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15 aprile 2023

Roddy Doyle: La vita senza i figli

Quando il tempo che passa e il Covid ci cambiarono la vita

C'è un tempo in cui la nostra vita cambia e non di poco. Senza i figli per Doyle si intende quel pezzo di vita che arriva oltre la maturità. 
"Sei arrivato a un punto, una pianura, un altopiano. Dopo anni di duro lavoro", dice la moglie a Mick, un poco sconvolto dall'uscita di scena dell'ultima delle tre figlie che hanno via via lasciato la casa dei genitori per andare a costruirsi la loro vita.
Ora, ed ecco la prima novità, il Covid le vede ritornare momentaneamente in casa a causa del lockdown, la seconda vicende che costringe la gente a fare i conti con un forte cambiamento. 
È in questo, nel cogliere le persone, le coppie soprattutto, di fronte alla vita che si trasforma, la bravura di uno dei più bravi e apprezzati scrittori irlandesi (ma dovrei dire europei) che sa farci riflettere sulle nostre paure e fragilità e, al tempo stesso, sulle cose che contano davvero. 
Racconto dopo racconto vengono così in primo piano i problemi di tutti i giorni delle coppie, dalla momentanea, ma troppo dolorosa, perdita di lavoro del primo racconto, alla malattia cardiaca del secondo, alla consumazione di un rapporto ormai privo di senso dell'altro,
Geniale il racconto cui facevo riferimento, quando la coppia ricostruisce la propria vita insieme e insieme gioisce dello scampato pericolo di lei. 
Per finire con un accenno a un altro meraviglioso racconto del padre che gira tutta Dublino alla ricerca del figlio che, poco più che adolescente, lo lascia non appena la madre se ne è andata via con un altro. 
Dovranno passare cinque anni e il grande silenzio del Covid perché il padre si decida a iniziare la sua ricerca. Che sarà anche una bellissima visita di una città troppo spesso sottovalutata e ora minuziosamente descritta con tutte le sue bellezze e contraddizioni. 
Naturalmente si fa torto all'autore a non citare gli altri racconti, che tuttavia è opportuno lasciare alla curiosità del lettore, incoraggiandolo a passare un po' di tempo con una scrittura scorrevole e originale e con tematiche mai banali. Il tutto arricchito da una grande maestria nell'uso continuo del dialogo che è, da sempre, uno dei punti di forza di questo autore che ha saputo interpretare come pochi le vicende e le problematiche del mondo del lavoro, nelle forme precarie e contraddittorie del tempo moderno. 
Non scorderò mai la carica umana e sociale di un libro come "Due sulla strada". 
Ma per tornare all'ultima opera dell'autore, la sua modernità e capacità di stare al passo con i sentimenti del tempo è dato in questo caso, prima di tutto, dal saper cogliere nel crescente numero delle persone della cosiddetta "terza età", e dunque nel notevole allungamento della vita media delle persone, uno dei fattori con cui siamo chiamati a fare i conti. 
Viene un tempo in cui, finita l'era del duro lavoro, che tuttavia ci regolava la vita, ora tocca a noi stessi dare un senso al tempo, talvolta fatto di decenni, che ci resta da vivere. Allora anche per gli ultra sessantacinquenni, come per il disoccupato del primo racconto, viene la necessità di tenersi "occupato: avrebbe fatto volontariato... un'attività a cui teneva: non c'era che l'imbarazzo della scelta. Si sarebbe procurato una bici... si sarebbe iscritto a un gruppo di trekking e a un coro...". 
Accanto e insieme a questo tema, Doyle approfitta, se così si può dire, delle vicende della Pandemia e del relativo Lockdown per mettere le persone di fronte alla necessità di riflettere e di parlarsi, costrette come sono a interrompere la frenesia della vita e a convivere insieme più di prima, per raccontarsi e parlarsi prima che le cose non dette o non condivise finiscano per portare alla rottura e al dolore. 
Non a caso lo scrittore utilizza i forma quasi ossessiva strumenti come la TV e, ancora di più, il cellulare, come mezzi alla portata di tutti noi per la diffusione delle notizie e delle comunicazioni, ma che finiscono, se non si fanno un poco tacere, per diventare un ostacolo all'unico strumento che serve davvero a tenere in piedi la qualità dei rapporti: il dialogo diretto tra le persone. 
Ancora una volta, insomma, un grande scrittore che ha saputo continuamente cogliere ciò che, nel bene e nel male, si evolve tra la gente, torna a darci un saggio di questa sua bravura e a incoraggiarci a trovare, pure dentro esperienze talvolta dolorose, le modalità e gli strumenti per rendere più pieno e felice questo ulteriore pezzo di vita che ci spetta.

Renato Campinoti

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