Un libro contro tutti i pregiudizi e contro la guerra
C'è voluto un libro bello, pieno di competenza e di ritmo come questo costruito dalla bravissima Madeline Miller per farci capire quanta strada deve compiere ancora la cosiddetta civiltà occidentale per mettersi al pari dell'antico popolo greco. Chi è Achille, di cui ci ha parlato nei suoi romanzi epici il grandissimo Omero? Alla Miller bastano poche frasi messe in bocca al più astuto e intelligente di tutti, Odisseo/Ulisse, per raccontarcelo: "Achille è un'arma, un assassino. Non dimenticartelo", dice il re di Itaca al mite Patroclo. E aggiunge: "Puoi usare una spada come un bastone da passeggio, tuttavia ciò non cambia la sua natura". E quando l'amante di Achille prova a negare debolmente questa affermazione, Odisseo è ancora più diretto: "Invece si. L'arma migliore mai creata dagli dei. Ed è tempo che lui lo capisca, e che lo capisca anche tu." Ed è proprio perché Achille è questo, il più forte e il più abile di tutti, capace da solo di cambiare l'esito di una battaglia, che risalta ancora di più la naturalezza con cui, quell'antico e civilissimo popolo accetta la "diversità" dell'amore tra Achille e Patroclo, come una forma legittima di espressione dell'eros in natura. Si potrebbe dire, ed è qui un altro grande pregio di questo romanzo, che è proprio sulla più o meno completa accettazione di questa alterità della coppia Achille/Patroclo che si può misurare la qualità umana, lo spessore della personalità dei diversi attori in campo. Così, mentre non risparmia frecciate polemiche anche robuste verso Achille, Odisseo non si sogna di mettere minimamente in dubbio la legittimità del rapporto d'amore tra il pelide e Patroclo. Lo stesso si può dire del Centauro semideo Chirone, che sarà anche colui che forgerà l'animo e la cultura dei giovanissimi Achille e Patroclo. Al contrario sarà proprio la madre di Achille, la Teti dea degli abissi che, accoppiatasi contro il suo desiderio con Peleo, re di Ftia e padre di Achille, non accetterà mai quel rapporto tra i due giovani. Solo l'amore e la devozione di Achille per lei proveranno a darne una ragione un poco diversa da quella del radicato pregiudizio con cui questa dea negativa guarda alle cose del mondo. "Mia madre é convinta... che Patroclo non sia un compagno adatto a me perché mortale". Sarà proprio Chirone, che ha preso i due giovani sotto le sue cure, che darà la riposta giusta a entrambi. "Teti vede molti difetti, alcuni veri, altri inesistenti... É giovane e ha tutti i pregiudizi della sua stirpe. Io sono più anziano e m'illudo di essere in grado di leggere gli uomini più chiaramente. Non ho niente da obiettare su Patroclo come tuo compagno".
Molto istruttivo, da questo punto di vista, il colloquio tra Patroclo e Achille quando quest'ultimo mette a parte l'amico della profezia secondo la quale Achille è destinato a vincere tutte le battaglie e a uccidere Ettore, sconfiggendo così i troiani, ma è destinato a morire lui stesso subito dopo. È la profezia di cui lo mette a conoscenza la madre Teti. "Le ho chiesto di proteggerti... dopo", confessa Achille all'amico, il quale chiede: "Lei cosa ha detto?". Al che Achille arrossisce per la vergogna e risponde: "Ha detto no". Teti insomma si conferma una dea degli abissi marini, incapace di guardare con gli occhi del popolo greco alle vicende del mondo.
Ma altrettanto goffo e inadeguato al ruolo che il destino gli chiede di svolgere si rivelerà Agamennone, re di Micene e fratello di quel Menelao, re di Sparta, la cui moglie rapita dal troiano Paride è all'origine della guerra. Saranno la sua arroganza e la pretesa di essere superiore ad Achille a provocare l'astinenza di Achille medesimo dal campo di battaglia e il rischio di una rovinosa sconfitta per i greci. Sarà, ancora una volta, Ulisse a intervenire per mettere in crisi i propositi di astinenza di Achille dalla battaglia e, soprattutto, dal tentativo del medesimo di dilazionare il momento dello scontro mortale con Ettore ("quali ragioni ho io per uccidere Ettore?", si chiederà retoricamente più volte Achille). "Tu ci stai tenendo qui, Achille. Ti è stata data una scelta e l'hai compiuta. Ora devi andare fino in fondo". Ma Ulisse è ancora più diretto: "Hai fatto ciò che era in tuo potere per sbarrare la strada al destino. Ma non puoi continuare così per sempre".
Con un ritmo incalzante, la brava Miller ci conduce all'esito finale, all'uccisione di Patroclo da parte di Ettore e all'"ira funesta" di Achille che si decide così a uccidere il suo principale nemico e, con la sua stessa uccisione, a portare agli esiti noti la vicenda del lunghissimo assedio di Troia. Ma si sbaglierebbe a pensare che con questo romanzo la scrittrice abbia voluto riproporre l'epica della guerra e della superiorità greca sugli altri popoli. Al contrario, le vicende belliche sfumano continuamente rispetto al prevalere della storia d'amore tra i due principali protagonisti, Achille e Patroclo, fino a diventare Patroclo il vero, superiore personaggio del romanzo.
Sarà Briseide, la bellissima schiava che Patroclo fa chiedere da Achille come bottino di guerra per salvarla da un brutto destino, che urlerà ad Achille, che ha mandato l'amico a combattere al suo posto: "Valeva dieci volte te. Dieci! E tu l'hai mandato incontro alla morte!".
E se non ci fosse ancora parso chiaro, l'intento del romanzo era proprio quello di mettere in risalto l'inutilità e la immoralità della guerra come strumento di soluzione delle controversie tra i popoli. Al contrario diventano solo mezzo per esibire e accrescere la fama o il potere degli uomini (e anche delle donne, in questo caso, come scoprirà il lettore attento sulle possibili ragioni della fuga di Elena da Sparta!).
In questo senso è una vera perla ciò che ricorda e ci dice Patroclo: "Una volta Chirone ci aveva detto che le nazioni sono la più sciocca invenzione dei mortali. 'Non c'è uomo che valga più di un altro, e non importa da dove proviene'. 'Ma se quell'uomo fosse mio amico?' aveva chiesto Achille...'O mio fratello? Dovrei trattarlo come uno sconosciuto?' La tua è una domanda su cui si interrogano i filosofi', aveva detto Chirone. 'Vale di più per te, forse. Ma lo sconosciuto è l'amico o il fratello di qualcun altro. Quindi quale vita è più importante?'".
Alla luce di questa semplice frase si può davvero dire che è un bene che questo libro della Miller sia diventato il vero best seller degli adolescenti di molte parti del mondo. E che lo sia diventato quando, purtroppo, intere classe dirigenti continuano a pensare che la guerra, con le sue carneficine e le sue crudeltà, possa ancora rappresentare uno strumento possibile per accrescere la loro potenza. Così come, alla luce dei penosi dibattiti sul respingimento dei migranti, è un bene che i giovani si interroghino sul quesito di Chirone: Ognuno ha amici e parenti in qualche parte del mondo. Quindi quale vita è più importante?
Renato Campinoti
Bella recensione, dettagliata, documentata e appassionata, come sempre
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