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08 marzo 2023

Stefano Tabacchi: Maria de'Medici

Un libro che rende giustizia alla seconda regina di Francia di casa Medici

È sicuramente impegnativo questo volume di oltre 400 pagine, non fosse altro perché è costretto, l'autore, a un inquadramento della figura di Maria de' Medici nel suo contesto storico. 

Si comincia così con i suoi primi vent'anni, a Firenze, alla corte dello zio Ferdinando I, fratello del padre Francesco I, morto precocemente, forse avvelenato insieme alla seconda moglie Bianca Cappello. Già qui, da questa quasi solitudine in cui la costringe la sua situazione di orfana di entrambi i genitori (la madre, Giovanna d'Austria morì nel 1578 quando lei aveva appena tre anni) cominciano a emergere i tratti di una donna costretta ben presto a fare i conti con la sua forza interiore e a far emergere gli aspetti più forti del suo carattere. 

Ma sarà anche il percorso culturale cui la indirizza lo zio Ferdinando, così come l'ambiente mediceo dedito alla valorizzazione di tutte le arti, che ne plasmeranno la personalità e l'aiuteranno, quando sarà il momento, a dimostrare le sue doti di donna di governo. 

Ma la parte sicuramente più impegnativa e, per molti versi, più interessante di questo libro di Tabacchi è l'inquadramento delle esperienze di Maria de' Medici, all'interno del '600 francese ed Europeo, di cui dimostra di possedere una robusta conoscenza, esercitata in più volumi relativi a Mazzarino, Richelieu e altri. Si arriva così al matrimonio di Maria con Enrico IV, re di Francia, quando lui rimasto vedovo vede in questa donna dei Medici, più giovane di lui e di buon lignaggio, la moglie perfetta per continuare nelle sue avventure galanti e nel suo desiderio di gloria. 

Siamo nel 1600 e per dieci anni a Maria è riservata una vita di apprendistato come regina consorte e come prima donna della corte francese, piena zeppa di nobili e di donne di alto lignaggio, tutte interessate alla persona del re. Anche in questa situazione Maria saprà portare una ventata di buon gusto, imparato alla corte medicea e un amore per l'arte tipica della sua famiglia d'origine. 

Poi tutto cambia quando, dieci anni dopo il matrimonio e ben cinque tra figlie e figli, Enrico IV viene pugnalato e ucciso da un folle, un certo Ravaillac, nella sua carrozza nei pressi della reggia. A Maria spetterà la funzione di Reggente al posto del figlio Luigi XIII di appena otto anni, costringendola così a misurarsi con una funzione di governo in un ambiente infestato da continue rivolte dei nobili, sempre pronti al complotto pur di guadagnare nuovi titoli e nuovi appannaggi o pensioni. 

Tuttavia Maria, aiutata dai ministri ereditati dal marito, si rivolgerà con decisione verso l'alleanza con i paesi cattolici, a cominciare dalla Spagna, segnando una discontinuità con Enrico IV. Pur tra continui compromessi, riuscirà a far sposare il figlio Luigi con l'infanta di Spagna Anna di Borbone e la figlia Elisabetta con Filippo, futuro re di Spagna. Se la caverà per alcuni anni, fino al 1617 quando sarà costretta, dal figlio che intanto si è preso il ruolo di re, a cedere lo scettro e a ritirarsi nel Castello di Blois. 

Nei primi anni venti Maria, senza perdersi d'animo, riuscirà a far salire al ruolo di comando Richelieu e a tornare a corte per tutti gli anni venti, finché la sua politica e quella di Richelieu entreranno in conflitto. Sono gli anni della nascita e rafforzamento delle grandi nazioni d'Europa, Francia, Spagna e Inghilterra anzitutto. 

Mentre Maria proseguiva nella sua politica di alleanza con la Spagna cattolica, Richelieu, pur perseguendo una politica di battaglia verso gli ugonotti, ritenne necessario bloccare l'ascesa della Spagna e, addirittura, combatterla in guerra. La rottura fu definitiva e Luigi XIII, attratto dalla prospettiva di accrescere il suolo ruolo nello scacchiere europeo, scelse Richelieu. A Maria non restò che andare in esilio, prima nei paesi bassi spagnoli, poi in Inghilterra dalla figlia, che tuttavia stava cadendo in disgrazia per il crescente peso dei protestanti, e infine a Colonia dove morirà il 3 luglio del 1642. 

Ma non si creda che in questo periodo Maria si sia mai arresa all'idea di essere messa da parte dal Cardinale Richelieu. Fino agli ultimi giorni, già malata, teneva le valigie pronte caso mai il Cardinale fosse stato assassinato in uno dei tanti complotti orditi dai suoi avversari e fosse richiamata a corte. Anche per questo non accettò mai i pur lauti favori che perfino il Parlamento francese le avrebbe riservato se si fosse accontenta di rientrare a Firenze dalla sua famiglia. 

Qui emerge il carattere della donna, che preferisce rimanere quasi sola, anziana e malata, pur di dimostrare che ha fatto di tutto per riconquistare il suo rango di Regina. L'autore riesce nell'impresa di far fuori i tanti luoghi comuni che la storiografia, soprattutto quella francese, aveva cercato di cucire addosso alla donna di casa Medici, poco intelligente, ignorante del ruolo di governo. Tabacchi non solo la rivaluta in quanto Regina e come personalità, ma ricorda anche il ruolo di Maria verso l'arte. 

Non si può dimenticare il vero e proprio capolavoro realizzato col palazzo di Lussemburgo, in cui, tra i tanti tesori artistici, fece appendere gli oltre venti quadri commissionati a Rembrandt, che costituirono, appunto, il ciclo di Maria del famoso pittore fiammingo, ora nel museo del Louvre a Parigi. 

Con questo libro, si può dire che Stefano Tabacchi, grazie alla sua grande conoscenza del periodo e alla sua qualità di storico e di biografo, restituisce a Maria de Medici il giusto profilo di donna di cultura e di Regina madre adeguata ai tempi difficili in cui fu chiamata a esercitare il suo ruolo. Cosa che, come dimostra l'autore, non seppe fare neppure il Granduca Ferdinando II che pure, diversamente dai francesi, volle dedicarle gli onori nella Chiesa di San Lorenzo a Firenze il mese dopo la sua morte, con un discorso di Giovanni Doni che, per troppo amore di celebrazione, finì per farne quasi una caricatura. 

Ancora di più merito a Tabacchi, a dimostrazione che anche dopo lungo tempo si possono rimettere nella giusta luce le vicende storiche.

Renato Campinoti

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