Il pifferaio magico e la risoluzione delle mamme livornesi
Se la storia si fosse svolta a Livorno avrebbe avuto tutto un altro andazzo.
Molti, ma molti anni fa, la città di Livorno ebbe un periodo in cui i topi o meglio i tarponi la facevano da padroni. Se ne trovavano dappertutto, e se dico dappertutto vuol dire proprio dappertutto.
Non erano più solo sulle navi o lungo i fossi ma si stavano impadronendo delle cantine, degli scantinati, e stavano arrivando fino ai primi piani delle case. Cominciava a serpeggiare del malumore tra i cittadini, si diceva che portassero la peste, e così si cominciò a pensare a come farli fuori. Si misero quantità industriali di veleno in ogni angolo della città, ma i topi erano furbi e così quelli che morirono furono solo i gatti.
Di male in peggio. Senza questi nemici naturali i topi prosperarono ancora di più.
Qualcuno disse che in Germania c’era un cacciatore di topi, li aveva fatti fuori tutti da un’intera città.
Si cominciarono le ricerche di questo personaggio, si spedirono piccioni viaggiatori, si mandarono messaggeri, navi, insomma si mobilitarono tutte le più svariate risorse che c’erano in città. E un giorno, misteriosamente, apparve in città lui, il Pifferaio magico. Fu ricevuto dal sindaco, dal prefetto, dal console dei portuali, insomma da tutte le massime autorità cittadine. Furono convocate riunioni per sentire cosa poteva fare per liberare la città dall’invasione dei topi, fu stabilito il compenso per il suo lavoro e il pifferaio si mise immediatamente al lavoro. Tirò fuori da un taschino del giubbotto il suo vecchio flauto, iniziò a suonarlo e tutti i topi della città, attratti da quel suono magico, lo seguirono. Riuscì a portarli fino ai fossi dove tutti i topi finirono annegati.
Problema risolto, direte voi, no! Qui cominciarono i problemi. Visto che il lavoro era stato fatto in poco tempo, con un mezzo poco tecnologico, primitivo, i notabili che avevano stipulato il contratto non volevano rispettarlo e offrirono al pifferaio un quarto della somma pattuita. Lui, indignato, la rifiutò, disse che i patti andavano rispettati e che il giorno dopo voleva essere pagato per l’intera somma pattuita. Niente! Non lo pagarono, anzi tra loro corsero parole grosse e il pifferaio, sentendosi tradito e non rispettato, si allontanò dicendo che gli avrebbe fatto pagare a caro prezzo questo voltafaccia.
Nessuno pensò che un poveraccio come il pifferaio avrebbe potuto fare qualcosa di grave sia a loro che ai cittadini o alla città stessa. Loro avevano ragione, stavano difendendo le finanze pubbliche.
Ma quella sera, una livornese, di quelle veraci, una popolana del quartiere della Venezia, sentì lo sfogo e i propositi del pifferaio se non fosse stato pagato e sentì che aveva in mente di ripetere quanto successo nella città germana, dove non era stato pagato. La donna non perse tempo, si rimboccò le maniche e pensò a cosa poteva essere fatto perché questo non succedesse.
La donna, Amelia, andò subito a fà’ il giro delle botteghe e a dì’ vèllo che aveva sentito. Immediatamente ci fu un formarsi di capannelli di mamme, nonne, zie, cugine, amiche, perché a Livorno se ‘ni tocchi i bimbi, ne tocchi anco te. E ‘un importa se i figlioli hanno 50 anni, restano sempre “i bimbi”
Ar sindaco ‘l’andette bene perché vèlla sera ‘un rientrò a casa. La moglie l’aspettava sull’uscio, con le mani su’ fianchi, per digniene quattro propio sul muso perché convocasse subito ir consiglio comunale affinché la cosa si risolvesse immediatamente. E come lei anco tutte l’artre donne erano sul piede di guerra. I portuali indissero subito uno sciopero generale perché i contratti vanno sempre rispettati specie se sono a favore di un lavoratore. Un bel gruppo di donne poi andette a cercà’ il pifferaio che siccome ‘un conosceva le donne livornesi, credette che andessero a cercà’ lui per artri motivi.
“O’ bellino, cosa vorresta fà’ a’ nostri figlioli? Qui a Livorno i bimbi ‘un si toccano nemmeno se cìanno 50 anni. Dove li vorreste portà’? A Montinero? A vedè’ la Madonna? A piedi e con vesto cardo? Ma sei matto? E poi la funicolare è rotta. ‘Un se ne parla nemmeno pe’ scherzo.”
Il pifferaio cominciò a capire che con loro ‘un si scherzava e ‘ni viense anco un po’ di paura.
Si difese dicendo che era per fare una gita, per conoscere i dintorni e i ragazzi gli avrebbero fatto da guida.
A questa spiegazione le donne si rabbonirono un bel po’ e di comune accordo ‘ni fecero vesta proposta:
“Giovine, se vòi conoscè’ Montinero devi venì’ con noi domenica e si fa una bella ribotta tutti insieme”.
Ed ecco come la ribotta a Montenero servì per fare amicizia, per riprendere i contatti e il contratto in mano, perché con un fiasco di vino davanti, con prosciutto e baccelli è più facile capirsi anche se siamo di nazioni e mentalità diverse.
Gabbrielle Guarguaglini
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