Quando si parla di Ellery Queen si dice dei cugini Frederic Dannay e Manfred Lee che con questo pseudonimo scrissero ben 40 (quaranta !) libri e un numero imprecisato di racconti.
Siamo, con questo volume, nel più classico dei modelli gialli dei grandi scrittori americani.
L'uomo colpito da amnesie, il padre arricchito self made all'americana, la moglie bellissima e giovane, il fratello un pò pazzo, perfino la madre smemorata e colpita da fissazioni bibliche.
Insomma non manca nulla e la trama si sviluppa, nel più tradizionale dei modi, lentamente fino... fino ai colpi di scena che seguono l'uno all'altro: il figlio adottivo, i genitori veri poveri, i furti in casa, i misteri del figlio. la moglie...
Ma qui mi fermo perché di un giallo classico non si può dire niente senza cadere nello spoileraggio selvaggio. Si può solo ricordare che il mestiere di Ellery Queen, quello del romanzo, è quello dello scrittore, che altrimenti non sapremmo di cosa riesce a campare, dato che non ha una vera agenzia investigativa e risolve i casi per intuizione senza nessun compenso.
Gli basta trascrivere le storie che vive per trovare la sua fonte di sostentamento. E si può dire che anche in questo romanzo, come nei più classici della serie, niente è come sembra e per capire davvero cosa è successo nelle vicende narrate, bisogna aspettare l'ultima pagina.
Posso solo aggiungere che, abituati da certe trame truci e piene di cadaveri dei nostri scrittori contemporanei, tornare al giallo classico, dove il morto è solo uno, massimo due e la scoperta del colpevole è lasciata alla forte capacità intuitiva del personaggio principale, è una vera boccata d'ossigeno.
Il bello e il brutto delle facili ricchezze e miserie americane di quel periodo è alla fine il vero soggetto dei grandi scrittori di gialli di quegli anni Che non a caso sono gli anni che videro nascere e svilupparsi ampiamente il genere.
A voi l'occasione di smentirmi.
Renato Campinoti
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