Agnese Pini: Un autunno d'agosto
Dall'eccidio nazifascista della famiglia alle radici della nostra DemocraziaSe l'autrice voleva rintracciare, con questo pregevole e appassionato lavoro di ricerca, le vicende che hanno segnato in maniera indelebile la propria storia familiare, si può dire che c'è riuscita in pieno. Troppo a lungo, nella memoria dei familiari che avevano perso i propri cari nella orrenda strage nazifascista di San Terenzo Monti in Lunigiana, erano rimasti equivoci e cose da chiarire circa le reali responsabilità di quelle terribile vicende.
Per darsi ragione di tanta barbarie e disumanità da parte dei tedeschi ormai in fuga sulla linea gotica, fino al punto di uccidere centinaia di donne e bambini, si era arrivati a pensare che ci fosse una qualche responsabilità di quei partigiani che, in tutto il Paese, collaboravano con l'esercito degli Alleati per cacciare i nazisti dall'Italia. Illuminanti in questo senso le pagine della ricostruzione che fa l'autrice, prima del lancio "sbagliato" degli alleati di armi per i partigiani sulla Lunigiana anziché sulla Garfagnana, poi di come, la banda del Memo, il capo dei partigiani di quest'ultima zona, si sente in dovere di usarle per attaccare i nazisti.
Altrettanto illuminanti degli equivoci sorti nell'animo di quei pacifici contadini strappati ai loro affetti dalla barbarie nazifascista, sono le pagine dei giorni della rievocazione della strage del 19 Agosto 1944. "Alla prima cerimonia, il 19 Agosto del 1945, vennero anche i partigiani... con le bandiere". Le persone del luogo "avevano raggiunto il Memo, Alessandro Brucellaria, e gli avevano detto: 'Voi, qui, non siete graditi...'.
In sostanza, i cittadini del luogo accusavano i Partigiani di aver innescato loro la strage con l'assalto ai nazisti del 17 agosto, due giorni prima della strage medesima, dove erano rimasti uccisi 19 soldati tedeschi. Fortunatamente Memo, il capo di quei partigiani, non si arrese. "Arrivava da solo, con la bandiera, si metteva nell'ultima fila e stava con la testa bassa, senza dire niente".
Quando, sollecitata dal figlio, in seconde nozze, dell'oste di San Terenzo, Mario Oligeri, cui i nazisti avevano sterminato la prima famiglia, Agnese Pini si deciderà ad andare a visitare i luoghi dove avevano vissuti i suoi familiari, bisnonna (Palmira Ambrosini, uccisa nella strage) e nonna e mamma in particolare, si troverà a percorrere una strada in salita per ricostruire, prima di tutto per se stessa, la reale dinamica di quei tragici avvenimenti.
L'aiuterà, in questa non facile ricostruzione, una frase che sarà il padre a suggerirle quando, lei bambina, confessa di avere paura dei primi immigrati di colore che cominciano a frequentare le nostre città e le nostre spiagge. "Si ha paura solo di ciò che non si conosce". Sarà questa la molla che la porterà ad andare a fondo nella sua ricerca per ricostruire i fatti drammatici di San Terenzo Monti.
Sarà così potente la carica di questa molla che non solo ci regalerà una ricostruzione, cruda ma potente, di quelle vicende che coinvolsero i suoi familiari, ma ci porterà molto oltre. Facendo di questa vicenda l'occasione per illuminare il valore della presenza partigiana nella liberazione del nostro Paese come pure per riportare in primo piano, assieme alla barbarie nazista, le gravissime e non emendabili responsabilità delle brigate fasciste, fino all'ultimo a fianco dei nazisti per "aiutali" a rintracciare sia i partigiani sia, soprattutto, quelle povere donne e quei bambini che dovevano fare "numero" per pareggiare i drammatici conti con i caduti tedeschi.
Certamente possiamo dire che l'obbiettivo principale dell'autrice è, come lei stessa ci dice, la ricostruzione di vicende che l'aiutassero a superare quella pseudo giustificazione che a lungo la nonna Iolanda le dava ("Se non ci fossero stati partigiani, la mamma sarebbe rimasta viva"), per arrivare a "dare a tutto...un peso e un significato precisi: il peso e il significato della storia. Quella storia che aveva liberato mia nonna e che aveva consentito a mia madre e poi a me diventare quelle che siamo diventate".
Ma è, per me, altrettanto indubitabile che il merito maggiore, per noi lettori di questo bello e utile lavoro, risiede proprio nel mostrare a tutti che tutte le vicende (quelle di San Terenzo Monti e di tutti quei luoghi dove si evidenziarono sia la lotta partigiana che l'innumerevole serie delle stragi nazifasciste) videro la presenza costante delle Brigate nere a supporto delle orrende stragi naziste. "Ancora oggi qualcuno cerca di assimilare i fatti del 1944 a una guerra civile, in cui dare pari dignità all'opera di resistenti e repubblichini. Ma quanto fecero - con consapevolezza, lucidità, premeditazione, odio, ferocia - le Brigate nere nelle stragi del 1944 non fu guerra civile. Fu criminalità organizzata, fu barbarie, fu imperdonabile orrore. Ed è qui... l'equivoco irrisolto, la ferita mai rimarginata, la fatica nel tramandare una memoria in cui gli argini siano chiari e ricomposti, in cui non vi sia spazio per rivisitazioni e revisionismi... per il peggiore dei qualunquismi: quello che negando o banalizzando la verità distrugge la storia".
Si potrebbe solo aggiungere che mai come oggi, quando i tentavi di rivisitare e banalizzare la realtà storica vengono troppo spesso anche dall'alto della politica e delle istituzioni, sono da apprezzare e valorizzare lavori come questo di Agnese Pini che aiutano davvero a tramandare e rinverdire la memoria storia delle giovani e meno giovani generazioni del nostro Paese (e anche d'Europa!).
Mi sembra necessario aggiungere poche altre cose. La prima è che per giungere alle conclusioni che ho richiamato sul ruolo delle Brigate nere, l'autrice non si fa scrupoli di rimettere in discussione, pur con la cautela e l'equilibrio che in questo caso la distingue, decisioni prese nell'immediato dopoguerra come quella dell'amnistia verso coloro che avevano parteggiato per i fascisti. Agnese assume il senso di responsabilità che guidò Togliatti, allora ministro dell'Interno, nel prendere questa decisione: "L'amnistia servì alla fragile Repubblica appena nata per consolidare l'ingresso in una fase nuova, per superare il ventennio fascista... cercando di disinnescare il clima di odio e vendette che... stava continuando a lacerare il paese. vero. Ma... non permise mai una piena e reale presa di coscienza collettiva sui crimini che erano stati commessi e sulle loro conseguenze".
È chiaro che su un tema come questo starà agli storici trovare un punto d'equilibro. Merito indubbio dell'autrice è quello di farci riflettere, oggi che i tentativi di rinascita di una mentalità fascista sono purtroppo diffusi e alimentati da più parti, sul fatto che "se ancora ci domandiamo con sufficienza se il fascismo non abbia fatto anche cose buone, è perché la giustizia è stata negata. E con essa la verità storica di un intero paese".
L'altro aspetto che l'autrice porta in evidenza è il ritardo e la reticenza con cui si è fatta piena luce sulle responsabilità e le colpe anche individuali dei nazisti, ufficiali e semplici esecutori che fossero. C'è su questo una bellissima ricostruzione sia dei ritardi sia del merito che, pur assunto come incarico solo alla fine del secolo scorso, ha avuto un singolo magistrato Marco De Paolis, il quale, incaricato del ruolo di procuratore militare a La Spezia all'inizio degli anni duemila, avrà il coraggio di leggere le carte relative alle stragi nazifasciste e a operare di conseguenza. Anche se purtroppo, nel frattempo molti alti responsabili erano fuggiti o si erano abilmente mascherati in altri ruoli e in altre vite.
Tuttavia solo così è stato possibile far emergere la verità sulle tante stragi perpetrate dai nazisti nella loro ritirata, da San Cesario sul Panaro, alla Certosa di Farneta, a sant'Anna di Stazzema, Cornia, San Pancrazio, Marzabotto, San Terenzo, Vinca, Padule di Fucecchio, Cefalonia. Per citare solo le più drammatiche.
Insomma De Paolis avrà il coraggio di aprire quello lui stesso definisce "L'armadio della vergogna" e a cominciare a svolgere il suo lavoro di magistrato militare. Ed è proprio nel dialogo con questo bravo e coraggioso magistrato che Agnese ci aiuta ad abbattere un altro luogo comune: "non fu solo dei generali, non fu solo degli alti ufficiali la colpa di quelle orrende stragi. Perché si può sempre dire di no a un ordine ingiusto... qualcuno lo fece. Pochissimi".
Per finire, nell'invitare tutti, a cominciare dai coetanei di Agnese e ancora più giovani, a leggere questo bellissimo lavoro, non si può trascurare l'aspetto letterario di questo racconto. Perché merito non secondario di Agnese Pini è proprio quello di saper raccontare con il giusto ritmo e con la capacità di ricostruire fatti e vicende, portando il lettore lì, sul luogo dove i fatti si svolgono, che è l'essenza principale dei grandi narratori. E lei è anche una bravissima narratrice che ci lascia con la speranza di leggere, a breve, anche un suo nuovo lavoro letterario.
Renato Campinoti
Bella recensioen, accurata e dettagliata, come sempre
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