Avendo letto e apprezzato il libro più recente della Raimo, "Niente di Vero" (vedi recensione nel Blog) mi sono avvicinato con curiosità a questo racconto lungo, che rappresenta anche, se ho ben capito, il libro di esordio della giovane autrice.
Cosa ho trovato? Anzitutto la figura di Matteo, questo giovane, quasi inossidabile ai sentimenti e soprattutto all'amore ("Amo vedere gli altri soffrire, è una forma di dipendenza che quasi mai diventa desiderio", ci dice fin dall'inizio) che rappresenta di per sé una scelta: quella di entrare nella testa di un maschio alle prese con la propria ricerca di autonomia economica e sessuale.
Devo dire che già agli esordi la Raimo dimostra una notevole capacità di interpretare, attraverso un rappresentante dell'altro sesso, i percorsi di formazione di giovani quanto mai esposti alla crisi dei valori più tradizionali.
E qui cominciano le altre novità che questa autrice, pur agli esordi, è capace di padroneggiare: il sesso come strumento di crescita e, al tempo stesso, di sofferenza se privo di un collegamento a un sincero sentimento di amore.
Succede così che Matteo, affascinante giovane quasi privo di carica affettiva, viene prima adescato (o è vero il contrario?) da Filippo, che lo porterà nell'agenzia di pompe funebri di cui è proprietaria la sua famiglia e dove lui, aspirante artista, lavora come truccatore di cadaveri.
Poi sarà l'algida e bellissima Claudia che, alla soglia di un matrimonio non proprio desiderato, cercherà rifugio nel rapporto con Matteo, in una dimensione quasi masochistica e anch'essa dolorosa ("Languiva legata mani e piedi su un divano aspettando l'ultimo atto del suo teatrino della crudeltà").
Il ménage a tre si svilupperà per tutto il libro fino, come è inevitabile, a un approdo non felice.
L'altra cosa interessante e innovativa, che ritroveremo in forma a mio giudizio più matura nel libro più recente, è il linguaggio, quasi sperimentale, che la Raimo utilizza in forma talvolta fin troppo esplicita, soprattutto nelle scene di sesso, talaltra in modalità quasi criptica, in evidente contrasto con quello usato, appunto, nelle scene di sesso o in occasione di fin troppo chiari episodi di confronto tra i personaggi.
Basti per tutte la frase: "Mi guardò come se cercasse di frantumare un minuscolo asse di metallo nascosta in fondo ai miei occhi".
Infine emerge l'altro aspetto tipico di questa scrittrice: il sostanziale fallimento dei rapporti familiari e, al loro interno, quello ancora più pesante, tra genitori e figli. Illuminanti in questo senso il colloquio tra Matteo e Gustavo, il padre di Filippo, che non trova di meglio che rivolgersi a lui per chiedere di essere aiutato a rendere Filippo riconoscente per "gli sforzi che continuo a fare tutti i giorni per rendergli la vita migliore. Ma lui non è mai stato riconoscente, mi sfida in continuazione, non sta dalla mia parte". Frasi dalle quali si evince la scarsa disponibilità del padre ad avvicinarsi ai veri problemi del figlio, piuttosto che sfogarsi col suo migliore amico.
Non meno interessante il colloquio che, infine, gli chiederà anche la mamma, da cui Matteo intuisce un rapporto non proprio idilliaco col marito e una ricerca di qualcosa d'altro, indipendentemente, anche lei, dai problemi del figlio.
Di cosa sia fatta questa ricerca e quale sia, infine, ciò che è in grado di far provare dolore perfino a uno come Matteo, lo lasciamo alla diretta lettura di coloro che vorranno capire, come ho cercato di fare io, quanto della Veronica Raimo di "Niente di vero" ci fosse già nella sua prima opera pubblicata.
Finendo per scoprire che una parte importante della ricerca di un nuovo linguaggio e di una dissacrazione di certi luoghi comuni e di valori puramente formali ormai appesi alla retorica familiare, tutto ciò è già abbozzato nel suo primo romanzo.
Naturalmente, come tutte le buone piante, con la crescita mettono i frutti e diventano più apprezzate dagli estimatori.
Renato Campinoti
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