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18 febbraio 2024

Fëdor Dostoevskij: La mite

Quasi un femminicidio

Assolutamente innovativo e interessante il registro narrativo scelto dall'autore in questa occasione. Come descrivere altrimenti l'approccio mentale di un personaggio come il protagonista di questo romanzo breve che vuole a ogni costo dimostrare la sua "innocenza" di fronte al cadavere della giovanissima moglie che si è appena gettata dalla finestra e giace ora sul tavolo di casa senza vita? 
Così Dostoevskij sceglie di entrare nella testa del marito, titolare di un banco di pegni, e ripercorrere dal di dentro di quella mente i pensieri e gli atteggiamenti di un personaggio al tempo stesso vile e impregnato di una radicata cultura maschilista. Avviene così che l'uomo non fa in tempo a farci immaginare una giovane ragazza dal carattere buono e mite, che immediatamente si contraddice iniziando il racconto con l'incontro con lei al banco dei pegni. 
Il primo giorno la ragazza si presenta con una vecchia giacca mezza rovinata e «mi rivolsi a lei con una qualche spiritosaggine. Madre mia come montò in collera! I suoi occhi erano azzurri, grandi, pensierosi, eppure come si infiammarono!Ma non si lasciò sfuggire neppure una parola, raccolse i suoi resti e uscì» 
Quando il giorno seguente, dopo aver provato da un altro usuraio che le rifiuta la misera merce, la ragazza si presenta di nuovo dal nostro personaggio, questi fiuta la possibilità di umiliarla e accoglie la merce "con una punta di stizza: «Sia chiaro che io questo lo faccio solo per voi»... Sottolineai in maniera particolare quel per voi. Lei montò in collera... ma non fiatò, non rifiutò i denari, li prese; a tal punto conduce la povertà". 
Veniamo così a sapere che, anziché mite e buona come vorrebbe farcela immaginare il nostro personaggio, siamo di fronte a una persona, per quanto giovanissima, che non riesce a trattenere i tratti di orgoglio e di amor proprio, purtroppo sopraffatti da un estremo stato di bisogno. Di tale situazione il racconto ci dà ampiamente conto, come pure dei raggiri che l'uomo dei pegni mette in atto pur di non lasciarsi sfuggire l'occasione di chiedere e ottenere la disponibilità a sposarsi da una ragazzina giovanissima, di appena sedici anni, che, di fronte alla prospettiva di una vita di stenti e di miseria, prova a imbastire un matrimonio certamente accettato senza amore e trasporto. 
Perfino la speranza della ragazza di un rapporto migliore col marito frustrata continuamente da un atteggiamento e una mentalità grettamente maschilista, con una forte dose di abuso economico e di necessità. Avviene così che l'uomo rifiuta perfino di parlarle perché "Io tacevo sempre...  ma perché tacevo? Volevo che indovinasse da sola il segreto di quest'uomo e lo comprendesse! Accogliendola in casa mia, esigevo da lei pieno rispetto. Avrei voluto che stesse davanti a me a pregare per le mie sofferenze, me lo meritavo". 
Perfino quando "Da parte sua, una volta o due, vi furono degli slanci, si gettava ad abbracciarmi... questi slanci erano morbosi, isterici, e io sentivo invece il bisogno di una felici solida, accompagnata dal suo rispetto, li accolsi gelidamente". 
Tale è l'amor proprio del personaggio che perfino quando la insegue di nascosto una volta che la ragazzina ha un incontro con un ufficiale che vuole incontrarla per raccontarle del carattere meschino del marito, e lei rifiuta approcci di altro genere da parte dell'ufficiale medesimo, suo marito, lungi dal riconoscere la virtù della moglie, si addossa il merito di averla sposarla. "Torna a mio onore il fatto che io ascoltassi questa scena quasi senza stupirmi... E avrei potuto immaginarne una diversa? Altrimenti perché l'avrei amata... Perché mi sarei sposato con lei?". 
Di questo passo la ragazza non può che passare di disperazione in disperazione, fino alla mancanza totale di dialogo da parte di quest'uomo il quale, ancora di fronte al cadavere della moglie ha il coraggio di arrogare alla moglie la responsabilità del gesto e a sé la capacità, con la sua sola presenza, di salvarla: "se solo avesse aspettato un momentino, allora, allora io avrei squarciato le tenebre", che poi non vuol dire niente se non che rappresenta, ancora una volta, una frase a sua discolpa. 
In realtà con questo breve romanzo Dostoevskij ci introduce a quei temi di scavo nelle personalità, spesso negative, dei suoi personaggi, inadatti a vivere con serenità il rapporto col mondo. In questo caso si può senz'altro dire che si può macchiarsi di femminicidio anche quando non si commette materialmente il delitto.

Renato Campinoti

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