Non si faccia ingannare il lettore attento dalla apparente agilità di questo libro (75 pagine belle fitte!) che è comunque in grado di rappresentare, come pochi altri, gli aspetti essenziali della storia di Livorno e dei livornesi.
Scritta da Mauro Cusmai, un carissimo amico, dedito, dal tempo della sua "età libera", al volontariato e a una instancabile e multiforme opera di divulgazione culturale, rappresenta sicuramente una delle persone più ferrate nella conoscenza delle vicende storiche e culturali di Livorno e della Toscana (nel contesto più ampio, ovviamente). Basti citare, tra le tante sue attività (mi vengono in mente le lezioni su Renato Fucini, su Pietro Mascagni, su Amedeo Modigliani ecc. ecc.) le belle lezioni sui Medici e sul ruolo da loro svolto per la costruzione di Livorno postate su YouTube.
Per venire allo scritto di cui stiamo parlando, basterà notare l'uso di due prodotti (Il Cacciucco e il Ponce) che più emblematici di Livorno non esistono, da cui riesce a trarre spunto per farci conoscere di più e meglio tanti aspetti della storia della sua amatissima città e dei suoi abitanti che tanti libri "storici" non sanno certo rappresentarci con la semplicità, l'ironia ma anche l'affettuosa partecipazione che riesce a mostrare il nostro Cusmai.
È questo approccio, questa adesione alla storia cittadina (sempre storicamente puntuale, sia chiaro) che ci rendono partecipi delle vicende in maniera tale che ci sembra di essere lì quando i Medici, resisi conto della fregatura del porto pisano da loro scelto nel rapporto con i genovesi, sono costretti a spendere la bellezza di centomila fiorini d'oro per venire in possesso di quello che, con Livorno, diverrà il più importante porto commerciale del mediterraneo. Così come ci appare nella giusta luce la statua di quel Ferdinando de Medici con i famosi "Quattro mori" che, come ci fa notare Mauro, non sta schiavizzando gente di un altro colore, ma solo mostrare, insieme al cartiglio delle leggi Livornine (le più "liberali" del periodo!) quale sorte toccava ai pirati moreschi che osassero disturbare i liberi commerci di cui Livorno era porto di riferimento.
"Quindi il monumento", ci fa notare l'autore, "posto di fronte al porto, costituiva un chiaro messaggio a mercanti e armatori:... potete stare tranquilli, noi i pirati li mettiamo in catene.
Si trattava in pratica di uno spot pubblicitario...".
Naturalmente un posto d'onore merita, in questa parte del libro, il legame tra la storia livornese e il Cacciucco, un piatto che, nella fantasia più fervida, nasce addirittura dal divieto imposto al guardiano del faro di non consumare l'olio necessario all'illuminazione per friggere quella paranza di poveri pesci frutto della sua pesca giornaliera. Così da indurre il povero guardiano a fare quel miscuglio (mi perdoni Cusmai dei termini inappropriati) che è all'origine di quel piatto che, opportunamente corredato di "sugo" (non di brodetto come da altre parti, ci avverte Mauro) costituirà il rinomato Cacciucco.
Più prosaicamente, mano a mano che crescevano lavori e lavoratori dediti ad attività pesanti, dagli scaricatori del porto ai trasportatori dei materiali ecc. era necessario trovare alimenti sostanziosi, pieno di proteine e grassi leggeri (come il pesce) e poco costosi.
Il Cacciucco faceva a Livorno, mi viene da dire, la funzione che ai muratori del Duomo a Firenze faceva il "peposo", ricco di calorie e di sostanze alimentari per gente esposta ai venti e alle intemperie quotidiane, fatto con la parte più callosa e povera del bove e con le vinacce di poco valore economico.
Naturalmente col tempo entrambi i piatti sono diventate delle specialità gastronomiche particolarmente ricercate.
L'importante, a proposito di Livorno e del Cacciucco, è che non perda, quando Livorno diventerà anche una città industriale col suo bravo popolo di lavoratori, qualcosa di essenziale della ricetta originaria. In poche righe l'autore è capace di rappresentarci i passaggi fondamentali della città, da polo multiculturale come la pensarono e la vollero prima i Medici e poi, sulla loro scia, i Lorena (molto bello l'accostamento che fa Cusmai tra questa natura della Livorno originaria e le caratteristiche del Cacciucco che "non è semplicemente un espediente per non buttar via del pesce invenduto, ma è un prodotto di cultura, anzi per meglio dire di una multicultura") a polo portuale e industriale, fino alla Livorno del dopoguerra, con le sue caratteristiche in parte rimaste immutate, in parte modificate dalle logiche della motorizzazione e della moderna logistica.
Lascio al lettore le pagine, anche quelle più gustose, dove l'autore mette in campo sia l'elenco dei luoghi più rinomati per mangiare bene il cacciucco, sia gli aneddoti o i sentito dire tipici dell'ironia e del senso di leggerezza dei livornesi di ogni epoca. Resta da dire della parte finale dedicata alle origini, alle fortune e alla attuale diffusione del Ponce nella realtà, storica e attuale, di Livorno.
Lascio ovviamente questa parte alla godibilissima prosa che Cusmai regala al lettore che si avvicini con curiosità e senza pregiudizi ai suoi racconti.
Molto utili, tra l'altro, le pagine che Mauro dedica alla guida ai migliori locali, ieri e oggi, nella storia del Ponce.
Di uno solo vorrei fare anch'io una segnalazione: il Bar Civili di via del Vigna, 55 in una delle zone di accesso da Nord a Livorno tra viale Carducci e via Provinciale Pisana, non distante dalla sede storica del giornale locale, Il Tirreno. In quel bar, in tempi lontani ma non troppo, provocato dal presidente dell'allora cooperativa che stampava il giornale, mi è capitato di vivere partite a briscola e tre sette, regolarmente perse dalla coppia presidente e suo vice e di pagare volentieri il poncino a tutti prima di recarci all'assemblea, io in veste di presidente della loro associazione regionale.
Ricordo ancora con piacere l'atmosfera con i quadri d'autore (rigorosamente livornesi) appesi alle pareti, il clima confidenziale e pieno di battute salaci che ti fa sentire fuori dagli affanni quotidiani, in una ambiente fuori dall'ordinario.
Insomma, per chiudere questo bel libretto, devo dare atto a Cusmai che con Cacciucco e Ponce ci fa storia, costume, ironia e ti fa sentire ancora più livornese anche se, come il sottoscritto, ha sempre sostenuto che se fossi esiliato da Firenze, la nuova patria non potrebbe che essere la città labronica. Grazie Mauro!
Renato Campinoti
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