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11 dicembre 2022

Roberto Mosi: Barbari, Dalle steppe a Florentia alla porta Contra Aquilonem

Un pezzo importante di storia (e un poco di leggenda) di Firenze

Merito indiscutibile di questo agile e utilissimo libro di Roberto Mosi è quello di averci ricordato un pezzo della storia di Firenze, quando non era ancora la città degli opifici e dell'Alighieri, tanto meno dei Medici e del Rinascimento. 
Eppure Florentia, sorta con non poche difficoltà in riva d'Arno, sotto la più antica e nobile città di Faesule, da cui era dominata anche geograficamente, comincia, nel tempo che ci racconta Roberto (il 400 D.C.), a delineare una sua fisionomia di cittadina con i suoi commerci e scambi col contado e aperta a rapporti importanti con le altre città. 
Nel racconto di Mosi si parla di un episodio di particolare rilievo, quello dell'invasione della penisola italica da parte dei Barbari che, comandati dal Re Radagaiso, hanno messo insieme una vasta coalizione di tribù, dagli Ostrogoti, ai Vandali, ai Burgundi ed Eruli che, passate le Alpi, si avventano come una furia sulle pianure del nord e del centro Italia. 
Nel loro cammino seminano morte e distruzione e fanno razzia di ogni cosa o animale che trovano sulla loro strada. Già qui, se avessero voluto gli ottusi senatori romani (di cui ci parla con lucidità l'autore) avrebbero dovuto capire che era finito il tempo delle vittorie sui Barbari, sconfiggendoli una tribù alla volta e che, al contrario, ora sono loro stessi a fare del mettersi insieme e costruire eserciti superiori per numero anche a quello romano, una chiave di possibile successo per affrontare il loro problema principale, che era poi quello di non subire la spinta dei numerosissimi popoli delle steppe a est, gli Unni, che, per procurarsi nuove terre e alimenti, premevano fino al Danubio e oltre. 
Ora un esercito di barbari sta arrivando alle porte di Firenze e Rufo, il personaggio che Mosi mette al centro del libro, si incarica di convincere il generale Stilicone di mettersi di nuovo alla testa dell'esercito romano e venire in soccorso di Firenze, l'ultimo baluardo prima dell'arrivo dei barbari a Roma. Bellissima, in questo senso, la lettera che Mosi fa scrivere da Rufo a Stilicone per rendergli chiaro cosa sta succedendo nelle terre germaniche e come sia possibile difendersi. 
In questo senso, quando Rufo spiega lucidamente a Stilicone la pressione che esercitano gli Unni delle steppe sugli altri barbari, spingendoli verso le terre italiche e quindi verso Roma, fa venire in mente il grande Indro Montanelli quando, per spiegare questi fenomeni, ci ricorda che "la caduta dell'Impero romano inizia in Cina", facendo riferimento al fatto che, con la costruzione della muraglia cinese, alla crescente popolazione delle steppe non restava altra soluzione che spingersi in direzione del Danubio,
Di grandissimo interesse per noi fiorentini il racconto dell'assedio della città da parte di questa orda di barbari, fortunatamente privi di attrezzature contro una città murata come era già Firenze in quel tempo, cosa del tutto inusuale nelle loro terre. 
Eroica la resistenza dei fiorentini che, per mesi, riuscirono a resistere chiusi in città, anche con il contributo (e qui c'è un poco di leggenda) di Santa Reparata.
Terribile, come ci racconta Roberto, la battaglia che si scatenò sulle colline tra Fiesole e il passo alle Croci (che sembra abbia preso la denominazione dalla larghissima messe di tombe, soprattutto dei barbari, che segnarono quelle zone dopo la strage) che il generale Stilicone portò a termine, fino alla cattura e all'uccisione del re barbaro e dei suoi familiari. 
Fu quella, dice la storia, l'ultima volta che i romani, con alla testa quel generale, sconfissero un esercito barbaro che si affacciò sul suolo romano. Evidentemente quei senatori (perfino gelosi dei successi di un generale figlio di un uomo che veniva dalle tribù barbare) non seppero fare di meglio, dopo averne lodato il coraggio e il ruolo di salvatore della patria, che ordire una macchinazione che portò addirittura all'esecuzione di Stilicone. 
Ormai Roma aveva perso la lucidità e la compattezza, anche negli scontri interni, che l'avevano fatta diventare la città immortale. 
Ma questa è un'altra storia, che pure Roberto ci fa intravedere. Molto bella, in questo senso, l'appendice del libro dove l'autore ci porta a conoscere le zone della battaglia e "Il sentiero di Stilicone", segnato anche da apposito cartello, che molti di noi, io di sicuro, non sapevano che esistesse, arricchendoci anche di una ulteriore conoscenza del nostro territorio di fiorentini. 
Ma soprattutto, Mosi ci ha voluto portare a guardare con più attenzione a uno degli episodi che hanno connotato quei momenti di passaggio che Firenze ha vissuto, per diventare infine, all'inizio del 1300, la città più popolosa e vivace del mondo allora conosciuto. E di questa memoria, al tempo del culto di Santa Reparata e della chiesa eretta a sua memoria, dobbiamo essere grati a Roberto e al bellissimo racconto che ci ha fatto.

Renato Campinoti

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