(Relativamente a questo bellissimo libro pubblico la recensione di Ada Ascari perché la condivido per intero e non potrei fare meglio)
R.C.
Uno dei più grandi romanzi contro la guerra
Diciamoci la verità, il titolo non attira, specialmente per una come me che rifugge tutto ciò che sa di paura e la parola “mattatoio” evoca stragi e sangue a fiumi.
Invece… il bello sta proprio qui, nel mattatoio, quello evocato del libro non succede proprio niente, anzi è rifugio e riparo, mentre fuori… lì si che ne succedono!
“È tutto accaduto, più o meno”. Questo è l’incipit ed è vero, sta tutto in quel “più o meno” la chiave di lettura…
Kurt Vonnegut deve essere una persona molto ottimista, proprio di costituzione perché è riuscito a trasformare una storia di guerra, di stragi di sofferenza in qualcosa riesce persino a far sorridere.
Dopo un capitolo iniziale in cui si sente la voce dell’autore che in prima persona dichiara di non volere scrivere il “solito romanzo” sulla guerra l’attenzione si sposta su Billy Pilgrim che diventa il bambino gettato nella storia.
I personaggi sono improbabili e grotteschi, vivono in luoghi che odorano di morte, sono umani in tutto, nei loro difetti e nei loro – scarsi – pregi.
Il protagonista Billy Pilgrim (Billi il pellegrino) – alter ego dell’autore stesso – viaggia nella storia avanti e indietro, nel tempo e nello spazio, i suoi tempi sono sempre sbagliati, ma gli permettono di sopravvivere sempre, compreso un disastro aereo in cui è il solo sopravvissuto.
Nel mondo “normale” ha fatto fortuna suo malgrado, ma nel suo mondo interiore e dei ricordi è sempre e comunque un sopravvissuto.
Sopravvive alla guerra durante il bombardamento di Dresda, uno dei più terribili della seconda guerra mondiale, sopravvive, come ho detto, a un disastro aereo, sopravvive a un incontro ravvicinato con gli alieni che lo portano nel loro mondo e lo usano come animale da guardare come in uno zoo, sopravvive al viaggio sulla tradotta che lo porta in un campo di concentramento, sopravvive al compagno di sventure Roland che muore di cancrena e ogni volta risuona il mantra «così va la vita» 106 volte viene ripetuta la frase alla fine di ogni avvenimento che deve essere sottolineato.
«Così va la vita» è noi umani non possiamo farci niente fino a che saremo dei bambini nelle mani di adulti irresponsabili. Anche il sottotitolo del libro ce lo ricorda “Mattatoio n.5. La crociata dei bambini” perché bambini sono i soldati – di qualunque esercito – carne da macello che arrancano nella neve o muoiono nei carri bestiame o nei campi di concentramento, sono bambini quelli che si aggirano tra le rovine di Dresda distrutta, o vengono rapiti dagli alieni di Trafalmadore, tenuti in gabba e osservati.
Per Vonnegut, nel suo romanzo che racconta per trasposta persona uno degli avvenimenti più tragici della sua vita, il tempo non esiste, è tutto già scritto: passato presente e futuro si sovrappongono, tutto è sempre accaduto, accade e sempre accadrà.
Per questo tutto quello che succede a Billy è posto sullo stesso piano; ecco che allora nel libro gli avvenimenti non possono essere posti in un ordine sequenziale, ma devono essere narrati attraverso salti spazio-temporali casuali, nei quali il tempo viene sovvertito.
Ogni tragico avvenimento storico del quale Billy è testimone assume la stessa importanza: Sullo stesso piano devono essere messi la distruzione di Dresda con migliaia di morti, l’ineluttabilità di un incidente aereo, la morte della moglie e persino le sue allucinazioni.
In questo cornice di accadimenti tragici i fatti narrati riescono però ad esser sempre quasi divertenti come quando descrive Roland Weary.
Portava tutto l’equipaggiamento che gli era stato fornito e tutti i regali che aveva ricevuto da casa: elmetto, fodera di elmetto, berretto di lana, sciarpa, guanti, canottiera di cotone, canottiera di lana, camicia di lana, maglione, camiciotto, giubba, pastrano, mutande di cotone, mutande di lana, calzoni di lana, calze di cotone, calze di lana, scarponi, maschera antigas, borraccia, gavetta, cassetta di pronto soccorso, pugnale, coperta, telo di tenda, impermeabile, Bibbia a prova di proiettile, un opuscolo intitolato Conosci il tuo nemico, un altro opuscolo intitolato Perché combattiamo e un terzo opuscolo di frasi tedesche scritte foneticamente, grazie al quale Weary avrebbe potuto rivolgere ai tedeschi domande come queste: “Dov’è il vostro comando?” e “Quanti obici avete?”; o intimare: “Arrendetevi. La vostra situazione è disperata”, e così via.
[…]
Effettivamente, era così coperto e infagottato che non aveva il senso del pericolo. La sua visione del mondo circostante era limitata a ciò che poteva vedere attraverso una stretta fessura tra il bordo dell’elmetto e la sciarpa che gli avevano mandato da casa e che gli nascondeva il viso infantile dal naso in giù. Ci stava così comodo, lì dentro, che poteva fingere di essere già a casa, sano e salvo, e di stare raccontando ai genitori e alla sorella una vera storia di guerra, mentre la vera storia di guerra era ancora in corso di svolgimento.
Sembra di vederlo il ragazzino diciottenne tutto imbacuccato che racconta la guerra mentre la sta vivendo. Vivendo un massacro che non si può raccontare se non con leggerezza e disincanto perché altrimenti tutto diventa troppo vero e la storia narrata diventa troppo somigliante a tutte le storie di guerra già narrate.
Vonnegut entra con questo libro in una dimensione superiore, dove appunto il tempo non esiste, dove i bambini, l’umanità innocente, sembrano quasi non accorgersi di ciò che stanno vivendo, sembra che l’unica arma per sopravvivere sia il disincanto, l’ironia quasi involontaria, le parole sottintese e quelle dette ossessivamente: «Così va la vita».
Dicono che questo sia un romanzo di fantascienza, io ci ho letto una storia scritta con tanta ironia, perché forse è l’unico modo per elaborare traumi talmente enormi che in altro modo non sarebbero sopportabili. Una ironia amara e dolente, che apparentemente fa sorridere, ma che poi lascia un incombente vuoto fatalista, perché «Così va la vita» anche se la vorremmo diversa.
Ada Ascari
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