Che Petros Markaris sia un grande giallista, uno di quelli, come ebbe a dire suo tempo il nostro Camilleri, "...che insieme a me ha contribuito al rinnovamento del giallo", è fuori di dubbio. Come è altrettanto fuori di dubbio che il rinnovamento di cui parla Camilleri è proprio nella capacità di far aderire la scrittura del giallo, del suo ritmo, degli inevitabili colpi di scena, all'ambiente sociale dove le vicende si svolgono.
È questa, anche a mio giudizio, la grande differenza con molta letteratura gialla, spesso all'apice nelle vendite, che fa delle vicende truculente, dell'ansia continua costruita su fatti mostruosi, la propria fortuna e quella di scrittori, appunto, come Camilleri e Markaris, che trovano nelle vicende ordinarie della vita di tutti i giorni il lato cattivo, talvolta anche violento, che può tuttavia avvenire sotto gli occhi della gente comune.
Un primo, grande merito di questo scrittore è di aver dato vita a un commissario, Kostas Charitos, alle soglie della pensione, sposato felicemente, con una figlia in gamba, che vive i problemi familiari come la grande maggioranza della gente, senza vizi particolari se non quello di amare la cucina greca, quella della moglie in particolare.
Succede così, come anche questa volta, che non si capisce benissimo se al nostro Commissario stiano più a cuore i casi che deve risolvere, piuttosto che i piccoli o meno piccoli guai familiare. In questo senso la vicenda della figlia, che sembra determinata a espatriare per andare in Africa per conto dell'ONU, accompagnerà il suo umore (e quello della moglie Adriana), dall'inizio alla fine del libro.
Ma, indubbiamente, al centro di questo libro c'è lei, la crisi della Grecia e il comportamento dell'Europa in quella fase con i Paesi con un alto debito pubblico.
È nelle pagine finali del libro, quando ormai, come inevitabile, Charitos ha portato a termine la cattura del colpevole, che sbotta e confessa il suo modo di vivere questo periodo: "L'unica cosa che abbiamo in comune con gli antichi greci è la Troika che ci è capitata tra capo e collo come una vendetta divina".
La stessa vicenda al centro del romanzo è strettamente legata alla situazione del Paese che più di tutti è stato costretto a misure drammatiche, fino all'abbattimento dei salari e stipendi, al licenziamento in massa per intere categorie di persone, alla perdita di speranza di un futuro in patria per moltissimi giovani. È in tale contesto che appare L'Esatttore, anzi L'Esattore Nazionale, come si firmerà nei ricorrenti bollettini o post sui social e come lo chiameranno gli stessi giornalisti che seguono le vicende.
In sostanza, tale personaggio, previo avvertimento, si incarica di uccidere, con siringa e cicuta, gli evasori fiscali più clamorosi che riesce a individuare con una non comune capacità di forzare i sistemi di sicurezza sui vari siti della finanza, della previdenza ecc. Rendendo pubbliche le sue gesta verso coloro che, pur avvertiti, non pagano le somme evidenziate, finisce per avere un duplice effetto: una parte degli evasori, viste le intenzioni determinate dell'Esattore, si presentano spontaneamente a versare le somme dovute, facendo entrare svariati milioni nelle dissestate casse dello stato e, al tempo stesso, suscita un'ondata diffusa di consenso per riuscire a fare quello che i politici al governo non sanno o non vogliono fare.
L'indagine, in queste condizioni, si presenta più complicata di altre volte e finirà per portare il commissario faccia a faccia coi politici inadeguati del suo Paese. Poi, non ne avevamo dubbio, l'abilità del Commissario e un po' di fortuna, indirizzeranno le indagini in una giusta direzione.
Colpisce, ancora una volta, la chiarezza di scrittura e la capacità di andare diretto al punto senza troppi giri di parole che favoriscono, per me, il piacere della lettura oltre alla comprensione anche di vicende talvolta complesse.
Da segnalare, tra i tanti personaggi che Markaris mette in campo, quello della moglie Adriana, cui il poliziotto è fortemente legato e, al tempo stesso, ammira per molti aspetti del suo carattere, a cominciare dalla sua capacità di fare del senso comune la migliore filosofia di vita. Impagabile quello che gli dice quando lui si decide a prospettarle un suo possibile ma contrastato avanzamento di carriera: "Tu sei bravo, capace e per questo non fai carriera. Rassegnati: sei tra gli onesti disgraziati, Kostas. Tra quelli che corrono solo per arrivare secondi". Quindi tace, mi attira al suo fianco e poggia la testa sulla mia spalla. Restiamo così, come due vecchietti soli... Ma Markaris non lesina niente sulla drammaticità della Grecia di quel periodo. Così il libro si apre col suicidio collettivo di quattro povere vecchiette che, con la riduzione delle loro pensioni, le difficoltà a trovare medicinali che sono loro necessari, i medici che fanno più scioperi che visite, decidono di farla finita. "Allora abbiamo capito", scrivono nel biglietto che lasciano in evidenza, "che siamo di peso allo Stato, ai medici, ai farmacisti e a tutta la società. Quindi ce ne andiamo per non darvi altre preoccupazioni...".
Altrettanto drammatica la scoperta dei corpi di due giovani, un ragazzo e una ragazza, che, benché laureati con ottimi voti, non sono riusciti a trovare un lavoro per vivere insieme. "L'unica possibilità che ci rimane è il suicidio" lasciano scritto "Abbiamo pensato di farlo qui, sul Partenone, almeno per mostrare ai nostri nobili antenati in che stato ci hanno ridotti i loro discendenti...".
Quando si chiude questo libro di Markaris non si sfugge dal pensiero di quanto sia stata difficile e piena di tante sofferenze la strada che ha portato le Istituzioni europee a ritrovare un po' più di solidarietà tra le nazioni e verso quelle più in difficoltà, per recuperare la possibilità di dare un senso positivo alla loro esistenza. Anche di questo occorre essere grati a uno scrittore di vaglia come questo.
Renato Campinoti
Renato Campinoti
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