Dall'assassinio del teorico del neo classicismo, Johann Winckelmann, a opera di un presunto balordo, emergono domande di fondo sulle contraddizioni e i limiti sia negli assetti delle istituzioni laiche del tempo che in quelle religiose. "Accanto a lui, ad assisterlo e sostenerlo fino all'ultimo, camminava il Gesuita".
Andrea Bolognesi ha deciso di parlarci di una vicenda storica, che ha come protagonista principale proprio Johann Winckelmann, uno degli esponenti più significativi della riscoperta dell'arte greca come faro e guida, non solo artistica ma anche filosofica, della cultura della seconda metà del '700.
Sarà infatti dal suo trattato fondamentale "Pensieri sull'imitazione delle opere greche in pittura e scultura" che prenderà l'avvio quella concezione dell'autonomia dell'arte come espressione della bellezza fine a se stessa che influenzerà la storia culturale del secolo e che porterà il suo autore a contatto con i massimi regnanti del suo tempo.
Sarà proprio quando, ormai cinquantenne, starà facendo ritorno da una visita alla corte viennese, all'apice dell'impero, dove, come lui stesso racconta, si è recato per conto del Cardinale Albani "per svelare a sua maestà, l'imperatrice Maria Teresa, un raggiro che in questi tempi si sta perpetrando ai suoi danni e a quelli dell'Impero", che incontrerà l'uomo la cui conoscenza e frequentazione gli sarà fatale. Qui viene fuori uno dei motivi che hanno sicuramente contribuito a spingere il bravissimo Bolognesi a scrivere questo piacevole e istruttivo romanzo.
Si tratta del fatto che l'uomo che l'erudito incontrerà quando sarà costretto a fare tappa a Trieste è un misero e non tanto fortunato cuoco, tracagnotto e afflitto dal vaiolo, e che è originario di Pistoia, la città del Bolognesi medesimo. Alloggiando entrambi, l'uomo di cultura e il misero cuoco disoccupato, tal Francesco Arcangeli, nella medesima locanda di Trieste, l'Osteria Nuova, finiranno per incontrarsi e frequentarsi per un certo numeri di giorni, tutti quelli che furono necessari per trovare un imbarco per avvicinare il Winckelmann a, Roma, la sede delle sue amate sculture greche (di cui il Lacoonte, l'Apollo e Antinoo, rappresentavano, per lui, l'emblema massimo di tale arte).
Sarà probabilmente anche dalla perfezione delle forme maschili di quella statuaria che l'uomo di cultura addiviene a ricercare il contatto, come ci viene raccontato nel romanzo di Bolognesi, con il robusto cuoco pistoiese. Ma a quell'imbarco per il ritorno i due personaggi non arriveranno mai. Lo studioso perché colpito e ucciso a coltellate dall'Arcangeli, il suo assassino, perché ricercato e arrestato dalla polizia.
Qui viene fuori l'altro aspetto peculiare di questo romanzo: il suo sdoppiamento in due fasi. Quella piana e quasi puramente descrittiva rappresentata dalla prima parte di un romanzo che non ha da scoprire niente di nuovo di delittuoso, perché tutto è noto al lettore di oggi, e una seconda parte dove il racconto prende il ritmo di un vero e proprio thriller, dove emergono nuove rivelazioni e dove l'acuto bargello Giovanni Zanardi (l'ispettore di polizia dei tempi nostri!) spinge gli inquirenti a chiedere al giudice di non chiudere le indagini e ad accertare ogni novità che emerga. «Nonostante tutte queste certezze», dirà il bargello quando il giudice sollecita la chiusura delle indagini, «sento che in questa vicenda ci sono ancora cose che non sappiamo o che non capiamo, a cominciare dal movente...»
Sarà questo, della curiosità e del desiderio di accertamento delle ragioni degli avvenimenti anche quando la responsabilità dell'Arcangeli è più che accertata, l'espediente che l'autore utilizza per aprire interessanti spaccati sulle trasformazioni che stavano avvenendo in quel periodo in Europa. Dai primi sintomi della crisi dell'Impero austro ungarico sempre più insidiato dalla nascita e dal consolidamento dei grandi Stati nazionali come la Spagna, la Francia e l'Inghilterra, alla perdita di ruolo e di peso di una confraternita come quella dei Gesuiti sempre meno presente nei gangli del potere dove cresce il peso dei nuovi ceti sociali.
Naturalmente Andrea Bolognesi si limita a farci intravvedere alcuni aspetti di questi scenari. Ma sono sufficienti a impreziosire ancora di più un lavoro di notevole spessore sia letterario (con un ritmo davvero incalzante nella parte seconda!) che storico, di cui non possiamo che essere grati all'autore. Infine, quella che può sembrare una banale sentenza di condanna "alla ruota del boia" si invera nel finale del romanzo in una esplicita e drammatica descrizione del vero e proprio martirio, fino allo smembramento totale, cui l'Evangelisti viene sottoposto. Potremmo dire che non ci potrebbe essere miglior manifesto a giustificare (e renderne gloria!) alla decisione pochi anni dopo, il 30 Novembre 1786, da parte di Pietro Leopoldo di Lorena di abolire la pena di morte nel Granducato di Toscana. Grazie dunque anche di questo all'autore delle imprevedibili vicende di fine settecento.
Renato Campinoti
Renato Campinoti
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