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06 novembre 2022

Annie Ernaux: Una donna

 


Dalla biografia rinnovata al romanzo contemporaneo

Perché anche a quelli come me che non amano particolarmente il genere autobiografico, è piaciuto molto un libro come questo di Annie Ernaux? Certo, si sta parlando di un premio Nobel della letteratura e di una scrittrice che maneggia con una maestria invidiabile la parola scritta e la purezza e semplicità della lingua capace di affascinare il lettore già per queste ragioni. Ma c'è dell'altro, molto altro per cui si rimane piacevolmente attratti da un libro come questo, ed è il modo in cui una biografia, quella della propria madre iniziata i giorni immediatamente dopo la sua morte, si trasforma in qualcosa di più del racconto di un rapporto e dei sentimenti che pure attraversano tutta la narrazione. "L'infanzia di mia madre è pressappoco questa: un appetito mai sazio. Tornado a casa divorava famelica il boccone di pane aggiunto dal fornaio quando la pagnotta non pesava abbastanza...la camera comune per tutti i bambini, il letto condiviso con una sorella...i vestiti e le scarpe che passavano da una sorella all'altra, una bambola di pezza per Natale, i denti rosi dal sidro...gli insulti e i gesti rituali di sfottò - voltarsi e battersi il culo con una manata - all'indirizzo delle 'signorine' del collegio privato." Bastano queste poche righe per capire la capacità della Ernaux di dare vita ad un tipo di biografia che va oltre la narrazione della storia personale di "una donna" (come non a caso intitola l'omaggio a sua madre) per restituirci il senso di una vita fatta di miseria e di cose semplici dove già riuscire a saziarsi rappresentava un obbiettivo importante e dove esistevano molti poveri e poche 'signorine ' da sfottere. Ancora più acuminata è la penna della scrittrice quando, subito dopo sposata, continuando a fare l'operaia lei come il marito "i salari non aumentavano più. Avevano l'affitto da pagare, le cambiali dei mobili. Costretti  a stare attenti a tutto, a chiedere la verdura ai parenti (non avevano l'orto)...in lei la certezza che non avevano niente da perdere e dovevano far di tutto per cavarsela 'costi quel che costi' . Poco più avanti, raggiunto l'unico sogno alla loro portata con la presa in gestione di un negozio di alimentari, la visione si allarga alla condizione sociale più diffusa in quella parte della Normandia, "immersa in un contesto di povertà industriale molto simile, ma più dura, a quella che già aveva conosciuto, e cosciente della situazione, guadagnarsi da vivere grazie a persone che non riuscivano a farlo".  E' questa capacità di restituirci in poche, semplici righe l'atmosfera di momenti storici particolarmente difficili, che colpisce e affascina anche un lettore poco incline alla letteratura di sentimento. "Durante l'Occupazione, la Vallèe si è stretta attorno alla drogheria nella speranzosa attesa dei vettovagliamenti. Si sforzava di dare da magiare a tutti, soprattutto alle famiglie numerose, il desiderio, l'orgoglio di essere buona e utile." Qui viene fuori l'altro modo con cui l'Ernaux riesce a dare un'impronta interessante al carattere autobiografico del proprio modo di fare letteratura: l'intreccio tra le vicende  di contesto e le caratteristiche delle persone, in questo caso della madre, i cui connotati di generosità (la voglia di essere utile e di dare qualcosa agli altri l'accompagnerà per tutta la vita!) si evidenziano più che mai in questo modo, mantenendo al contempo vigile e interessata l'attenzione del lettore. Naturalmente sono tante le occasioni in cui viene fuori con forza il rapporto madre/figlia come elemento centrale di questo bellissimo ricordo di una mamma che è partita, si potrebbe dire, dalla gavetta sia, prima, come sposa e come negoziante e, poi, come madre che vuole trasmettere alla figlia tutta l'esperienza che una vita difficile e da conquistare giorno per giorno, la costringono ad accumulare. Emerge, da bambina, il carattere forte, più ancora di quello del marito: "Mio padre mi portava al luna park, al circo, a vedere i film con Fernandel...con lui mi divertivo, con lei avevo delle 'conversazioni'. Dei due, era lei la figura dominante, la legge." Poi c'è anche un pò di romanzo di formazione: "Con l'adolescenza mi sono allontanata da lei e tra noi c'è stato soltanto conflitto...non le è piaciuto vedermi crescere...tentava di conservarmi bambina, dicendo che avevo tredici anni una settimana prima che ne compissi quattordici, facendomi indossare gonne a pieghe, calzettoni e scarpe basse". E potremmo citare tante altre parti di questa ricerca per trovare e trasmetterci la verità su sua madre che individua forse nel "suo desiderio più profondo di darmi tutto ciò che non aveva avuto lei", che è l'essenza di un vero amore materno. Poi vengono anche per l'Arneau gli anni del matrimonio, del lavoro e dei figli e della separazione dalla madre, che tuttavia ritroverà più in là nel tempo e, infine, nel periodo della dolorosa malattia, la demenza senile, che la porterà, lei così forte e decisa, ad avere un costante bisogno e aiuto degli altri, della figlia in particolare. Le pagine finali di questo libro, del dolore che la madre prova e trasmette agli altri, sono forse le più dure ma anche quelle dove l'amore filiale, quel restituire una parte di tutto quello che una madre come questa le ha dato, emerge con una forza e una potenza che lasciano in bocca dolcezza e amarezza al tempo stesso. Una grande scrittrice, insomma, che sa fare dell'autobiografia un genere rinnovato del romanzo contemporaneo.


Renato Campinoti

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