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28 dicembre 2023

George Simenon: Le persiane verdi

Un invito a non fuggire dagli altri e dalla vita sociale

Bisogna aspettare di arrivare quasi a metà di questo particolarissimo libro di Simenon per capire il senso del titolo. "Si vedeva una casa bianca, spaziosa, immacolata, con le persiane verdi e il tetto di ardesia, circondata da un giardino con prati ben tenuti e vialetti accuratamente rastrellati... È la casa che ho sempre sognato", gli dice Yvonne Delobel, la donna che aveva in quel periodo, quando era già diventato il 'grande Maugin', ma era ancora alla ricerca della più ampia celebrità. 
Alla domanda che le fa la donna: "Tu non hai mai sognato una casa con le persiane verdi?" Lui riponde: "Non mi pare. No". Ma tutto questo accadeva diversi anni prima. Ora Maugin vive un'altra vita, sempre all'insegna crescente della sua popolarità e della fama, con una giovanissima moglie di poco più di vent'anni mentre lui ne ha 59. 
Qui, sempre a meno di metà del libro, che, continuando col bere e con l'inseguire tutte le richieste sia a teatro che nel cinema ("mi ha detto che deve fare cinque film. E che ha le repliche dello spettacolo fino al 15 marzo", gli fa osservare il medico che lo visita) che Maugin, quando il giovane segretario lo vede un po' stranito, gli domanda: "Le faceva male qualcosa?", la risposta sarà: "Mi facevano male le persiane verdi, signro Jouve!"
Così capiamo che il racconto che Simenon vuol farci con questo bellissimo libro, comincia quando il grande personaggio, il grande artista, già famoso di suo a teatro e che troverà col cinema la gloria e la ricchezza, sta subendo, nel corpo e nell'anima, il riflesso di una vita tutta centrata sulla ricerca, appunto, della gloria e dei soldi, ma inadeguata a costruire qualcosa di solido. Neppure il figlio avuto da un amore giovanile, da una donna che, lei si, saprà ricostruire la sua vita, si dimostra in grado di vivere senza l'aiuto, spesso solo finanziario del padre, che non riesce né a stimarlo né ad amarlo. 
Perché, viene da domandarsi, questo libro è stato così importante per l'autore e si è fatto tanto apprezzare da una critica che raramente riconosceva molti meriti a Simenon quando usciva dal ruolo di autore di Maigret? 
Per rispondere a questa domanda occorre andare a leggere la parte finale del libro, quando ormai Maugin è vicino all'agonia. In queste pagine Simenon immagina d'inverare il detto che nei pochi attimi prima della fine la nostra mente passa in rassegna presso che l'intera vita. 
Avviene così che nella mente del grande attore rivivono tutti i momenti, dalla estrema miseria, alle prime amicizie nei bassifondi di Parigi, ai primi, incerti successi, fino all'appagamento e alla gloria. Una gloria, in realtà, mai vissuta con gioia, sempre, in tutti i campi, alla ricerca di qualcosa di nuovo, anche con le donne, con le quali non sembra mai stabilire una reale, profonda relazione di vita comune. 
Ecco allora che a Maugin si illumina qualcosa, si accende quella che potrebbe essere per lui la spiegazione di una vita vissuta di corsa, senza mai incontrare davvero, le "persiane verdi", quella casa e quella vita che diano davvero il senso di aver raggiunto una meta. "E allora quale era la sua colpa? Aver scelto una meta sbagliata? Essersi accanito a voler essere Maugin, un Maugin via via più importante... L'aveva fatto per scappare. Si, per scappare. Era la parola giusta... Aveva fame e scappava dalla fame. Viveva in mezzo al tanfo degli alberghi malfamati e scappava dal senso di nausea. Era scappato dal letto delle donne che aveva posseduto, perché erano solo donne e niente più, e quando si trovava di nuovo solo beveva per scappare da se stesso". 
Allora viene da chiedersi: Simenon scrive questo romanzo quando non ha ancora cinquanta anni. Eppure si rintracciano, a me pare, in quest'opera, molti tratti della sua autobiografia. Non c'è lui che passa nottate e intere settimane a scrivere un romanzo, sudando come un dannato? Non è lui a ricercare il sesso con molte donne, anche di prostitute, per la paura, mi pare l'unica spiegazione, di rendere troppo forte il legame con le compagne e le mogli che pure sposa? Non c'è anche in lui, che ottiene non poca fama e ricchezza con i libri su Maigret, la ricerca di un ulteriore riconoscimento e di nuova fama con i tantissimi libri di ogni genere, compreso quello psicologico, che non si stanca di scrivere? Non è la sua autobiografia, o almeno non parla solo di se Simenon in questo libro. 
Certamente disegna un tipo di artista molto diffuso in quegli anni, incapace di dare un senso definito alla propria vita e alle proprie passioni, come se ne potrebbero citare a decine. Non a caso l'autore sente il bisogno di mettere un'Avvertenza a premessa del romanzo per smentire ogni possibile identificazione con molti dei maggiori attori di quel periodo e ne cita alcuni proprio per negarne l'affinità. 
Già, perché non uno in particolare, ma di molti di loro, e un po' di se stesso, ci ha voluto parlare con questo romanzo. Mettendoci in guarda contro "la meta sbagliata" di chi, fuggendo continuamente dal proprio passato, finisce i propri giorni proprio come non avrebbe voluto. Maugin. 
Ci avverte Simenon, "Aveva una fifa blu di morire da solo, solo come un cane". Mi pare che di queste paure fosse, ieri come oggi, pieno il pensiero di molti che, come Maugin, non avevano fatto (e continuano a non fare) altro che correre verso la solitudine. 
Eppure, quasi un secolo prima un grande della letteratura aveva già messo in guardia gli uomini di successo: "Nel nostro secolo...ognuno si ficca nel proprio buco da solo, si allontana dagli altri... e così va a finire che respinge lontano da se gli altri uomini... Accumula ricchezze in solitudine e pensa 'come sono forte ora, come sono al sicuro'. E non sa, questo sciocco, che quanto più accumula, tanto più affonda in una impotenza che è autodistruttiva. Perché si è abituato a sperare solo in se stesso... isolandosi ha abituato la sua anima a non credere nella solidarietà umana, negli uomini e nella umanità" (Dovstoevskij: I fratelli Karamazov).

Renato Campinoti

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