Ancora una volta, in questo ormai consueto appuntamento annuale, Paolo Dapporto ci sorprende misurandosi col genere giallo e inventando per questo un commissario molto vicino alle sue sensibilità.
Va detto anzitutto che ciò che rimane della scrittura di Paolo è il suo stile chiaro, essenziale, godibile, privo di inutili arzigogoli troppo spesso presenti nel genere, rendendo così la lettura un vero, scorrevole piacere che ci fa terminare il racconto in un breve, piacevole spazio di tempo.
Ma sono i nuovi personaggi, questa volta, a imporsi all’attenzione del lettore: il commissario Gaetano D’Amore anzitutto, che ha, come tutti, i suoi rimorsi (bellissima la figura dello spettro del balordo condannato forse ingiustamente, che lo perseguita e, quasi, lo aiuta nelle indagini) ma che per il resto si aggrappa a una possibile normalità di vita come se ne trovano sempre meno.
Ma sono i nuovi personaggi, questa volta, a imporsi all’attenzione del lettore: il commissario Gaetano D’Amore anzitutto, che ha, come tutti, i suoi rimorsi (bellissima la figura dello spettro del balordo condannato forse ingiustamente, che lo perseguita e, quasi, lo aiuta nelle indagini) ma che per il resto si aggrappa a una possibile normalità di vita come se ne trovano sempre meno.
Non meno interessante l’aiutante del commissario, l’ispettore Marco Bianchi, che sembra avere potenzialità narrative da sviluppare ulteriormente. Una figura centrale è sicuramente quella della moglie, vero supporto e sostegno del commissario.
Una parte speciale Dapporto la riserva alla figura del nonno, a quello del libro ma come figura per Paolo ancora una volta di valore generale: “i nonni sono isole in un mare in tempesta”, definizione che basta e avanza per quello che poi ci racconta del rapporto col nipote anche in questo romanzo.
Ma c’è una cosa, vorrei dire un valore che, insieme alla pur sagace trama del giallo, Dapporto ci vuol trasmettere ed è l’elogio delle cose fatte con calma e con la dovuta attenzione.
Il curioso ma chiaro titolo stesso del libro (non a caso pescato nella saggezza popolare) è indicativo di questa esplicita volontà dell’autore. Volontà che si trasforma in insofferenza di fronte alla frenesia dei giovani sempre attaccati ai social e a una loro presunta velocità comunicativa.
Insieme e vorrei dire collegata al valore della lentezza, Paolo ci indica la necessità di difenderci dai luoghi comuni i quali, insinuatisi nel linguaggio della burocrazia (“indagini a 360 gradi”, “ricerca del colpevole h 24” e banalità del genere) finiscono per fare danni a quella lingua “dove il si suona”, per dirla col Padre dell’italiano.
Molto azzeccata la parte finale, quando ormai l’assassino è stato trovato e il commissario si esercita in una interessante riflessione sulla diversa natura del delitto d’onore rispetto a quello che oggi si chiama femminicidio. E questa è l’unica parte che non mi vede d’accordo col commissario D’Amore. Ma di ciò ci sarà modo di parlarne nelle tante, belle occasioni di dialogo sui libri con uno scrittore di valore che ci regala sempre emozioni e riflessioni.
Si tratta dunque di un romanzo con tante novità e molte conferme della scrittura e dei valori di Dapporto che promette nuovi, interessanti sviluppi che, ne sono certo, Paolo non ci farà mancare.
Renato Campinoti
Renato Campinoti
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