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11 gennaio 2024

Maurizio De Giovanni: Soledad

Solitudine dell'anima, in un'Italia fascista sull'orlo dell'abisso

Che la solitudine sia il tema centrale di questo nuovo, azzeccato romanzo sul commissario Ricciardi di De Giovanni, ce lo dice già il titolo. Per chi non lo avesse capito, lo scrittore napoletano ce lo dice in modo superlativo declinando in tutte le sue sfaccettature nelle cinque pagine messe a premessa del romanzo stesso. "La solitudine è una questione di cuore. La mente ci arriva, con qualche sforzo ma ci arriva... E il corpo si rassegna, anche se con difficoltà... Il cuore no. Il cuore ha il suo battito che non è quello dei minuti, e continua testardo a picchiare in petto...
Ma ci vorranno ben 258 pagine di questo bellissimo e sfaccettato racconto per arrivare a capire di quale solitudine voleva parlarci questa volta De Giovanni: "Una persona anziana si aggrappa alle poche sicurezze che le rimangono. Il mondo crolla attorno, e lei si sente perduta. E farebbe qualsiasi cosa per rimettersi in piedi se è caduta". 
Dunque della solitudine e della condizione degli anziani che perdono le loro certezze, voleva parlarci l'autore, che è certamente un tema potremmo dire universale e di grande attualità nel mondo di oggi e in un Paese come l'Italia dove sono ormai una mezza dozzina le province dove il numero dei pensionati supera quello dei lavoratori. 
Ma De Giovanni non si limita a vedere una sola faccia della solitudine. C'è quella della persona anziana che perde le certezze, ma c'è anche quella di una donna bellissima e ricca che si è chiusa nel suo dolore per una delusione d'amore. A questa solitudine, forse, si può porre rimedio. Ci vorrà un uomo che ha anch'esso patito la solitudine, ma che ha imparato a combatterla, che dirà a quella donna: "La solitudine è una malattia, Bianca. Una malattia subdola e grave. Ma si può curare
Ed è forse, nella reazione faticosa ma positiva di Bianca a queste parole che si può trovare l'unico segno di ottimismo che De Giovanni ci lascia su questo tema nel suo Soledad. 
Ma l'autore non si limita a indagare l'aspetto, diciamo così, sentimentale della solitudine. Una parte importante e tutta negativa per riportare le persone a vivere da sole, per paura del rapporto con gli altri, è il clima politico in cui si svolgono gli avvenimenti. Siamo nella fase forse più dura e cattiva del regime fascista che, sposandosi con la politica guerrafondaia e razzista di Hitler, mostra la sua faccia più feroce e disperata. Molti dei protagonisti sono costretti a perdere ogni illusione di fronte alle scelte razziste del regime. Emblematico ciò che succede al vicequestore Garzo, uno dei più succubi dell'ideologia fascista e dei più rispettosi della gerarchia. 
Senza andare oltre si può tuttavia notare che saranno le leggi razziali sugli ebrei che costringeranno perfino il Commissario Ricciardi a porsi il problema di come difendere, allontanandola da quell'ambiente cittadino, la figlia Marta che la povera moglie morte di parto gli ha lasciato per sua consolazione. 
Regalandoci, si spera, un seguito, a questo punto indispensabile, delle avventure del commissario più amato dai suoi lettori. Ma il clima di terrore e di sospetto in cui si avvita sempre più il regime fascista, ormai a un passo dal cadere nella catastrofe della guerra a fianco dei nazisti, è ben incarnato dal medico anatomopatologo Bruno Modo, da sempre contrario al regime fascista ma anche preoccupato di essere di nuovo arrestato, come gli è già capitato, uscitone solo per l'amicizia del commissario. 
La sua mania di trovarsi a fianco una spia del regime si rivelerà infondata, ma non gli impedirà di venire a conoscenza del trattamento riservato ad altri che la pensano come lui e, soprattutto, a un capo operaio molto apprezzato nell'ambiente dei lavoratori e improvvisamente scomparso dalla circolazione. 
Sembra quasi una storia come quella di molti dirigenti operai napoletani, come ad esempio Cacciapuoti, che torneranno solo dopo la guerra di liberazione alla testa dei partiti della sinistra. 
Ma non c'è solo l'aspetto della mancanza della libertà e dell'odiosa legislazione razziale del regime mussoliniano. De Giovanni dedica alcune delle pagine più accorate del libro alla vera piaga che la sua città pativa (e in parte continuò a patire) sotto questo odioso regime: la miseria, la fame, la triste condizione soprattutto dei minori e dei bambini. 
Sarà quando viene a conoscenza di un episodio doloroso che lo riguarda, che De Giovanni farà dire proprio a un esponente del regime: "Ma i bambini non dovrebbero morire, non credete? I figli dovrebbero essere felici. Cominciò a singhiozzare. Né Maione, né Ricciardi ebbero la forza di fargli coraggio. Perché entrambi pensavano che i bambini dovrebbero crescere felici. E che nessuno dovrebbe impedirglielo". 
Ma a coronamento del libro l'autore fa emergere in primo piano proprio la figura del brigadiere Maone, il suo fidato assistente, l'unico con cui uno riservato come Ricciardi, arriva quasi a confidarsi. Sarà Maone, nella predica finale che rivolge a tutta la famiglia proprio prima del pranzo di Natale che svolge un bellissimo ragionamento sul falso e sul vero eroe, per far intendere ai figli, e soprattutto a chi sbaglia, "L'eroe, lo dovete capire bene, guagliò, non sembra forte: è forte. Lo è perché sa quello che deve fare, in ogni momento. Ha principi, ideali. Tiene presente nella testa i suoi modelli, un padre, un maestro, un amico o un fratello, e soprattutto la madre... E se può rispondere che queste persone gli direbbero bravo, hai fatto bene, allora quello è un eroe. Mi avete capitò, si?
Maone è bravo, come sono bravi tanti dei personaggi che De Giovanni ci fa sempre meglio conoscere. Ma su tutti ormai spira forte il vento di un brutto cambiamento. E noi ci aspettiamo di vedere quello che succede loro e come usciranno da questa buia notte in cui il fascismo ha cacciato anche le persone migliori.

Renato Campinoti


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