Alberto ritorna a Roma
Mentre rientrava a Roma per riprendere il lavoro della Commissione, Alberto andò col pensiero a quella mattina che, frugandosi in tasca dei pantaloni, non trovò il biglietto che ci aveva, inavvertitamente, lasciato, dicendosi che avrebbe trascritto sull’agenda del cellulare quell’ora e quel giorno. Aveva cambiato pantaloni e si era dimenticato di togliere quel foglietto. «Chissà che penserà Olga quando lo dovesse trovare prima del lavaggio. Perché poi mi sarà venuta voglia di metterci quel cuoricino vicino alla data!». Quello che non voleva dirsi era che il cuoricino era lì perché lui, l’avvocato eccellente, innamorato da sempre di sua moglie, maritato da venti lunghi anni, una famiglia invidiabile e invidiata a suo sostegno, aveva preso una sbandata per un’altra donna che non era, appunto, sua moglie e che non sapeva proprio come fare a levarsela dalla testa.
La cosa era iniziata una sera che nello studio si era presentata una coppia, un uomo di una certa età, rotondetto, azzimato, che dichiarò di essere il legale rappresentante di una grossa ditta, accompagnato da una donna non giovanissima ma nel fiore della bellezza, che fungeva da assistente del titolare. Alberto notò che, mentre gli veniva spiegato il servizio di natura fiscale che avrebbe svolto per quella ditta che si accingeva a realizzare grossi investimenti, la donna corrispondeva con una certa intensità agli sguardi che le stava rivolgendo, colpito anche dalla sua avvenenza. Fatto sta che, al momento del commiato, fu ben felice di procedere allo scambio dei biglietti da visita, ovviamente col rappresentante legale, ma anche con Ginevra, come scoprì che si chiamava quella donna.
Poi le cose si svilupparono quasi da sole. Lui, che in venti anni di matrimonio non si era mai neppure immaginato di cercare un’altra donna, si risolse a chiamare quella assistente, con la scusa più banale del mondo («Mi scusi, ma c’è una clausola del contratto che non ho afferrato bene e non vorrei disturbare il titolare…mi potrebbe aiutare lei? Si…diamoci del tu. Si, ti rivedo volentieri anch’io. Quando? Venerdi alle dieci? Benissimo, ci sarò molto volentieri…Ginevra») e a sentire una vampa di calore sul viso e un fremito inaspettato appena chiusa la conversazione.
Ricordava ancora come erano state le prime volte, vissute quasi in una nebbia, come dentro una nuova sfida cui andava incontro senza pensare al dopo, alle conseguenze.
La prima volta che entrarono insieme in un albergo di pomeriggio, si sentiva dentro emozionato come le prime volte da ragazzo. Poi scoppiò la passione. Chi se lo sarebbe aspettato di trovare di nuovo tanto entusiasmo con una donna! Insomma, per dirla tutta, Alberto perse la testa per Ginevra e decise di viverla fino in fondo, come ingenuamente si disse. Si perché, dopo un po' di volte che si erano incontrati, che quella novella passione lo stava travolgendo come una bufera, dopo qualche cena («stasera non posso rientrare per cena, sai…i clienti…», come aveva detto alla moglie), Ginevra cominciò a presentargli il conto.
«E’ molto bello quello che ci sta succedendo, Alberto. Credo davvero di essermi innamorata dopo tante futili avventure. Aspetto sempre con tanto desiderio l’ora in cui sarò tra le tue braccia. Ma non credo che, alla lunga, sarei felice di essere per te una semplice ‘amante’. Per carità, tesoro, non voglio farti nessuna pressione. Era solo per dirti quanto ci tengo a questo nostro rapporto».
Lì per lì Alberto, erano seduti al ristorante, si limitò a prenderle le mani, a sorriderle come per condividere le cose che le aveva detto Ginevra e a sussurrarle: «Anch’io sento di essermi innamorato di te»
Nei giorni seguenti Alberto era tornato spesso, col pensiero, a quelle frasi dette quasi di sfuggita durante la cena. Si chiese se davvero era innamorato di quella donna, se davvero era disposto a lasciare Olga, la famiglia, tutto quello che aveva costruito in vita sua. Era riandato col pensiero ai momenti felici che aveva vissuto con Olga, all’emozione vissuta insieme alla nascita del primo figlio, e poi del secondo. A quelle discussioni serene per decidere insieme come investire i primi risparmi, la decisione per la casa all’Elba, la macchina nuova e tante altre cose se fosse andato più indietro nel tempo. Si, sentiva una grande attrazione per Ginevra, qualcosa che non conosceva più da un po' di anni. Ma era quello l’amore? Cosa aveva fatto, quale era stata la vita di quella donna (Ginevra gli aveva detto di avere una decina d’anni meno di lui) prima del loro incontro? Alberto si accorse di essere confuso e, soprattutto, di non sapere bene come affrontare quella nuova situazione, proprio lui che, al lavoro come in famiglia, ci teneva a non mostrare mai troppa incertezza e a prendere per primo le decisioni. Che fare?
La prima cui disse di quella novità fu Ginevra, che ai suoi occhi era la persona più impegnativa da affrontare. Era capitato così, quasi per caso, di incontrare quell’amico, ora diventato sottosegretario, che gli aveva proposto, quasi per gioco, di seguirlo a Roma per lavorare a quella Commissione e che lui, come un lampo improvviso, aveva visto come l’occasione per provarsi ad uscire da quella situazione.
«Mi assicuri che non è un modo per non fuggire da me, dal nostro amore?», gli aveva solo detto Ginevra quando glielo aveva comunicato. E lui a rassicurarla che si trattava della più grande occasione di crescita professionale, che non poteva farsela scappare. E si, le diceva, che l’avrebbe potuto raggiungere a Roma quando voleva. Solo il tempo, per ora, per trovare una sistemazione adeguata e impratichirsi un po' col nuovo lavoro.
Anche ad Olga disse più o meno le stesse cose. Solo che quella sera, in casa, dalla reazione di Olga sentì che qualcosa stava cambiando tra di loro. Che il rischio che qualcosa si rompesse per sempre era reale e che tutto dipendeva da lui.
Alberto aveva un gran bisogno di confidarsi con qualcuno, ma si guardò bene, quando si trasferì a Roma, di mettere a parte l’amico Gianluca di questi suoi tormenti. Tra l’altro, gli capitò di notare che più di una volta Gianluca, pure lui sposato come altri del suo ambiente, usciva la sera con quei colleghi, invitando anche lui, strizzandogli l’occhi, ad unirsi alla baldoria che aveva organizzato. Aveva detto proprio così “baldoria”, senza specificare altro, né Alberto aveva voluto sapere altro.
«No, grazie» si era limitato a rispondere, «per ora voglio inquadrare meglio l’impianto di questo disegno di legge fiscale, più avanti forse…».
In realtà una delle cose che lo stava angustiando era come rispondere alle proposte di Ginevra che, dopo un paio di settimane, insisteva per andarlo a trovare. Quando ascoltava la voce di quella donna, Alberto sentiva ancora crescere dentro la passione che lo aveva spinto tra le sue braccia già pochi giorni dopo il loro primo incontro. Era solo, in tutti i sensi, e non sapeva di nuovo, dopo le prime settimane di quiete apparente, come affrontare quella situazione.
«Pronto, Eleonora! Come ti è venuto in mente di chiamarmi a quest’ora?» chiese Alberto alla stravagante sorella, notando che stava per scoccare la mezzanotte e che lui era ancora sveglio con la faccia rivolta al soffitto.
«Ti disturbo? Perché se è così riattacco subito», lo apostrofò Eleonora, restando in attesa.
«No, no anzi. Mi fa piacere parlare con qualcuno, soprattutto con te che sei una persona a cui voglio bene e lo sai. Ora dimmi perché mi hai chiamato»
«Ti ho chiamato perché credo che abbia bisogno di parlare con qualcuno di cui ti puoi fidare. Ci ho pensato a lungo, non credere. E poi mi sono detta che, escluso Olga, l’unica persona di cui ti puoi fidare davvero sono io. Ora comincia a dirmi quello che ti tormenta e ti dirò io, che ne so di codeste cose molto più di te, cosa devi fare per uscirne in maniera corretta e dignitosa per te e per tutti. Comprese quelle meraviglie che sono i tuoi figli e che meritano, in questo momento, di avere un vero padre».
Quando, verso le due, decisero che la conversazione poteva finire, Alberto, commosso, ringraziò sua sorella con una convinzione che, verso di lei, non aveva mai avuto in vita sua. Soprattutto gli stavano rimbombando nella testa le parole che, alla fine, Eleonora gli aveva detto: «Ricordati bene, niente finisce o ricomincia davvero se tu non trovi il coraggio di guardare le persone negli occhi e dire loro la verità. Se sei sincero lo capiranno. Non è detto che siano d’accordo, ma solo così potranno non portarti rancore.»
Ora Alberto sapeva quello che voleva e doveva fare. La mattina seguente scrisse un messaggio a Ginevra e la invitò a raggiungerlo uno dei giorni seguenti. L’avrebbe portata a pranzo e le avrebbe detto, come fece, che si scusava per avere scambiato una forte attrazione e una bellissima simpatia per l’amore. Non se la sentiva di lasciare sua moglie e la famiglia e sperava solo che lei potesse perdonarlo se le aveva fatto capire il contrario. Ci furono lucciconi e anche una stretta delle mani, ma anche l’apprezzamento, così sembrò a Alberto, per la sincerità con cui si era espresso.
Mentre lei si allontanava, dopo i saluti, sperò, tra qualche tempo, di poterla incontrare di nuovo, per essere certo che non le stesse portando rancore e, magari, ricordare i momenti belli passati insieme. Ancora una volta, si trovò a pensare, come Olga, come Eleonora, ora Ginevra, erano sempre le donne che gli insegnavano qualcosa di profondo della vita.
Ora Alberto si sta lasciando Olga, il figlio, quella ragazza che stava entrando nella loro vita, alle spalle per andare di nuovo a Roma. Aveva fatto bene a tornare così, a sorpresa, da sua moglie. Anche se non aveva ancora trovato il momento per dirle tutta la verità e chiedere il suo perdono, era rimasto molto colpito dalla lettura di quello che Olga aveva scritto. Lei, così era parso ad Alberto, aveva trovato un modo ben più onesto e profondo per andare a ricercare l’origine dell’amore e delle sue radici.
La mattina dopo si alzò presto, attese che fosse in piedi anche Olga e la chiamò. Le disse che se riusciva a prendere qualche giorno di tempo, l’aspettava a Roma per andare insieme a fare quel giro che tante volte avevano pensato di fare e che poi, presi dai figli, dal lavoro, dalla pigrizia, avevano sempre rimandato.
«Si Olga, vorrei vedere insieme a te San Pietro in Vicoli, con la tomba di Giulio II di Michelangelo che raffigura, dicono, la più bella statua di Mosè che esista al mondo. E poi il Mausoleo di santa Costanza, sulla Nomentana, con il gioiello di chiesa che dicono porti fortuna alle coppie che ci si sposano. E poi le basiliche dell’Aventino, del periodo dei primi cristiani. E poi…e poi voglio dirti qualcosa di importante, Olga. Ma voglio dirtela guardandoti negli occhi…No, te lo dico solo quando siamo insieme, vicini, come abbiamo sempre fatto per le cose importanti della nostra vita. Ora ti dico solo che le cose che contano davvero nella vita sono quelle che non ti fanno dormire quando hai paura di perderle»
Quando terminò la telefonata, Olga si accorse di avere una gran voglia di piangere. Non sapeva se di gioia, di paura, di sfogo per tutto quel tempo girato intorno ad un foglietto trovato per caso nelle tasche di suo marito. Sarebbe andata a Roma da Roberto e immaginava già ciò che le avrebbe detto. Non sapeva come lei l’avrebbe presa e cosa gli avrebbe risposto. Ma ricordò quello che aveva scritto nel suo romanzo e le parole che le aveva detto Anna l’ultima volta che l’aveva sentita a telefono: «Difficile essere gelosi quando il livello dell’autostima è alto».
Olga ripensò a quella telefonata, pochi giorni prima, di quell’editore che diceva di essere stato contattato da un amico, un uomo cui lei aveva parlato di tutto una sera ad una festa. Ora quell’editore voleva che Olga gli mandasse quel manoscritto di “una storia d’amore fantastica”, come si era espresso l’amico, che l’avrebbe pubblicato davvero volentieri.
Ora Olga sapeva di avere sufficiente autostima per andare a Roma da Roberto, incontro, sperava, ad un tratto di vita migliore.
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