Stefano e VincenzoGiannetti: I MEDICI, Da Cosimo II a Gian Gastone, il DECLINO
In poche pagine le ragioni del declino della gloriosa casata
In un volumetto di appena 70 pagine, i due autori, padre e figlio, riescono a farci intendere, molto meglio di voluminosi tomi, dove sono da ricercare le ragioni più di fondo che condurranno all'estinzione del ramo maschile della famiglia Medici e alla perdita del loro diritto di governare la Toscana. Il volume prende le mosse dalla salita al trono del figlio del grande Ferdinando I che aveva contribuito, con lo sviluppo di Livorno e dei ricchi commerci che da lì transitavano, ad ampliare non solo geograficamente Firenze e la Toscana. Il figlio Cosimo II, pur di salute cagionevole, tenderà ad avere un atteggiamento positivo verso la scienza e la cultura e la corte sarà ancora frequentata da artisti del calibro del Giambologna, del Tacca, del Cigoli e Allori e dagli architetti Nigetti e Parigi cui aveva commissionato l'ampliamento della reggia di Pitti avendo egli avuto ben otto figli. Ebbe anche il grande merito di richiamare in Toscana nel 1610 Galileo Galilei, fargli avere la cattedra a Pisa, nominarlo "capo matematico del granduca" e donandogli una villa a Pian dei Giullari, da cui, Galileo, con il famoso cannocchiale, scoprirà quattro nuovi satelliti di Giove che dedicherà alla famiglia Medici. Se un problema questo Granduca lo creò ala famiglia, fu la sua morte molto prematura, nel 1621 a soli trent'uno anni e, soprattutto, nominando reggenti, al posto del figlio Ferdinando II di appena 11 anni, le granduchesse Cristina di Lorena, sua madre e Maria Maddalena d'Austria, sua moglie. Comincerà con loro, inadatte a tale compito, prima di tutto lo sperpero delle risorse per lo sfrenato lusso di cui amano circondarsi e, soprattutto ad opera di Cristina di Lorena, bigotta, quella svendita delle posizioni di comando del governo ai preti e frati che infesteranno d'ora in poi la corte, allontanando via via il mondo delle arti e della cultura e contribuendo al decadimento, anche nel consesso europeo, della corte medicea. Nonostante Ferdinando, crescendo e grazie anche ad alcuni anni passati in giro per l'Europa nelle migliori corti, tentasse di mettere un freno al predominio clericale nel suo governo, non riuscirà mai a togliere la nonna e la mamma dagli affari di governo. Gli aspetti positivi del suo regno furono rappresentati dal matrimonio con Vittoria della Rovere che porterà tutti i beni del palazzo di Urbino a Firenze, arricchendone le gallerie, così come fu positivo l'atteggiamento del giovane Granduca durante la brutta peste che colpì Firenze e molte città del Granducato nel 1630 e poi ancora nel '33, durante i quali egli si prodigò di persona e con i suoi stessi soldi ad alleviare le sofferenze di una parte del popolo. Egli ebbe anche il merito di aver fondato, insieme ai fratelli l'Accademia del Cimento, il luogo della ricerca e della sperimentazione scientifica più avanzato del periodo. Così come, ancora con i fratelli, dette avvio alla Biblioteca di Corte, da cui sorgerà, nel tempo, la Biblioteca Nazionale Centrale. Questi, ci fanno capire gli autori, furono i pur gloriosi diversivi che Leopoldo II si concesse, non riuscendo di fatto ad impadronirsi del governo, sempre in mano clericale grazie alla madre e, poi, come vedremo, della stessa moglie. Si giunge così al regno del più inetto, bigotto e incapace dei Granduchi, quel Cosimo III, che compì l'errore di sposarsi con una donna che non lo voleva Margherita d'Orleans, la quale, dopo avergli dato figli, Ferdinando, il gran principe, Anna Maria Ludovica e Gian Gastone, scapperà a Parigi alla corte del padre a fare una vita licenziosa e priva di scrupoli verso i figli. Gli errori di Cosimo III furono più d'uno. Col figlio Ferdinando, erede al trono, di indole laica e indipendente, non volle mai assecondare la richiesta di condividerne le responsabilità di governo, finendo per indurlo ad una vita licenziosa in cui contrasse il male del secolo, la sifilide, che lo porterà ad una morte prematura, La figlia Anna Maria, la futura moglie e poi vedova dell'Elettore Palatino, volle coinvolgerla nel pessimo matrimonio del figlio Gian Gastone con Anna Maria di Sassonia, "una grassa contadina boema, rozza nelle maniere e nei gusti" come ci dicono gli autori, che costringerà per contratto Gian Gastone a seguirla nella contrada di proprietà, una valle agricola fuori dal mondo, In quella landa, Gian Gastone, "colto, di buon carattere e appassionato di scienze e botanica", finirà per deprimersi e, una volta ritornato da solo a Firenze, privo di supporto per l'assenza della sorella e costretto a subire le scelte scellerate del padre in termini di tasse crescenti, di predominio clericale e di una corte triste e attenta solo alle funzioni religiose, finirà per dedicarsi anch'egli al vizio, perdendo le migliori doti di cui aveva dato prova da giovane. Nonostante tutto, alla morte del padre nel 1723, quando lui aveva più di cinquant'anni, saprà scuotersi dal torpore in cui era caduto e, nonostante le malelingue già presenti in città, dimostrò di essere sicuramente all'altezza delle migliori tradizioni della famiglia. "Il nuovo Granduca trovava uno Stato in condizioni fallimentari" ci dicono i nostri autori, "la finanza in dissesto, i commerci e le attività artigianali praticamente inesistenti con le ricchezze concentrate nelle mani dei grandi proprietari di latifondi, i quali avevano interesse a tenere il popolino nelle peggiori condizioni di vita". Gian Gastone mise al governo i migliori uomini illuminati del momento, da Giulio Rucellai a Filippo Buonarroti per risanare le finanze, abbassare il prezzo del grano e di molti altri balzelli imposti dal padre per il lusso della corte, mise al bando le forme più grette di bigottismo e abolì di fatto, anche se ancora non formalmente, la pena di morte. Furono queste le misure più a importanti, insieme a quella di imporre un abbigliamento sobrio a corte, alla moda francese, che si ripercosse anche nel popolo fiorentino. Insomma sembrò aprirsi una nuova fase con una corte di nuovo piena di artisti e letterati e con una vita cittadina più serena, senza le infinite e estenuanti cerimonie religiose. Gastone chiamò con sé la Principessa Violante, vedova del fratello Ferdinando che l'aiuterà nelle cerimonie e nella rappresentanza della corte. Due altri fattori, purtroppo, influirono negativamente sul regno di Gastone: l'assenza di figli e la continua pressione delle potenze straniere per accaparrarsi il regno di Toscana alla sua morte, provocando continue ricadute di Gastone nell'antico vizio dei festini omosessuali a Palazzo che ne deturpavano l'immagine. La morte prematura della Principessa Violente finì così per prostrarne definitivamente il morale, già minato da una malattia incombente (una calcolosi renale) e portarlo, in poco tempo alla morte. Le circostanze della sua condotta nei mesi finali della malattia (spesso gonfiate ad arte dalle potenze straniere interessate al subentro), non possono in alcun modo minare il valore, purtroppo tardivo, dell'azione di governo di questo ultimo Granduca mediceo. Averlo dimostrato con i fatti storici è un merito non secondario degli autori di quest'opera.
Renato Campinoti
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