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12 ottobre 2021

Renato Campinoti: Racconto; Affari di famiglia

Affari di famiglia 1

Mi ha detto Tano: «Totò, non fare resistenza e, soprattutto, non parlare di noi. All’avvocato ci abbiamo già pensato, uno dei più bravi e ammanicati di Firenze. Sai quanto siamo generosi noi con la famiglia tua…se sei bravo, te la puoi cavare con poco. E quando esci sei un uomo ricco…ricco Totò!» E poi ha aggiunto una cosa che non ho ben capito: «Non ti preoccupare della nostra parte dei lavori…quelli grandi Totò. Ora si cambia, questo Coronavirus ha cambiato un sacco di cose. Ci sono affari da codeste parti che solo chi ha un mucchio di soldi da investire può realizzare. E noi li abbiamo Totò. Perfino dall’America ci fanno sapere che i soldi ci sono, gli affari con la roba sono andati a gonfie vele di questi tempi. Perciò Totò, sei stato bravo, hai fatto miracoli in questo settore degli appalti. Ora si cambia. Tu devi solo tacere e smentire ogni allusione. Devi dire che tutte queste notizie che girano sui giornali, sono prive di fondamento. Così devi dire. E quando esci sei un uomo ricco. Prima di uscire di scena, diciamo, ti chiediamo un ultimo favore. Vedi se trovi un alloggio decente, da gran signore per capirci, per Pino, che verrà lui a occuparsi di queste cose nuove di cui ti ho detto. Ci vuole specializzazione, Totò…». E si è messo a ridere. Tanto in galera mica ci deve andare lui. Io li conosco bene questi stronzi. Quando parlano della famiglia, intendono che se non faccio parola di loro il mensile arriva, ma se mi scappasse qualcosa, giusto per alleggerire la mia posizione, allora posso dire addio alla famiglia…Ma non capisco cosa ha voluto dire che ora si cambia, che ci sono affari nuovi alle viste. Io so solo che me mi mettono da parte, anzi in galera. E a Pino ponti d’oro.

Quella mattina Caterina era particolarmente di buon umore. Aveva convinto il Capo ad affidare a lei e ad Antonia la brutta faccenda della ragazza nigeriana uccisa in maniera brutale e lasciata sul ciglio della strada. Aveva accettato di buon grado che fosse Matteo, il suo uomo, a sovrintendere alle loro indagini, data la pericolosità dei personaggi in campo in quell’affare. La fine della segregazione delle persone, quella atmosfera pesante che avvolgeva da mesi la città, stava lasciando il posto ad una nuova fase, quasi una rinascita. E anche lei, che pure non si era mai fermata, come tutti i suoi colleghi, per controllare chi sgarrava dalle rigide disposizioni, sembrava ora avvertire questo nuovo spirito che circolava tra la gente. E si notava, cavolo se si notava, che stava bene e mostrava voglia di vita Caterina. Chi l’aveva vista entrare in Questura, perfino coloro che pure erano abituati alle sue fantastiche forme, non potette fare a meno di sgranare gli occhi a quelle accentuate e gagliarde movenze.

Matteo, suo collega e prossimo marito, vedendosela passare davanti all’ufficio, si domandò ancora una volta come poteva succedere quello che gli accadeva quando incrociava la sua donna, che pure aveva lasciato solo da due ore per venire al lavoro.

Caterina non fece in tempo a scambiare un bacetto di buongiorno col suo uomo, che fu chiamata dal vicequestore Martelli per una faccenda urgente.

«Purtroppo devo chiederti di affiancarmi in questa nuova, brutta faccenda. Saranno Antonia e Matteo a occuparsi, per il momento, dell’assassinio della ragazza nigeriana»

Caterina non potette fare altro che accompagnare il vicequestore Martelli sul luogo di questo nuovo delitto, chiedendo solo se se si trattava di una vicenda tale da distoglierla dall’altra, brutta storia, cui si stava già appassionando.

«E’ una brutta cosa davvero», le disse Martelli mentre si recavano verso Fiesole, zona San Domenico. «Il guardiacaccia che l’ha trovato dice che si tratterebbe di un rampollo di una delle famiglie nobili più famose della città di Firenze: Bruschetti Leonardo, ti dice niente?»

«Certo che mi dice, Capo. Mi pare il maggiore della famiglia, da quando è morto il vecchio marchese. Per me era una brava persona, questo Leonardo, piuttosto riservato, membro di qualche Rotary, Lyon’s e roba simile. E non l’ho mai sentito dire male di qualcuno, neppure dei politici, che spesso è uno sport nazionale per quelli come lui. Talvolta si è prestato per qualche campagna di appoggio alle iniziative per la lotta contro i tumori. Da un po’ di anni la famiglia si era impegnata nel settore del vino di qualità. Ma credo che di affari si interessassero di più gli altri familiari, la sorella soprattutto.»

Sarebbe dovuta essere una fine di Giugno calda e afosa, come di solito si presentava il tempo a Firenze a ridosso della festa di San Giovanni, il Patrono della città, solitamente festeggiato con la finale del torneo del Calcio Storico, quell'anno rinviato a causa del Coronavirus. Il cielo era invece ancora nuvoloso e, a tratti, si scorgevano zone dove l'oscurità era più intensa, indizio certo di scrosci d'acqua in corso.

Mentre, lasciatosi alle spalle Campo di Marte, salivano verso la cittadina etrusca sulle colline fiorentine, Caterina notò il ritorno di una ruga sulla fronte del vicequestore, tipico segnale di qualcosa di storto di genere personale.

Martelli, che aveva notato lo sguardo indagatore della sua poliziotta, la prese in contropiede.

«Quel mascalzone del padre del figlio di Marta, la nostra dottoressa del Ris, nonché mia nuova consorte, si è messo a ricattarci. Se non gli permettiamo di avere con sé per qualche periodo il ragazzo dice che chiede la revisione degli atti del tribunale, che impianta un casino e tutto quello che consegue. Si comporta così soprattutto per fare un dispetto alla ex consorte e al sottoscritto. E qui, come puoi immaginare, ottiene qualcosa. Mette il ragazzo in agitazione e, di conseguenza, anche sua madre entra in stato di ansia. Che dovremmo fare Caterina?»

Caterina non ebbe esitazioni: «Niente dovete fare. Solo stare tranquilli e sereni. E così fare stare sereno anche il ragazzo. Si tratta di piccole ripicche. Quale giudice prenderebbe mai sul serio la revisione di un atto a favore della madre, agente del Ris, del suo nuovo marito, vicequestore rispettato e stimato, per assegnare il figlio al padre, un palazzinaro sempre ai limiti della legge? Pensa piuttosto a stare vicino a tua moglie e darle quella tranquillità di cui ha bisogno»

Caterina vide distendersi un po’ la ruga del Capo, ma capì anche che la brutta faccenda di quell’illustre morto ammazzato sarebbe ricaduta in gran parte sulle sue spalle.

Da quando si era messa a ripassare e ad approfondire, insieme a Matteo, la storia della città di Firenze, ogni volta che saliva verso Fiesole non poteva fare a meno di immaginare cosa sarebbe successo se, invece della vittoria dei Romani sugli Etruschi, padroni del colle fiesolano, fosse successo il contrario e la bella cittadina in riva d’Arno fosse stata distrutta dai suoi nemici. Ma sapeva benissimo che si trattava di una mera supposizione, dato che Fiorenza, come si chiamò da subito la ridente città in cui, molti secoli dopo, anche lei sarebbe nata e cresciuta, aveva un destino di grande nobiltà e indipendenza che eserciterà ampiamente nei secoli posteriori al periodo medievale.

Ma non ci fu bisogno di salire fino in cima alla salita che portava alla ridente cittadina, meta di pellegrinaggi incessanti di turisti, scoraggiati solo, nei lunghi mesi del lock down, dal maledetto virus che aveva invaso il mondo. Guardando le sontuose ville, seminascoste dagli alberi, disseminate sulle pendici meravigliose sotto Fiesole e vista completa della città di Firenze, le venne di ripensare, a proposito di pandemia, alla grande peste di metà del ‘300 che vide dimezzata la popolazione della città, allora una delle più grandi e fiorenti d’Europa e come, anche allora, chi potette si rifugiò lontano dagli appestati di città, in attesa che il morbo se ne andasse. «E quel grande scrittore che fu Boccaccio, anch’egli fuggito con gli amici fuori città, si divertì perfino a prendere in giro i vizi dei fiorentini, mentre tutto intorno il morbo seminava morte».

«Di cosa stai parlando?», le chiese Martelli avendola sentita farfugliare quest’ultimo pensiero. Ma Caterina non fece in tempo a rispondere che erano giunti sul luogo del delitto.

L’uomo è stato ucciso da un colpo di rivoltella proprio all’altezza del cuore. Molto preciso. Ma non è stato ucciso qui. In questo viottolo di campagna ci è stato portato dopo l’uccisione. Sono passate molte ore dalla sua morte. E poi, con questo terreno bagnato, si vedono ancora i segni dell’auto, probabilmente un fuoristrada, con cui è stato trasportato dopo l’uccisione.» Il medico legale, arrivato sul posto poco prima del vicequestore e della sua poliziotta, sembrava non avere dubbi sulle circostanze della morte. In quanto all’identità, li informò che di lì a poco sarebbe arrivata la sorella di Leonardo Bruschetti. Caterina, che con la mascherina sul volto appariva ancora più affascinante, si chinò per vedere da vicino la faccia del morto, mettendo a dura prova la tenuta delle cuciture dei pantaloni della divisa.

«A me pare proprio lui, il Bruschetti. Comunque» continuò rialzandosi «fra poco lo sapremo per certo. Quella in arrivo sul quel Mercedes mi pare proprio una di famiglia»

Dall'auto scese una signora, non bella, sulla sessantina, con vestito lungo e scuro, di buona stoffa e fattura, lasciando un uomo anch'esso ben vestito, con tanto di giacca di tweed e cravatta variopinta, al volante della macchina di grossa cilindrata, nuova di zecca.

«Buongiorno, sono Eleonora Bruschetti, sposata Cantini», disse a voce molto bassa la signora, accennando con la testa verso l'autista, il signor Cantini suo marito.

Poi si chinò leggermente per guardare la faccia del morto, emettendo un gridolino strozzato e una esclamazione a voce bassa: «Dio mio, è proprio Leonardo! Come è potuto succedere agente?» disse rivolta a Caterina, dal momento che era l'unica in divisa. La poliziotta guardò verso Martelli che provvide a qualificarsi e a rispondere che erano anche loro arrivati da poco e che sembrava che il morto fosse lì da molte ore.

La sorella appariva molto provata alla vista del cadavere del fratello. Si affrettò a chiedere a Martelli se poteva avere il permesso di farlo trasportare alla sua residenza, per una esposizione come meritava un uomo del suo livello.

Chiarito che non era possibile consegnare la salma alla famiglia, come aveva richiesto la sorella, prima di tutti gli esami del caso, compresa una probabile autopsia, la signora fece cenno al marito di andare a girare l'auto nella piazzola lì vicina per tornare verso la villa di famiglia a Settignano. Caterina, scambiate due parole con Martelli, si avvicinò alla donna che stava salendo in auto e le domandò l'indirizzo e l'ora in cui l'avrebbe potuta raggiungere per un breve scambio di informazioni. Eleonora Bruschetti, sempre più afflitta dalla vista del povero fratello, stava quasi per snobbare la richiesta, chiudendo con decisione la portiera dell'auto. Poi, come pentita, fece tintinnate la gioielleria che portava al braccio, si sporse dal finestrino e disse a Caterina la via e il numero civico della residenza e che, se passava dopo le quattro del pomeriggio, l'avrebbe ricevuta volentieri. Poi ritirò la testa dentro l'auto per evitare che le gocce di pioggia che stavano scendendo di nuovo, potessero mettere a repentaglio la recente messa in piega della capigliatura.

«Dimmi Cesira», rispose Caterina, mentre rientravano in città, alla chiamata di quella anziana signora di Novoli, che viveva tutta sola e che, con raro intuito e lucida intelligenza, l'aveva aiutata a risolvere brutti casi accaduti nella sua zona. Cesira non si fece pregare e chiese alla giovane amica se aveva un po' di tempo per andare a trovarla, che dalle sue parti succedevano cose che non le piacevano e di cui voleva parlarle a quattrocchi. Naturalmente Caterina le disse che in giornata avrebbe trovato il tempo di fare una scappata e stava per riattaccare quando la vecchia signora le chiese dove era e cosa stava facendo.

«Pensa Cesira, vengo dal luogo dove si trova il cadavere del Marchese Leonardo Bruschetti. E' stato ucciso, poveretto»

«Leonardo Bruschetti? Assassinato?» esclamò con quanta voce riusciva ad emettere Cesira.

«Lo conoscevi?», si azzardò a chiedere Caterina di fronte a quella reazione.

«No, ma so quasi tutto della vita sua e della famiglia»

«Tu? E per quale ragione?»

«Perchè una mia cara amica è stata a servizio dai Bruschetti per più di venti anni. Sapessi quante ne ha viste!»

Chiusa la conversazione, la bella poliziotta si girò verso il Capo.

«Se non le dispiace, appena la lascio di fronte alla Questura, tiro diritto verso Novoli.»

E sperò in cuor suo che quel giorno Cesira avesse cucinato qualche piatto speciale dei suoi. Attaccò di nuovo i tergicristalli per spazzare le grosse gocce di pioggia che stavano intensificando e accelerò l'andatura.

Tano insiste perché trovi a Pino una dimora principesca. E chi cazzo è lui, quando a me, che pure ho dovuto lavorarmi fior di personaggi in questa ridente città, mi sono dovuto accontentare di un modesto appartamento nella prima periferia della città. Dice che lui deve ammaliare i nuovi clienti che sta contattando: gente disperata che questo periodo di assenza di turisti e di scarsa circolazione di contante ha ridotto quasi sul lastrico. E allora fa impressione essere invitati in casa di qualcuno che abita in una dimora principesca, che mostra pacchi di denaro come fossero noccioline. Va bene, andrò in prigione, ma qualcuno, fosse pure uno solo, lo trascino con me. E sarò così bravo, cazzo, che neppure ve ne accorgerete che sono stato io. Io lo so come fare. Questa è la città dei segreti. E’ più nera di come sembra. Gli affari, quelli veri, non si fanno alla luce del sole. Qualche amico me lo sono accaparrato pure io, nelle serate fuori città, in quelle ville che paiono fatte apposta per parlare di faccende sporche. Ci sono più logge massoniche qui che drine nella mia città! E se a qualcuno il piacere l’ho fatto, in questi anni, qualche credito l’ho accumulato e sono sicuro che se ne ricordano: anche perché preferiscono che parli dei miei superiori piuttosto che di loro, dei soci con cui si sono comprati i lavori, quelli grandi per intenderci.

E poi Tano sta esagerando con questo spaccio della droga! Ha assoldato decine di ragazzotti. Alcuni si sono fatti largo e pretendono di gestirlo direttamente loro lo spaccio. Mi meraviglio solo delle quantità incredibili che ne vengono consumate, stando alle analisi fatte agli scarichi in Arno dal centro città.

«Avevo una gran voglia di rivederti, Caterina» le disse Cesira appena andò ad aprirle la porta e si trattenne a stento dall’abbracciare quella specie di nipote acquisita.

«Ci sono cose che accadono in questa zona che non mi piacciono per niente», attaccò la vecchietta senza aspettare le domande della bella poliziotta.

«L’altra mattina, mentre mi recavo dal panaio, ho notato che nella bottega dell’oro non c’era più il solito personaggio fiorentino, che conosco da una vita, ma un tipo piuttosto scuro di carnagione, ma non un nero per capirsi…insomma un meridionale dei nostri, così mi è sembrato. E la cosa buffa, che mi ha messo in sospetto, è che la stessa cosa è successa anche nel negozio dell’oro di Piazza Puccini, dove mi ero recata per trovare l’amica di cui ti ho parlato. Ma chi è così matto, mi sono detta, che si mette a comprare oro di questi tempi quando i clienti sembrano scomparsi e i produttori fiorentini di gioielli sono tutti in crisi, vedi i negozi sul Ponte Vecchio, senza turisti…» E Cesira sarebbe andata avanti per chi sa quanto tempo, se Caterina non l’avesse invitata a fermarsi, chiedendole a bruciapelo:

«A proposito della tua amica, quanto tempo è che non lavora più dai Bruschetti? E cosa mi dicevi che aveva visto in quella casa?»

«Ma…non ti sembrano strane queste storie dei negozi dell’oro?»

«Mi sembrano strane, certo. Dopo ne parliamo. Ora, per favore, dimmi della tua amica e dei Bruschetti»

Le prime cose che Cesira le accennò la convinsero che era bene parlare con quella donna, prima di recarsi dalla signora Eleonora: le discussioni a voce alta, l’ingordigia di quella sorella, sempre insaziabile di oggetti di lusso e di bella vita, come l’amica l’aveva raccontata a Cesira, soprattutto, i continui scontri col fratello su questioni che non erano apparse chiare neppure a lei dai racconti dell’amica.

«Come faccio a chiederle di andare a trovarla ora, mentre starà cucinando per il pranzo di oggi? Anch’io ti stavo preparando una cosina che so che ti piace parecchio». Caterina allungò il collo per annusare il profumino che veniva su dalla padella dove stava cuocendo una “francesina” niente male, «con cipolle di Tropea», come volle precisare la vispa vecchietta.

«Facciamo così, invitala tu per pranzo: con tutto questo ben di Dio, non patiremo certo la fame. E poi fa bene anche a me stare un po’ più a dieta», esclamò, lisciandosi sulla pancia piatta e facendo scuotere la testa a Cesira. Che comunque provvide subito a telefonare a Giovanna, l’amica di Piazza Puccini, che accettò di buon grado, oltretutto conoscendo le doti culinarie dell’amica.

«Faccio un salto al panificio», disse Caterina, che uscendo pensò pure di dare un’occhiata a quei negozi dell’oro di cui l’amica le aveva fatto cenno.

Stava per attraversare la strada quando una pantera della polizia le si affiancò bruscamente, dando pure un colpo di clacson. «Brutto disgraziato», urlò la poliziotta, quando si accorse che al volante c’era il suo Matteo. «Che ci fai da queste parti?»

«Quello che faccio sempre: ti sto controllando…Sali che ti racconto»

«Questa città, dopo il virus, non sarà migliore di prima», attaccò Matteo «Ci sono migliaia di persone che hanno visto sfumare piccoli e grandi patrimoni investiti soprattutto sul turismo: e ora si ritrova nella disperazione più nera. Ci giungono frequenti segnalazioni di gente, proprietaria di immobili a fini turistici, di negozi di beni di lusso, di oro in particolare, che non sa più come pagare i debiti che ha accumulato per tentare la fortuna. Così ci sono in giro strani personaggi che si fanno avanti ad offrire somme a prestito, o addirittura l’acquisto delle attività e degli immobili. Per uno che denuncia queste cose ce ne sono decine che tacciono e cercano di concludere l’affare. Questa zona pare essere particolarmente presa di mira. Da quando ci passa la tramvia, è come se fosse a pochi passi dal centro. Pensa un po’ Caterina, si parla di personaggi della Ndrangheta, la stessa che ha messo le mani sui grandi lavori».

«Così Martelli ti ha incaricato di occuparti di queste brutte faccende. Mi raccomando Matteo, cerca di essere prudente. È brutta gente questa. A proposito, se prosegui ti faccio vedere un paio di negozi di acquisto e vendita di oro che probabilmente sono stati acquistati…»

«Dai calabresi», finì la frase Matteo. «Li ho visti anch’io. In uno mi sono fermato a fare un controllo. Ma questi si sono fatti furbi, hanno tutte le carte in regola e i pagamenti tracciati come si deve. Ma stanno esagerando. Qualche errore lo devono fare per forza. E tu, l’hai già trovato chi ha ucciso il marchese Bruschetti?»

«No, ma ci sto lavorando. Pensa che mi sta venendo in soccorso la nostra Cesira. Oggi viene a trovarci per pranzo una sua amica che è stata a lungo a servizio dal marchese».

«Stai attenta anche tu, Caterina. Non ho mai visto nessuno in questa città arricchirsi senza ricorrere a qualcosa di poco pulito, specialmente quelli delle casate nobili, ricchi e fannulloni»


Quando Caterina rientrò in casa, Giovanna, l’amica di Cesira, era già arrivata e si presentò alla poliziotta con un sorriso e un lieve tocco di gomito. Poi, mentre Cesira pensava alla cottura del suo piatto speciale, l’amica iniziò a raccontare alcune cose della sua esperienza nella villa dei Bruschetti, soffermandosi in particolare sui cattivi rapporti tra il marchese Leonardo e la sorella, signora Eleonora. Al pensiero della fine del povero marchese, la donna non riuscì a trattenere un momento di emozione, poi si riprese e volle aggiungere di suo: «La cosa, a quello che mi risulta, è andata avanti fino a poco tempo fa»

Quando Caterina stava per chiedere a Giovanna come facesse a sapere quello che accadeva nella villa dei Bruschetti anche dopo che aveva lasciato la famiglia per andare in pensione, la donna, signora in là negli anni ma ancora piacente e molto curata sia nell’abbigliamento che nella pettinatura, la prevenne.

«Io sono venuta via ma là è rimasto un uomo che ho continuato a frequentare anche dopo, uno del personale di servizio. Si chiama Andrea, ci siamo incontrati là e non ci siamo più persi di vista. L’amore non conosce età, mi creda. E poi siamo entrambi vedovi da molto tempo!»

Caterina si faceva sempre più curiosa, con quella amica di Cesira che si dimostrava una vera miniera d’oro per le informazioni che stava cercando.

«E le capita spesso di andare alla villa?»

«Diciamo che almeno un paio di volte il mese ci vado. E ci resto un paio di giorni. Sa, Andrea ha una cameretta tutta per sè e un bel letto a una piazza e mezzo in cui si sta stretti stretti. In quanto alla padrona, è ben contenta che dia una mano a rassettare la camera e le stanze che lei lascia sempre in un gran disordine!»

« E quali sono le cose che ha saputo, o sentito negli ultimi tempi?»

Ma Giovanna non potette rispondere perché Cesira chiamò tutti a tavola, mentre scoperchiava la padella della “francesina”, facendo sentire il magnifico odore di buono che si sprigionava nell’aria.

Fu solo dopo i primi bocconi e una serie di mugolii di piacere, che la conversazione riprese.

«Giovanna», si intromise a questo punto Cesira con l’intenzione di portare l’amica al nocciolo della vicenda, «perché non racconti a Caterina quelle cose che mi hai detto di avere ascoltato, almeno in un paio di occasioni, quando sei rimasta a dormire con Andrea?»

L’amica, che era tutta felice di rendersi utile, addirittura per un’indagine della polizia, si affrettò a portarsi avanti con quel piatto squisito e si decise a riprendere il racconto.

«I due episodi che mi sembrano i più interessanti da raccontare sono avvenuti in tempi diversi. Un anno fa mi è capitato di assistere, dalla camera di Andrea dove stavo riposando in attesa che il mio uomo si decidesse a sistemare le ultime cose e venire a letto, ad una conversazione tra il povero marchese Leonardo e la sorella Eleonora, la quale lo stava tormentando con la storia di mettere in vendita le proprietà, a cominciare dai terreni e dalle vigne.

“È inutile che tu ti incaponisca con la proprietà della famiglia, con il dovere di conservarla per le nuove generazioni e tutte le sciocchezze che vai dicendo. La nostra famiglia, da secoli e secoli, non ha mai conosciuto la miseria. Siamo sempre stati, e vogliamo rimanere, una delle famiglie più ricche di questa città. I nostri antenati hanno fatto di tutto, lo sai, per mantenere la ricchezza di casa, anche quando è arrivato il voto popolare, quando con l’Unità si sono avviati i grandi investimenti, quando è scoppiato il boom economico. Hanno brigato con chiunque per entrare nelle società a maggior reddito protette dai governi amici, hanno preso i contributi pubblici per fare i vigneti, erano dentro alle speculazioni edilizie degli anni sessanta. E tu ti fai scrupolo di conservare una proprietà che ormai rende sempre meno e che ci porterà alla miseria!”

Il povero marchese le rispondeva che non era vero che le vigne non rendessero più. Bastava smetterla con le spese pazze per le vacanze esotiche, i vestiti presi alle sfilate, i gioielli più costosi. Per non parlare delle serate nelle enoteche più costose o nei nuovi, carissimi e pacchiani locali del pesce sorti nei nuovi quartieri alla moda! E come si riscaldava anche il marchese a replicare a quella donna indiavolata quando parlava di quattrini! Ricordo che quella sera la litigata andò avanti per un pezzo, fino a quando la signora Eleonora disse delle brutte cose, addirittura che era meglio essere figlia unica che avere un fratello così. Al che il marchese decise che si era passato il segno e, come al solito, si ritirò a leggere in biblioteca»

Caterina avrebbe voluto incalzare Giovanna perché continuasse a raccontare. Ma non ce ne fu bisogno. Dopo che ebbe finito il suo piatto di squisitezze e bevuto un mezzo bicchiere di rosso del chianti, l’amica riprese subito a parlare.

«L’altro episodio, il più inquietante per me, è di poche settimane fa, sempre mentre mi trovavo nella camera di Andrea ed era presente anche lui. La cosa che mi colpì fu la voce di un uomo che stava parlando con Eleonora, uno che non conoscevo, con uno spiccato accento meridionale. Quella sera in casa non c’era nessun altro, neppure il marchese. Quando i due decisero di ritirarsi in una stanza lì vicina, non resistetti alla tentazione e, quasi litigando con Andrea, uscii dalla camera in punta di piedi e andai ad origliare.

Ricordo benissimo che, ad un certo punto, quell’uomo parlò a voce piuttosto alta: “O decidete entro pochi giorni, o ci rivolgiamo verso altre opportunità. Questi sono cento milioni per tutta la proprietà…prendere o lasciare. Ora basta tergiversare!”. Quando l’uomo ebbe finito il suo pistolotto, la signora Eleonora rispose senza esitazione: “Lo sapete signor Giuseppe, o Pino come preferite, che per me la cosa si sarebbe già fatta. Ma fino a che è vivo mio fratello, non posso firmare da sola nessun atto”. Io già rabbrividii quando sentii la signora pronunciare queste parole, ma quello che mi colpì davvero fu ciò che rispose quel Pino»

Cesira, che la storia la conosceva, richiamò l’attenzione delle altre due sulle tazzine di caffè fumante che aveva preparato, mettendo Caterina sulle spine, fino a che, bevuto lentamente il caffè, Giovanna concluse il suo racconto.

«Ci fu un attimo di silenzio, che mi fece temere che qualcuno potesse uscire da quella porta. Pensai perfino di ritornare svelta nella camera. Poi quell’uomo parlò di nuovo con voce ferma: “In una sera delle prossime settimane, ve lo faremo sapere, fate in modo, lei e suo marito, di rimanere a casa, possibilmente non da soli. Meglio se c’è pure qualcuno della servitù. Vogliamo che nessuno possa sospettare di voi. Al resto pensiamo noi”. Sentii che la signora Eleonora diceva qualcosa a bassa voce, ma non volevo ascoltare più niente, mentre rientravo in camera a rifugiarmi tra le braccia del mio Andrea».

Caterina si fece dare il numero di casa della famiglia Bruschetti e chiamò lasciando detto che quel pomeriggio non si sarebbe potuta recare a trovare la signora Eleonora. Si sarebbe fatta viva lei nei prossimi giorni.

Quella sera il vicecommissario Martelli era impegnato con la moglie, dato che le scuole erano chiuse e il figlio era andato per un paio di giorni dal padre.

Caterina si fece promettere che la mattina dopo avrebbe trovato il tempo per riceverla e parlare quanto era necessario del caso Bruschetti.



Mentre si recavano in Questura di buonora, Caterina e Matteo ebbero modo di sentire al notiziario che era stato trovato un altro morto ammazzato: un certo Salvatore Meruso, detto Totò, conosciuto da queste parti per essere indagato sulle vicende dei grandi lavori e probabilmente, come affermava il cronista, in procinto di finire in galera. Il cadavere era stato trovato dal cane al guinzaglio di un anziano, in un fosso vicino all’abitazione dello stesso Meruso, nella zona delle Piagge, con un colpo di pistola in fronte e con la lingua tranciata di netto. Era, certamente, un delitto collegato alle organizzazioni mafiose.

«Che la pandemia abbia messo sul lastrico tanti piccoli commercianti e trafficanti di valori è fuori discussione» iniziò Matteo quando, in Questura, si incontrarono col vicequestore, a supporto delle vicende di cui si stava occupando, per poi continuare: «Come è indubbio che stiamo assistendo ad un ingresso diffuso della malavita che coglie l’occasione per investire in affari leciti i grossi profitti che provengono dallo smercio della droga e dalla gestione del gioco d’azzardo. Tra l’altro, sembra che la situazione creata dal virus abbia fatto innalzare di molto entrambi i consumi. È la disperazione di una parte della popolazione…Detto ciò le cose che, prima di me, ha raccontato Caterina ci parlano di un livello superiore della malavita mafiosa»

Martelli ascoltò entrambi i suoi poliziotti, quindi si alzò per recarsi nell’ufficio attiguo dove si mise a telefonare.

Caterina e Matteo si guardarono un po’ sorpresi, fino a che il vicequestore non rientrò. «Ho parlato con Roma. Dell’affare del marchese Bruschetti d’ora in poi si occuperà la DIA. La cosa è troppo scottante perché si possa rimanere da soli.»

I due giovani capirono al volo che non c’era molto da replicare, tuttavia Caterina chiese il ruolo che, d’ora in poi, le sarebbe toccato in quella vicenda.

«Sarai, insieme a me e Matteo, del gruppo di supporto agli agenti della DIA incaricati del caso. Saranno qui già domani mattina»

«Riusciranno a mettere in galera gli assassini e quella vipera della sorella del povero marchese?» chiese Caterina.

«Non lo so» rispose Martelli, «Mi pare più facile combattere questo maledetto virus, che pure è sempre in giro, piuttosto che tagliare la testa una volta per tutte a questi assassini mafiosi, bramosi di mettere le mani su tutte le ricchezze. Se ci si pensa bene, non c’è tanta differenza tra la sorella e gente come questa»

Mentre il Capo se ne andava ad ascoltare un altro poliziotto su chi sa quale altro caso, Caterina disse a Matteo che aveva chiamato Cesira per invitarli a cena. «In fondo è molto merito suo e della sua amica se le cose stanno prendendo questa piega»

I due giovani si alzarono e si guardarono negli occhi. A giudicare dalla temperatura, la stagione pareva volgere finalmente all’estate. Matteo dette un’ennesima occhiata alle forme appetitose della sua Caterina. Senza parlare decisero che da Cesira ci sarebbero andati fra un paio di sere.

Prima che cominciasse una nuova fase di quelle indagini, si meritavano una seratina tutta per loro.

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