Ancora una volta Simenon, lo scrittore che ha fatto del giallo moderno uno straordinario strumento di indagine sociale con Maigret, ci dimostra una speciale grandezza nei libri privi del suo più famoso personaggio.
È ciò che succederà al grande Camilleri che ha indagato come nessuno la sua Sicilia attraverso Montalbano e che ci regalerà delle vere perle con i libri dove non è presente il commissario.
Per venire a questo libro del grande scrittore belga di lingua francese, dico subito che non è facile provare simpatia per nessuno dei personaggi che ci vengono presentati, a cominciare da Élie, rossiccio, con occhi sporgenti, brutto e di carattere schivo e, soprattutto, povero e molto solo. Al contrario Michel, colui contro cui si scatenerà la rabbia del primo, ha una bella presenza, pronto a incantare chiunque, pieno di amicizie, con una bellissima madre che stravede per lui, e, soprattutto, ricchissimo.
Élie è nato povero, in una famiglia molto numerosa e dove ognuno è costretto ad arrangiarsi, e ha vissuto a Vilnius in un ambiente molto freddo. "In quei lunghi inverni che duravano sei mesi e più, si vedevano ragazzini sguazzare a piedi nudi nella neve, e a casa sua capitava che tra fratelli si litigasse per un paio di stivali".
Sarà così che Élie, per studiare all'Università a Liegi, dove si scopre particolarmente dotato, è costretto a vivere in una misera, anche se dignitosa pensione, dove conosce persone come la proprietaria signora Lange con cui entra in simpatia e, soprattutto, la figlia Louise, piuttosto scialba, ma che per lui rappresenta "un che di dolce, di rassicurante".
La miseria lo costringe a vivere senza riscaldamento nella sua camera e a stare spesso in cucina dove la padrona lo invita a trattenersi per godere del calore delle vivande messe a cuocere. Si farà bastare due uova al giorno per campare e dedicare i suoi sforzi allo studio, con le dispense universitarie da cui non si separa mai. Vive con i vecchi abiti e un pesante cappotto, fuori moda, portato da Vilnius.
Tutto lo riporta a quei "mesi di neve e tormenti" vissuti fin da bambino. Ora "che era lontano, tutto ciò gli appariva come un tumulto implacabile, le persone simili a insetti obbligati a divorarsi a vicenda per sopravvivere... Era per via di quel tumulto che se ne stava rintanato in casa della signora Lange come se avesse trovato finalmente un rifugio".
Più avanti Simenon tornerà sul modo di intendere la vita in quella casa da parte di Élie e sarà ancora più esplicito sui motivi di fondo che saranno anche, come vedremo, le cose che vuole assolutamente difendere quando le vedrà insidiate.
Quando, con l'arrivo in quella casa di Michel, che alloggerà nella camera più bella, col riscaldamento e con la pensione completa, tutte le attenzioni e le simpatie si riverseranno su di lui. Sia da parte della signora Lange che, soprattutto, da parte di Louise, che Michel, diversamente da lui, circuirà facilmente costringendola perfino a umilianti giochi erotici.
Quando sente la signora Lange appellarlo come "geloso" del nuovo arrivato, Élie si fa qualche domanda, dandoci così, secondo me, anche la chiave di lettura di questo lavoro di scavo di Simenon. "Di cosa era geloso? In quella casa era un pensionato come gli altri, anzi nemmeno quello perché era il più povero... Approfittava della presenza di tutti, del suono delle loro voci. Era lui che, deliberatamente, si aggrappava a loro, giacché in fondo, anche se non lo avrebbe mai confessato a nessuno, e men che meno a se stesso, aveva paura della solitudine". Il tema della solitudine ricorrerà più volte come lo spauracchio contro cui il giovane studente povero sente la necessità di lottare e, soprattutto, lo porterà a vedere in Michel, nella sua sfrontatezza e agiatezza il nemico principale capace di ricacciarlo nelle misere condizioni della sua infanzia.
Accanto al tema della solitudine c'è la paura di perdere le poche certezze che riesce a costruire. "Preferisco starmene pei i fatti miei, nel mio angolino", risponderà a Michel quando questi lo invita ad andare con lui in città la sera. Questa paura è ancora più evidente nella seconda parte del racconto di Simenon, quando Élie avrà lasciato la casa di Liegi e la stessa università e si sarà costruito una nuova vita, compresa una moglie messicana, in Florida. È qui che svolgerà a lungo il mestiere di recepsionista in un albergo a Carslon City, godendosi finalmente il caldo torrido di lunghe estati. Ed è qui che ancora una volta vedrà messo a rischio ciò che, con difficoltà, è riuscito a costruirsi.
Di nuovo, quando vede profilarsi la possibilità di perdere tutto, due sono le cose cui vuole rimanere aggrappato. "A che scopo tentare di spiegare?", si dirà quando pensa a come giustificare le sue mosse, "Non voleva stare da solo, punto e basta", è la risposta che per lui ci da Simenon.
La seconda cosa "Era il suo angolino". Molto efficace la descrizione che ce ne fa Simenon di cosa intendeva per suo angolino il buon Élie. "Dormire a casa sua, nel suo letto ancora madido del sudore di Carlota... circondato dai rumori familiari che arrivavano da fuori: il chiocciare delle galline, l'abbaiare di un cane, lo strombazzare dei clacson e le voci acute delle donne che si apostrofavano in spagnolo... Era il suo angolino, Lì poteva sudare, annusarsi la pelle unta, sentirsi grasso e sporco, e vigliacco"
Sono proprio queste apparenti banalità, che ognuno declina a modo suo, che definiscono il confine e la ricchezza di cui un modesto personaggio come quello costruito da Simenon non può e non vuole fare a meno e per non perdere le quali è disposto a mettere a rischio la sua stessa libertà.
Si chiude questo agile libro dell'autore di Maigret, scritto con il solito ritmo efficacissimo e con la consueta capacità di tenerci attaccati fino all'ultima riga del racconto, domandandoci se Simenon, ancora una volta, non stesse parlando anche a noi, ai nostri vizi e ai tanti "angolini" cui difficilmente sapremmo rinunciare. Ci dice l'autore, parlando del suo personaggio: "Lui non era orgoglioso. Non bastava a se stesso. Semplicemente, sottraeva agli altri quello di cui aveva bisogno senza che se ne accorgessero. In fondo era un ladro. e un vigliacco".
Non è anche questo un modo per avvertirci del rischio di chiuderci ciascuno nel suo guscio e lasciar fare ai tanti Michel che calcano sempre più spesso la scena del mondo? A me pare proprio di si!
Renato Campinoti
Renato Campinoti
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