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24 maggio 2022

Gianrico Carofiglio: Rancore

Una bella storia, tante spiegazioni legali

Penelope Spada, già alla sua seconda apparizione, diventa un personaggio femminile potente e fragile. 
Bella la storia di un uomo maturo, un potentissimo barone universitario, chirurgo di fama, morto improvvisamente di infarto, con una figlia che non crede al caso, soprattutto se il padre ha sposato una ragazza di più di trenta anni più giovane e bellissima, casualmente fuori città al momento della morte del marito. 
E sarà proprio lei, Penelope, uscita in maniera drammatica dalla magistratura, a dover indagare sulla verità di quella morte, del personaggio della moglie giovane, dell'amico medico, rimasto nelle fila modeste dei medici di famiglia mentre lui, il morto, ha scalato tutte le classifiche del suo mestiere ed è diventato perfino un influente membro della massoneria. 
I misteri si infittiscono mentre Penelope, con la sua affezionata cagna di grossa taglia, Olivia, si trascina da un incontro all'altro per tessere la tela del mistero che, solo in fondo, troverà una sua composizione. 
Dunque un altro bel libro, un racconto affascinante, non privo di risvolti psicologici come sa fare uno scrittore di spessore quale è sicuramente Carofiglio. 
Ma, per chi, come il sottoscritto, ha letto tutto ciò che Carofiglio ha scritto, restando sempre molto soddisfatto, questa volta, a fronte di un racconto sicuramente interessante e a personaggi affascinanti anche nei loro difetti, ho avvertito un piccolo neo nella fattura del romanzo che, ripeto, è più che meritevole di lettura e di ammaestramenti anche giuridici e legali. 
Ecco, forse è qui, in un eccesso di spiegazioni, vorrei dire di didattica legale anche circa i comportamenti più consoni da tenere sia da parte dei magistrati che dei poliziotti, che ho avvertito una specie di sovrabbondanza, come un riempitivo non necessario in una storia, ripeto, assolutamente interessante, in un racconto peraltro come sempre ben congegnato e non privo di colpi di scena e di ritmo narrativo. 
Si tratta, come si capisce, di un'osservazione e una sensazione del tutto personale, forse dettata anche da un'aspettativa, non tradita, di leggere con Carofiglio un romanzo di valore a fronte di tanta produzione, soprattutto nel genere "giallo" non sempre di speciale fattura. 
Particolarmente godibili i capitoli finali del romanzo, quando inizia la rincorsa a una verità che, come in ogni giallo di valore, si manifesterà solo nel finale in maniera del tutto inaspettata. 
Altrettanto godibili le riflessioni della protagonista, Penelope, (che è davvero uno dei personaggi femminili più riusciti tra quelli che conosco!) nel bel mezzo di una salutare passeggiata nel verde del parco del Ticino insieme a Olivia, ci spiega la differenza tra gli esseri umani e i cani nella percezione delle cose del mondo: «La gioia che noi nel contemplare un paesaggio meraviglioso, un tramonto, un'opera d'arte... i cani la provano attraverso il canale dell'olfatto... Per questo non bisognerebbe tirar via un cane quando per strada si ferma ad annusare qualcosa. È una violenza, come bendare una persona e impedirle di guardare il mondo che ha attorno». 
Per chi, come il sottoscritto, possiede e ama un cane di grossa taglia, una frase come questa merita la lettura di tutto il libro. Che, ripeto, al netto di qualche osservazione che vorrei confrontare con altri lettori, merita davvero il breve tempo con cui si fa leggere.

Renato Campinoti

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