi letterati (a cominciare appunto da Ernst Hemingway!) che penderanno dalle labbra di questa americana trapiantata a Firenze e a Parigi. Sarà ancora lei che appiccicherà l'etichetta all'autore di "Per chi suona la campana" e a quelli che hanno fatto la guerra mondiale, di "generazione perduta" (Lost generation). Sarebbe lunga la lista dei personaggi, non solo scrittori, ma anche mecenati, collezionisti, artisti in senso lato, che Gertrude incontra anche per lunghi periodi e la cui frequentazione contribuisce ad arricchire la sua competenza critica e artistica.
Basterà richiamare qui la famiglia Berenson, frequentata a Villa i Tatti sulle colline fiorentine o Mabel Dodge, americana di Buffalo amica di ser Acton "dedita anche lei all'arte in tutte le sue forme". Sarà lei che contrarrà una lunga amicizia con D.H. Lawrence, colui che proprio in una villa sulle stesse colline scriverà quel capolavoro che è "L'amante di Lady Chatterley", dalla nostra Nicoletta Manetti mirabilmente ricordato in un altro dei sui lavori dedicati agli stranieri passati nella città del giglio.
Come tutte le belle storie, anche questa ha un finale positivo, almeno dal punto di vista artistico, con il successo mondiale del libro più famoso di Gertrude Stein, quell' Autobiografia di Alice B. Toklas, dove, fingendo il contrario, in realtà è Gertrude stessa che scrive la propria di biografia e regalando al mondo l'impressione di essere venuto a contatto con il "crocevia delle più alte vette artistiche della prima metà del secolo passato".
Per finire, invito tutti a godersi, con la lettura diretta, questo sostanzioso volume e le tante pagine che dedica a una figura che fu sicuramente un artefice delle grande letteratura del novecento, salvo poi eclissarsi e lasciare la scena a molte delle sue stesse creature. Aggiungo che questa volta Nicoletta Manetti, con una prosa precisa e incalzante, ci ha fatto davvero un gran bel regalo, riportando in superficie questo personaggio e, con esso, un prezioso pezzo di storia artistica e culturale sviluppata e cresciuta sulle nostre colline e in corrispondenza diretta con Parigi e non solo, con troppa fretta spesso frammentata nei suoi, pur notevoli, personaggi.
Renato Campinoti
Renato Campinoti
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