Un libro agile e di assoluto interesse
Riprendendo un suo precedente racconto ("Le rose di Dostoevskij") apparso nell'antologia "Accadeva in Firenze Capitale" uscita a cura del Gruppo Scrittori Firenze in occasione dei centocinquanta anni dalla presa di Porta Pia e dalla fine del ruolo di Firenze come Capitale d'Italia, questa volta Nicoletta ci regala un quadro più compiuto dell'esperienza del grande scrittore russo nella nostra città.
Sono più di uno i "registri" su cui l'autrice svolge il suo racconto. C'è, anzitutto, l'aspetto delle gioie e delle pene personali che Dostoevskij e la sua seconda e giovane moglie Anja vivono in questo non brevissimo (più di otto mesi) periodo nella nostra città.
È appena passato un anno dalla perdita della loro prima bambina, Sonja, morta ad appena tre mesi di vita. Il dolore che si portano dentro è lenito dal fatto che Anja è ora di nuova incinta e tutti e due vivono con trepidazione l'aspettativa del nuovo figlio.
Accanto a questo ci sono le precarie situazioni finanziarie della famiglia (una costante di Dostoevskij, posseduto anche dal demone del gioco) e la necessità di rispettare i tempi di consegna dei capitoli de "L'Idiota" che sta portando a termine nella nostra città, che costringono lo scrittore e sua moglie (lei assunta in primis come dattilografa) ai lavori forzati in casa.
Il tempo stesso che incontrano in città (arrivano di Novembre, (il peggior mese nel clima fiorentino!), piovoso e umido, non aiuta certo l'incerta salute di Fëdor. Tuttavia, come scriverà anni dopo la figlia nei suoi ricordi, "i miei genitori erano molto felici a Firenze", esagerando probabilmente gli aspetti positivi e trascurando i tanti aspetti negativi (basti pensare al caldo umido e soffocante che incontrano nei mesi prima della loro dipartita o l'assenza di risorse cui deve far fronte anche la suocera che li raggiunge!).
In conclusione, come ci racconta la bravissima Nicoletta, parafrasando una celebre riflessione de "I Demoni", "il grande Dostoevskij ha trovato tutta l'infelicità e la felicità di cui aveva bisogno. In egual misura". Il secondo aspetto su cui si sviluppa il piacevole racconto della brava Nicoletta è quello relativo a ciò che la città offre a Dostoevskij e sua moglie.
A lui, anzitutto, permette di frequentare quotidianamente il ricco Gabinetto Vieusseux, che aveva già conosciuto sei anni prima e cui ora si abbuona nuovamente. "E mio marito" - ricorderà Anja nel suo libro di memorie - "vi si recava ogni giorno, dopo pranzo. Inoltre prese a prestito e lesse per tutto l'inverno le opere di Voltaire e Diderot, in francese, lingua che conosceva molto bene".
Accanto a questo "dono" (Lo scrittore prese in prestito anche Madame Bovary, da lui molto amato e che farà apparire nelle pagine finali de "L'Idiota") Firenze permise allo scrittore di frequentare il ricchissimo patrimonio artistico della città.
Di due opere in particolare, ci ricorda Nicoletta, rimase particolarmente innamorato, "La Madonna della Seggiola", del grande Raffaello, che lo portava spesso a ritornare alla Galleria Palatina a deliziarsi di questa opera. La seconda meraviglia che lo attrasse particolarmente fu "La porta del paradiso" del Ghiberti, che non si stancava di osservare ogni volta che passava nei pressi del "bel San Giovanni", come ricordava con nostalgia il grande esule Dante.
Ma Firenze, nella bella stagione, fu generosa con i coniugi, permettendo loro di frequentare le meraviglie del giardino di Boboli e le famose rose che destarono stupore in entrambi.
Certo, siamo nel periodo di Firenze Capitale, la città, per ospitare le migliaia di travet piemontesi calati in riva d'Arno, è un cantiere a cielo aperto. C'è confusione, i rumori non agevolano certo il raccoglimento e il silenzio necessari allo scrittore e alla sua dattilografa.
Insieme al clima (prima piovoso, poi caldo soffocante) sono queste sicuramente le ragioni che, appena arrivano i soldi degli scritti consegnati in tempo grazie alla collaborazione della moglie, spingono i Dostoevskij a programmare la partenza e finalmente vanno prima a Praga e dopo pochi giorni a Dresda, dove Anja partorirà e dove, forse, potranno meditare sull'esperienza fiorentina, che non li avrà certo resi sempre felici, ma neppure indifferenti a tanta storia e bellezza.
Grazie dunque a Nicoletta Manetti per averci fatto conoscere da vicino l'esperienza di uno dei più grandi scrittori dell'Ottocento (e non solo!) nella nostra città, di cui erano rimaste solo una targa (vicino alla prima abitazione nella zona di piazza Pitti) e l'iscrizione nei registri del Vieusseux, prima che l'ambasciata russa facesse dono della statua dello scultore Zeinalov, situata alle Cascine.
Renato Campinoti
Renato Campinoti
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