"Nella loro stanza c'è sempre quiete e silenzio, come se non ci vivesse nessuno. Non si sentono nemmeno i bambini. E non capita mai che una qualche volta si divertano un po'... Una sera mi trovai a passare accanto alla loro porta... sento un singhiozzo, poi un sussurro, poi di nuovo un singhiozzo, come se stessero piangendo, ma in modo così penoso, che il cuore mi si è sconvolto, e poi per tutta la notte il pensiero di quei poveretti non mi ha abbandonato...".
Ѐ questo uno dei brani più forti con i quali il grande autore intende rappresentare un filone fondamentale di questo libro: la miseria così diffusa nella Russia del suo tempo, dello Zar Nicola I, contro la quale Dostoevskij ha preso parte fino a rischiare la fucilazione e a scontare comunque una mezza dozzina di anni ai lavori forzati in Siberia prima, in prigione poi.
Allo scrittore, alla sua prima, riuscitissima, prova di romanzo, interessa dare chiara la rappresentazione della rigida divisione in classi del suo Paese, dove basta poco per passare da una vita appena dignitosa a un ambito, molto esteso, di miseria e di mancanza dei pur minimi mezzi di sussistenza. Dostoevskij torna più volta nelle lettere che si scambiano i due protagonisti del romanzo, Varvara Dobroselova, giovanissima vittima di violenza e l'impiegato di bassissima fascia Makar Devuškin, di una ventina d'anni più grande di lei, sul tema della miseria.
È illuminante, da questo punto di vista, il fatto che l'uomo si accolli l'impegno di tenere a galla, da un punto di vista economico, la ragazza rimasta priva di lavoro e di una minima indipendenza economica. Questo avrà come conseguenza una continua oscillazione, ben espresso nelle lettere che si scambiano, tra momenti di soddisfazione per poter appena sbarcare il lunario e momenti in cui è preclusa perfino questa possibilità.
Ma la miseria non è solo disperazione. Essa comporta, come evidenzia benissimo lo scrittore, da un lato il disprezzo da parte della gente ricca "la gente ricca non ama che i poveretti si dolgano a voce alta del loro amaro destino, dicono che danno angoscia, che sono importuni. E la povertà è sempre importuna...", dall'altro la miseria estrema fa cadere nel vizio, soprattutto nell'alcolismo, chi ne è colpito. "...voi vi comportate cosi male; ancora non sapete che patisco per colpa vostra!... tutti mi guardano, mi indicano col dito, e dicono cose terribili, si, lo dicono apertamente, che mi sono legata a un ubriacone, Che cosa mi tocca sentire!" Sarà lei a spronarlo a superare questa brutta caduta "Comportatevi da uomo nobile, forte nelle disgrazie; ricordate che la povertà non è un vizio"
Questo, del rapporto tra miseria estrema, fatica e ubriachezza, è un tema ricorrente sia in questo libro che in altri del grande scrittore e della letteratura russa. Spesso associato alla misera e faticosa vita dei contadini poveri. L'altro grande tema di questo riuscitissimo esordio di Dostoevskij, è quello della violenza sulle donne e del vero e proprio stupro che la stessa protagonista del romanzo dichiara di aver subito a opera di un ricco, rozzo e prepotente uomo d'affari, Bikov, il quale non si accontenta di essere stato il suo violentatore, ma la inseguirà ripetutamente per tutto il libro fino ad averne ragione.
Il tema della violenza dell'uomo ricco e incolto è una delle rappresentazioni più riuscite del romanzo. Impagabile il monologo di Bikov quando, riandando alla vicenda della sua violenza su Varvara, parlandone a Varvara medesima, le ricorda il ruolo di ruffiana svolto dalla zia Anna, appellandola come "donna molto infame". Poi aggiunge, "Per parte mia in quell'occasione mi sono comportato da canaglia, ma che volete, è un caso della vita." Dopo di che, come ricorda Varvara, "A questo punto si è messo a ridere senza freni".
Inevitabile, come il lettore potrà scoprire, che alla fine la paura della miseria e anche la pressione del ricatto, spingeranno a una conclusione inattesa. Si tratta certamente di un romanzo che va verso una rappresentazione veritiera della realtà sociale della Russia e del popolo. Ma l'arte del grande scrittore non è priva, neppure all'esordio, di quella capacità di scavare nella psicologia dei personaggi che emergerà con grande evidenza nei romanzi maggiori.
Da notare, infine, il forte intreccio, già in questo romanzo d'esordio, tra scrittura e letteratura, così come quando cita una sfilza di nuovi romanzi che ruotano intorno, tra gli altri, a Puškin e Shiller, due autori particolarmente cari a Dostoevskij ed entrambi, in contesti diversi, impegnati a guardare al nuovo romanzo popolare.
Renato Campinoti
Renato Campinoti
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