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07 agosto 2022

Miriam Mafai: Pane nero, donne e vita quotidiana nella seconda guerra mondiale

 Un'inchiesta acuta e senza mezzi termini

Da grande giornalista di razza e scrittrice quale è stata Miriam Mafai, non a caso cofondatrice con Eugenio Scalfari del fortunato quotidiano La Repubblica, affronta in questo libro del 1987 la condizione delle donne italiane al momento della proclamazione dell'entrata in guerra dell'Italia il 10 giugno del 1940, fino alla rovinosa conclusione della stessa con la caduta del fascismo e la liberazione dell'Italia dai nazisti da parte delle truppe americane e dei partigiani il 25 Aprile del 1945. 
È impietosa l'analisi della concezione della donna sotto il fascismo che ci ricorda la Mafai.
La teorizzazione più esplicita viene dal cosiddetto scienziato Nicola Pende, il teorico delle leggi razziali, il quale arriva a sostenere: "La cultura della donna non può che essere adatta alle sue caratteristiche sessuali. In caso contrario c'è il pericolo ne vengano atrofizzati i lati più necessari alle funzioni di sposa e di madre e di collaboratrice tenera e comprensiva del lavoro dell'uomo". 
Per non parlare della regola che vuole che la richiesta di matrimonio non sia rivolta alla donna ma direttamente alla famiglia di lei.
Non solo, ma durante il matrimonio "Le donne contadine non sono autorizzate a sedersi a tavola, stanno in piedi a servire gli uomini di casa. Le donne delle famiglie operaie potrebbero sedersi, ma non ne hanno il tempo".
Inquadrata così la condizione femminile allo scoppio della guerra, Mafai passa quindi a metterci al corrente della mole di divieti e di sostanziali restrizioni con cui lo Stato fascista impediva alle donne di accedere a tutta una serie di attività, sia nelle fabbriche che, soprattutto nell'impiego statale (poste, ferrovie, insegnamento ecc.) in cui viene considerato necessario privilegiare il lavoro dell'uomo, colui che porta in casa lo stipendio e lascia alla donna le incombenze di casa, compresa l'educazione dei figli. 
Inquadrate così le questioni, la scrittrice sembra quasi divertirsi poi, per il prolungamento non previsto della guerra, così come del suo davvero poco edificante andamento, a mostrare come la gran parte dei divieti e delle consuetudini imposte dal fascismo, verranno superate dai fatti a causa della mancanza della manodopera maschile, prima nell'industria di guerra, poi, via via, in tutti quei servizi, dalle poste alle ferrovie, alla scuola, in cui, mancando gli uomini sempre più necessari sui fronti di guerra, dall'Africa fino alla sciagurata e drammatica invasione della Russia, è necessario che divengano protagoniste le donne. 
E così sarà, fino a vederle diventare la vera e propria spina dorsale della vita industriale e dei servizi (comprese le autiste degli autobus) del nostro Paese. 
Naturalmente la Mafai non nasconde le profonde differenze, mano a mano che la guerra rende sempre più difficili e precarie le condizioni anche alimentari della popolazione, tra le donne che sono costrette a vivere del proprio lavoro e quello delle signore di buona famiglia in cui non mancano mai né alimenti né divertimenti. 
Tuttavia, quello che interessa è come, in tali frangenti, le donne diventano di fatto le protagoniste della vita civile nonostante le leggi e il senso comune dei benpensanti. La cosa si accentua ancora di più quando, caduto il fascismo ed entrata in guerra l'America, si pone tuttavia il problema di liberare il nostro Paese dall'invasione nazista. 
Nasce, come si sa, il movimento partigiano di cui anche le donne, a cominciare dai servizi di logistica e di supporto (le famose Staffette!) faranno parte a tutti gli effetti.
Ma non si creda che Miriam Mafai si accontenti di esaltare, come è giusto, il protagonismo delle donne, che pure c'è e si farà sempre più sentire.
Quello che interessa alla grande giornalista è mostrare, anche con i numeri e una ricca documentazione, l'evolversi del fenomeno femminile con le novità che intervengono nella vita economica (da paese prevalentemente agrario a paese prevalentemente industriale dell'Italia) ma senza nascondersi che non è bastata la Resistenza per affrontare le profonde ingiustizie (basti pensare alle differenze salariali tra uomini e donne) che le donne continueranno a patire. 
"Il ritorno alla normalità", scrive la Mafai parlando della vittoria partigiana e degli alleati sul fascismo, "significa anche il ritorno alle vecchie discriminazioni: le donne avranno un salario inferiore agli uomini, come è sempre stato.
Qui il fascismo e l'antifascismo non c'entrano: così era e sarà". 
Cosa dire allora di questo libro scritto da una che è stata essa stessa partigiana e che, di lì a qualche anno, dirigerà anche il giornale delle donne che lottano per l'emancipazione "Noi Donne"? 
Che ancora nel 1987, quando il libro viene pubblicato, l'uguaglianza tra uomini e donne aveva fatto molti passi avanti, ma ancora molti erano da fare.
E dunque ben venga la denuncia e l'incitamento di "Pane nero". Miriam Mafai ha voluto documentarci quanto difficile e aspro sia stato e sia tuttora il cammino della parità di genere nel nostro Paese.
Un libro insomma che è anche un documento di grande giornalismo d'inchiesta che merita di leggere e discutere come lei avrebbe sicuramente voluto.

Renato Campinoti

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