La prima cosa che colpisce di questo libro è la sua capacità di portare il lettore a contatto con l'ambiente e le persone che stanno nell'ospedale. Sembra, come in effetti diventerà, una sceneggiatura fatta di quadri che si susseguono fatti apposta per non farci perdere il filo delle vicende. Vicende al tempo stesso dolorose, dove l'uomo è costretto a fare i conti con qualcosa di più grande di tutto: la vita. Eppure raccontate con ironia e talvolta perfino col sorriso.
Bastano poche pagine all'autore per mettere in piedi il piccolo circolo dei personaggi, malati, infermiere e infermieri, medici, chirurgo capo di tutti, che d'ora in avanti avranno ciascuno la propria reazione ad un ambiente insolito.
Ecco allora il personaggio principale, Luigi che, quasi per caso scopre di avere un tumore al rene avendo già moglie, un figlio e un altro in arrivo. Cose e affetti importanti, ma costretti a passare in seconda fila rispetto alla priorità che si è presa la malattia e, con essa, tutti i riti dell'ospedale, dalle analisi, ai tempi di attesa per la risposta, per l'operazione ecc.
Bellissima (e realistica!) la figura di Marcello, il ristoratore che sa tutto di medicina (si saprà perchè quando confesserà di essere all'ennesimo ricovero per una brutta malattia!), Amed, l'islamico ormai adattato alla vita in Italia, anche lui, suo malgrado, assuefatto alla vita ospedaliera. Bellissima e triste la scena del suo tentativo di non uscire dall'ospedale per non tornare a casa, consapevole che fuori dall'ospedale può attenderlo solo una brutta fine.
Non meno triste e beffarda la figura di Riccardo Costa, il prete addetto alla visita e alla consolazione dei pazienti, improvvisamente avvertito di una grave patologia e della immediata operazione, incredulo del passaggio da consolatore dei malati a bisognoso di consolazione.
Poi ci sono le figure ospedaliere, dall'infermiera Giusy, belloccia e braccata continuamente dal medico Barbieri, semplice accompagnatore del primario, che riversa sul tentativo di portarsi a letto l'infermiera, le frustrazioni professionali.
Poi, su tutti, svetta il grande chirurgo, Michele Zamagna, il dio, come viene chiamato, che opera dalla mattina alla sera, capace di salvare chiunque, salvo quelli che non ce la fanno.
E poi c'è il vero protagonista del racconto: l'ospedale. "Puoi avere tutti gli amici del mondo, la famiglia più calorosa e amorevole, i colleghi di lavoro più premurosi e attenti, ma quando sei in ospedale, sei solo. Con i tuoi sintomi e i tuoi pensieri." Ancora "In un ospedale i pazienti si dividono per categorie umane. C'è il paziente cupo, che dice sempre di si... Il paziente inspiegabilmente ottimista... L'ipocondriaco... il competente delirante... Ma tutti, tutti sono accomunati da una cosa: l'intima e profonda dipendenza dai medici: perché in un ospedale sono i medici gli unici custodi del loro futuro".
Grande merito dello scrittore è alleggerire il racconto, di suo a tratti commovente, con descrizioni realistiche e ironiche della vita ospedaliera: "L'ospedale ha le sue regole. In un ospedale, ci sono regole scritte e regole non scritte... in una stanza d'ospedale il televisore del vicino di letto è sempre più bello...".
Naturalmente sarebbero molte altre le frasi in grado di restituirci il clima e la tendenza dei pazienti a fare dell'ospedale, fintanto che lo vivono, il piccolo grande mondo che accompagna una stagione speciale della loro vita.
Grande merito di Mattia Torre (non a caso il libro darà vita ad una vera e propria serie televisiva) è di averci fatto riflettere sulla fragilità di ciascuno e dell'importanza di reagire nel momento più difficile, quello della malattia, di quella oncologica in particolare. Poi, ironia della sorte, a soli 47 anni, un brutto tumore lo condurrà ad una morte pematura. Lasciando in noi il rimpianto di non aver più potuto apprezzare uno scrittore di grande talento.
Renato Campinoti
Renato Campinoti
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