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31 dicembre 2021

Renato Campinoti: Ecco il regalo che ti meriti!

Gennaro cominciò a correre all’impazzata giù per il vicolo che separava quella villa sulla collina dalla sua casupola nei quartieri spagnoli. Non sopportava il giorno di Natale da quando non c’era più il suo Pino. Ma aveva promesso alla moglie che questa volta sarebbe stato bravo e avrebbe provato a fare un po’ di festa insieme a lei e Sofia, l’altra figlia, cui voleva un sacco di bene, ma che non riusciva a riempire quel vuoto enorme lasciato dal figlio.Quando arrivò abbastanza vicino a casa, si calmò e andò col pensiero ancora una volta all’ultima telefonata che aveva ricevuto dal capo della famiglia Scicchitano, i veri padroni di quella parte della città.

«Fammi un regalo Gennarino. Fatti passare di mente quello che vedesti quella sera. Se mio figlio ha fatto quello che ha fatto, una ragione ci sarà stata, lo sai anche tu. Non potete venire a pregarmi di farvi avere una casa, un lavoro per vostro figlio e poi non rispettare le regole»

Gennaro era rimasto gelato da quelle crudeli parole e aveva riattaccato senza rispondere niente. Cosa doveva dire? Si stava avvicinando il processo per l’uccisione di suo figlio, ammazzato proprio sotto i propri occhi da quel delinquente del giovane Scicchitano, perchè non sopportava che una ragazza potesse rifiutare la sua corte e farsi vedere in giro con quel poveraccio di Pino.

Gennaro sapeva che se si fosse azzardato a parlare al processo, a dire quello che aveva visto con i suoi occhi, per la sua famiglia sarebbe stata la rovina. Addio lavoro, addio casa, per non parlare dei rischi mortali per sé (ma questo importava poco) e per i propri familiari.

Mentre era preso da questi pensieri, sentì squillare il cellulare che teneva in tasca. Era la moglie che voleva sapere dove si era cacciato, che era l’ora di pranzo e lui aveva promesso.

«Tranquilla Carolina, tra poco sono lì e festeggeremo insieme tutti e tre…anzi vorrei dire tutti e quattro. Poi ci scambiamo anche i regali!»

La moglie notò il tono insolitamente festoso nelle parole del marito e pensò che, forse, stava uscendo da quel maledetto periodo tutto nero a causa della morte del figlio. Si meravigliò un po’ per l’allusione ai regali cui da tempo avevano perso l’abitudine.

Ormai era vicinissimo a casa, poco più che un basso con una finestra in più nella camera di lui e della moglie. Gli ultimi pensieri li dedicò alle settimane più recenti, alla preparazione scrupolosa di questo Natale.

«Devo ringraziare gli amici che hanno compreso appieno il mio stato d’animo e mi hanno aiutato in tutto», si disse Gennaro, avendo in mente soprattutto Totò, come tutti chiamavano Salvatore Marino, un uomo che ne aveva combinate di tutte nella vita. Aveva perfino fatto il pugile prima, il guardaspalle dei potenti poi, e che da un po’ di tempo aveva cominciato a dedicarsi a dare una mano agli abitanti del suo rione, a chiunque si rivolgesse a lui per un consiglio, un aiuto sulle questioni di sua pertinenza.

«Senza di lui, l’attrezzatura che mi ha prestato, l’addestramento paziente cui mi ha sottoposto, senza l’impegno di stare sempre vicino alla mia famiglia, non ce l’avrei mai fatta» si disse, ormai sull’uscio di casa, pensando alla faccia di Scicchitano che stava per trovare davanti al cancello della villa il cadavere fresco del figlio con quel cartello attaccato agli abiti: “Ecco il regalo che ti meriti!”.

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