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08 novembre 2022

Fabrizio Borghini: La commedia cinematografica toscana

Un lavoro di grande respiro e passibile di sviluppi ulteriori

Dobbiamo essere davvero grati a Fabrizio Borghini per questo impegnativo lavoro che, partendo più da lontano, traccia un percorso di continua crescita della commedia cinematografica toscana, a far data da Amici miei di Monicelli, con l'avvio di Benigni, la stella di Nuti e Veronesi, di Benvenuti, per rilanciarsi poi con Pieraccioni e via via tutti gli altri, fino ai successi di Virzì.

Già l'accuratezza e le testimonianze che conformano questa parte del lavoro di Fabrizio, meritano attenzione e un elogio all'autore. Il lavoro, fitto di nomi e circostanze, suscita riflessioni, per me, in almeno quattro direzioni.

La prima cosa che impressiona nel lavoro di Borghini è il riferimento, neppure di sfuggita, al retroterra culturale della città di Firenze, la più ricca di teatri disseminati in tutta la sua realtà, anche come sviluppo qui più che altrove di una borghesia colta, amante delle belle arti che favoriranno la nascita di molte compagnie e molti attori che sarebbe lungo qui ricordare, come invece fa il testo dell'autore.

In seguito a ciò è interessante il richiamo alla nascita e sviluppo del teatro di vernacolo, anch'esso fucina di attori una parte dei quali ritroveremo poi nella commedia cinematografica. Un nome per tutti, Sergio Forconi, che ritroveremo nel Berlinguer ti voglio bene, di Bertolucci e Benigni nella famosa gag sul ruolo della donna. Non manca, infine, in questa parte che andrebbe ulteriormente indagata sulla base dei numerosi spunti forniti da Borghini, un riferimento alla nascita e allo sviluppo di una forma di Cabaret particolarmente corrosivo e tagliente, che è all'origine di figure come Benigni, Messeri, I Giancattivi di Nuti, Benvenuti, Athina Cenci, per fermarsi qui, e che rappresenta anch'esso una vera e propria fucina su cui, dopo il successo di Amici Miei, troverà facile riserva di attori e registi per dare sviluppo alla nostra Commedia nel cinema.

La seconda riflessione che rimane dalla lettura del testo è l'assoluta poliedricità della gran parte dei personaggi, da Benigni, a Nuti a Pieraccioni, fino a Panariello a Paci e Ceccherini (ma è una lista per difetto) che sapranno svolgere più ruoli, da attore a sceneggiatore a regista che ne faranno una specie particolare nel panorama cinematografico nazionale.

E qui viene l'altra riflessione suscitata dal testo di Fabrizio: il ruolo svolto negli anni di forte sviluppo del cinema fiorentino e toscano dalla Cecchi Gori e in esso, dalla figura di Rita Rusic, vera talent scout della Casa, che non solo scoprirà i personaggi, ma ne saprà valutare i talenti, incoraggiandoli e sostenedoli in produzioni di largo successo.

In primis, naturalmente Il Ciclone di Pieraccioni, vero e proprio campione d'incassi (i cui proventi serviranno al marito di Rita e titolare della Ditta, Vittorio Cecchi Gori per l'acquisto di giocatori di prestigio come Rui Costa per la sua Fiorentina!), superato di poco l'anno dopo da La vita è bella di Benigni. C'è da domandarsi se senza una figura come quella della Rusic e una casa di produzione come la Cecchi Gori, ci sarebbe mai stato il successo di film come il Lucignolo di Ceccherini o il Pinocchio di Paci o, ancora il Bagnomaria di Panariello.

"Cecchi Gori per noi comici toscani è stato quello che Lorenzo il Magnifico fu per Michelangelo", arriva a dire Giorgio Panariello a questo proposito.

Infine un'ultima considerazione. Il lavoro di Borghini non riguarda, come potrebbe sembrare, solo Firenze e il suo hinterland, ma abbraccia tutta la realtà toscana. Non a caso Nuti è pratese, come Veronesi, Benvenuti è di Pontassieve, Monni è campigiano, lo stesso Benigni è di Vergaio, Prato. Panariello è di Viareggio, come versiliese è il capostipite Monicelli. Infine, pur trascurandone tanti altri, c'è il livornese Virzì che è tuttora in grande attività ed è sicuramente uno dei più amati dal pubblico e dalla critica, che non a caso gli ha tributato numerosi riconoscimenti.

Insomma si chiude malvolentieri questo libro di Fabrizio Borghini, perché sarebbero ancora tante le domande che vorremmo fargli su storie che lui ha solo sfiorato, come la vicenda personale di quello che è da considerarsi il capostipite del cabaret fiorentino, Giulio Ginanni, prima avvertito e poi picchiato con conseguenze mortali dai fascisti per farne tacere la verve libertaria e critica.

Allora come visse il teatro, il vernacolo, il cabaret a Firenze (la città della banda Carità e di Pavolini) durante il regime fascista? E un'altra domanda viene dalla lettura della vicenda personale di Francesco Nuti, prima osannato per tanti e grandi successi, anche di botteghino, riportati e poi rifiutato addirittura dalle case cinematografiche.

Quanto c'è di personale e quanto di responsabilità del cannibalismo dell'ambiente e degli interessi nella rovinosa caduta a cui abbiamo asssitito? Una analoga curiosità suscita anche la vicenda di Vittorio Cecchi Gori, stretto tra ingenuità e falsi e interessati suggeritori.

Ma non possiamo chiedere tutto a Borghini, certamente uno di quelli che sulla commedia cinematografica e sulla storia culturale della nostra regione ne sa più di tutti noi. Accontentiamoci per ora di questo pregevole lavoro e degli spunti che ci suggerisce per le ricerche che, ci auguriamo, saprà tradurre in altri, qualificati, lavori.

Renato Campinoti

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