"Parigi ne valeva sempre la pena e qualsiasi dono tu le portassi ne ricevevi qualcosa in cambio". Si potrebbe prendere in prestito questa frase posta nella pagina finale del suo "libro d'addio", come lo presenta Giansiro Ferrara nella sua lodevole introduzione, per sintetizzare al massimo il senso di questo vero e proprio capolavoro di Hemingway. Devo subito dire che io, che pure ho apprezzato molti dei suoi libri ("Il vecchio e il mare" tra tutti, come emblema della vita e della lotta per la sopravvivenza delle classi umili!), avevo trascurato questo che è anche un vero e proprio romanzo sulla sua formazione nella ricchissima cornice della Parigi degli anni '20 del secolo scorso. Ci sono almeno tre "registri" su cui gira questo breve ma affascinante romanzo, la somma dei quali ne fa davvero un'opera unica e meravigliosa. Il primo di questi registri è sicuramente quello che lo scrittore dedica alla città di Parigi, alle sue meraviglie architettoniche, di cui mette in evidenza, senza parere, le parti più ricche insieme a quelle più vissute dagli artisti come lui.Conosciamo così le sue ripetute visite ai giardini del palazzo del Luxembourg, voluto a suo tempo dalla Regna Maria De Medici, da cui appare particolarmente affascinato. Altrettanto appassionato Hemingway ci appare di quelle vie, di quei Cafè, in cui era possibile fermarsi a bere con pochi spiccioli e magari incontrare qualche artista famoso.
"Il Cafè des Amateurs era il pozzo nero di rue Mouffetard, quella magnifica strada di mercato, stretta e affollata, che portava in Place de la Contrescarpe. Le latrine dei vecchi casamenti... con i due rialzi scanalati di cemento a forma di scarpa... si scaricavano entro pozzi neri che di notte venivano vuotati pompandone il contenuto in autobotti trainate da cavalli. D'estate, con tutte le finestre aperte, sentivamo il rumore delle pompe e il puzzo era molto forte."
Ho indugiato su questa descrizione perché è una delle tante che Hemingway farà nel corso del libro e perché mi pare rappresenti bene come, accanto ai tanti capolavori dell'architettura storica della città, si fossero stratificati quegli ambienti tipici della vita bohemien che sempre più renderà ricca di arte e di opportunità culturali questa città.Del resto, poco più avanti, sarà lo stesso scrittore a dirci che proprio in quella parte della città dove, in inverno "non restavano che l'umida oscurità della strada e le porte chiuse delle bottegucce...e l'albergo dove era morto Verlaine dove all'ultimo piano avevo una stanza dove lavoravo". E saranno molte, di più all'inizio ma poi in tutto il libro, le occasioni di descrizione degli ambienti, delle vie, dei bristot, dei ristoranti più ricchi e più a buon mercato.
Con una passione descrittiva della città che fa venire in mente quel grande scrittore che è stato Simenon (non a caso ricordato dallo stesso Ernest), che proprio alla fine degli anni venti esordisce col suo Maigret e con una infinita varietà di paesaggi della Parigi dell'epoca.
Sempre per rimanere alla città di Parigi, come non sottolineare la puntuale descrizione dei luoghi, gli ippodromi, in cui si realizzavano, alla corsa dei cavalli e alle relative scommesse, le effimere vittorie e le relative gravi perdite di denaro che saranno a lungo il vizio anche di Hemingway come di molti artisti di quegli anni ruggenti.
Le corse tuttavia non saranno l'unico vizio degli scrittori e degli artisti dell'epoca, quelli che una arguta osservatrice di molti di loro, tanto da mettere su un vero e proprio salotto culturale al 27 di rue de Fleurus, la signorina Stein, chiamerà "la génération perdue". L'alcolismo sarà infatti una tara che colpirà molti di loro, e lo stesso Hemingway sfiorerà più volte questo rischio. Ci saranno anche le scoperte positive, quelle delle biblioteche, di una in particolare, che permetteranno a lui e ad altri scrittori squattrinati di dare fondo alla passione della lettura e alla conoscenza dei grandi classici, sia francesi che russi che americani.
Infatti questo il secondo "registro" su cui leggere questa specie di testamento culturale di uno scrittore ormai arrivato alla fama ma che va incontro a crescenti difficoltà della sua capacità di scrittura. Ai libri da lui letti in quel periodo formativo lo scrittore americano dedica interi capitoli di "Festa mobile", per farci sapere delle sue letture prima di D.H.lawrence o di Aldous Huxley, e pure Marie Belloc Lowndes, quella di Jack lo squartatore, come pure "La chiusa numero uno" di Simenon.
Un intero capitolo viene dedicato alle letture dei capolavori russi che lui rintraccia in quella biblioteca circolante di una strana e molto colta signora, Sylvia Beach, la quale, non solo le permetterà di prendere in prestito i libri che desidera, da Turgenenev a Tolstoj a Dostoevskij e altri americani come Henry James, ma l'aiuta anche a orientarsi nel quartiere dove vive e, soprattutto, gli raccomanda: "Non legga troppo in fretta", come per incitarlo a trattenere il più possibile delle letture.
Insieme alle letture vengono fuori i moltissimi incontri che, proprio nei Café o nei bistrot il nostro farà con una vera e propria moltitudine di artisti e scrittori. Sarebbe fin troppo lungo e ripetitivo rispetto alle belle descrizioni che l'autore ne fa nel suo libro, farne ora una sorta di elenco. Di alcuni di essi, del resto, rimarrà solo una memoria effimera come effimera fu la loro vita, persa nell'alcol o nelle droghe in pochissimi decenni.
Emblematico di questi fu certamente il giovane pittore Pascin, che lo scrittore americano incontra in uno dei Cafè del periodo, accompagnato a due modelle piuttosto lascive, più spesso ubriaco che lucido e che morirà di lì a pochi anni.
Più significativa l'amicizia che lo legherà a Joyce nel periodo in cui il grande scrittore di Ulisse, aveva appena terminato il suo capolavoro e combatteva contro un'incipiente cecità.
Ma le personalità che avranno un impatto particolare su Hemingway in quel periodo sono senz'altro Ezra Pound e Scott Fitzgerad. Va detto che sono ben diverse le lezioni che l'autore ricava da questi incontri. Contraddittorio ma alla fine negativo il rapporto con Pound, soprattutto quando gli confesserà candidamente di non aver letto niente della letteratura russa, molto più duraturo e umanamente coinvolgente quello con Fitzgerald.
L'autore dedica una notevole parte del libro a questo rapporto, che lo accompagnerà per diversi anni. Particolarmente toccanti le parti in cui Hemingway descrive l'amico succube della bella ma insana moglie Zelda, che, gelosa perfino delle qualità di scrittore del marito, lo costringerà a bere come lei e farà di tutto per impedirgli di lavorare in pace ai suoi capolavori.
Il livello di sudditanza di Fitzgerald verso la moglie raggiunge vette tali che solo leggendo il capitolo, tra gli ultimi del libro, "Questione di misure", si può riuscire a comprendere e che, naturalmente, lascio alla curiosità del lettore scoprire.
Il terzo e ultimo registro su cui leggere questo piccolo capolavoro è senz'altro quello dei rapporti privati di Hemingway sia con la moglie che con gli altri artisti e scrittori. Ho già detto molto dei suoi rapporti con la signorina Stein che lo aiuterà in vario modo, come pure con personaggi come Joyce o Pound o Scott Fitzgerald.
Resta da dire dei suoi rapporti, in questo periodo, con la moglie, con la quale e col piccolo figlio nato dal loro matrimonio, abitava in quel periodo in rue Cardinal Lemoine, vicinissima alla zona di Place de Contrescarpe, che ho richiamato sopra. Sembra, questo, un periodo di grandi affetti e di progetti comuni, anche se, sarà lui alla fine del libro a farcelo capire, grosse nubi sembrano avvicinarsi sopra le loro teste.
Per finire, questo libro è l'ultimo che Hemingway ha scritto. Sembra che non sia neppure riuscito a rivederlo come avrebbe voluto, colpito com'era da continui attacchi nervosi che gli impedivano per giornate intere di lavorare. A maggior ragione possiamo interpretarlo come un ultimo regalo che il grande scrittore americano, giunto ormai sull'orlo della più acuta depressione, vuole fare ai suoi lettori per ricordare loro, e a se stesso, "la Parigi dei bei tempi andati, quando eravamo molto poveri e molto felici". Sono, queste, le ultime frasi del racconto. Di lì poco, come è noto, Hemingway si sparerà col proprio fucile.
Renato Campinoti
Renato Campinoti
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