Niente di vero"... molto di verosimile! Si potrebbe sintetizzare così questo, libro, frutto di una originalissima e avvincente scrittura di questa brava scrittrice, che andrà frequentata di più dopo questo assaggio.
Volendo continuare sullo stesso registro si potrebbe anche dire: "Niente di vero", molto di Veronica; per dire che l'autrice non sfugge al genere di formazione in questo libro, senza tuttavia limitarsi a questo. Di formazione perché è anche un libro che ci parla del difficile cammino di questa singolare figura di donna (o non sono tutte singolari le donne che vogliono emanciparsi?) per fuggire dalla morsa di una famiglia che più tipica non si potrebbe.
Disegnata con il registro del paradosso ("siamo al paradosso" non si stanca di ripetere il padre per scansare ogni riflessione su ciò che gli capita in famiglia!), appare particolarmente esilarante la figura della madre, che misura ogni atteggiamento o problema della figlia sulla base dei propri parametri culturali e il proprio sistema di valori.
Il fatto poi che scambi ogni suo desiderio (metterà da parte interi cassetti di pannolini e vestiti per neonati, indipendenmente dai desideri della figlia!) per una realtà che va per suo conto, la rende semmai più patetica e inadatta a svolgere un decente ruolo di mamma. Esilarante la sua trasformazione della connessione telefonica permanente del cellulare in una nevrosi da mancata risposta ogni volta che la figlia si eclissa per più di una mezz'ora.
Non meno inadeguata è la figura paterna che, oltre a disinteressarsi completamente delle vicende familiari, finirà per banalizzare la sua apparente figura di rigore morale, alla prova di rapporti che lasceranno di stucco la povera Veronica.
L'altra figura familiare, il fratello, partendo da una condizione di piccolo genio nelle materie scolastiche più apprezzate dalla famiglia, ha anch'esso, inizialmente, una funzione di isolamento di Veronica nell'ambito familiare.
L'originalità di questa parte del libro risiede nello stile e nel registro con cui la Raimo presenta le vicende che accadono e lo stesso sviluppo della protagonista, da bambina ad adolescente, che è una modalità eminentemente ironica, che fa immaginare uno sviluppo lineare e quasi umoristico delle storie che ci vengono narrate.
E invece è qui, a mio parere, che emerge la forza del libro e della sua autrice: un cambio di registro, nella seconda parte, che riporta in primo piano questioni che, già disseminate anche nella prima parte (emblematico da questo punto di vista il tentativo di stupro a opera di uno strano parente!) diventeranno quelle di cui l'autrice vuol davvero parlarci.
Mi riferisco alla grande e contrastata difficoltà di una giovane donna a scegliere la sua strada e i suoi amori e perfino la scelta, comunque dolorosa, riguardo alla maternità. Perfino il rapporto con l'amica dell'infanzia, che si protrae a lungo fino alla maturità, si interromperà di fronte alla sua diversa decisione in fatto di scelte di vita.
Resta, ("siamo al paradosso" avrebbe detto il padre) un rapporto apparentemente agonistico, in realtà molto forte, col fratello anch'egli scrittore. Che alla fin fine non è molto ma è anche il segnale che, con i prezzi da pagare, si può finalmente raggiungere una propria, autonoma, forma di maturità e di emancipazione.
Sarà questa maturità che la porterà perfino a guardare con un occhio diverso e un sentimento molto dolce alle apprensioni della madre. Viene da qui lo spunto per una delle pagine a mio giudizio più belle e, involontariamente, più attuali di tutto il libro, quando l'autrice, ripensando a uno spettacolo visto a Berlino (città dove finirà per risiedere una parte dell'anno) a proposito delle madri dei desaparecidos argentini, immagina il dramma della propria madre se si fosse trovata in analoga situazione.
"La morte è atroce", chiosa la Raimo "ma l'impossibilità del lutto è disumana". Lasciandoci attoniti di fronte alla TV che ci trasmette ogni giorno notizie di fosse comuni e di corpi lasciati a disfarsi sulle strade della presente, drammatica, guerra.
Renato Campinoti
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