Un romanzo della memoria, per non dimenticare.
Ancora una volta Davide Longo dimostra tutta la sua qualità di scrittore. Pur in un romanzo complesso e difficile, riesce a mantenere il lettore interessato e partecipe dall'inizio alla fine di un racconto che raggiunge le quattrocento pagine.
Dico subito che non mi aspettavo da Longo, per me alla seconda lettura dopo il caso Bramard, una prova tanto complessa e impegnativa, anche "storicamente" come quella che delinea in questo lungo racconto.
Si tratta, per farla breve, della scoperta da parte della polizia, nei pressi di Torino, di un vero e proprio deposito di ossa umane che fanno drizzare le antenne al commissario Arcadipane, peraltro alle prese con una complessa situazione familiare e di coppia.
In pochi giorni, la polizia preposta a tali tipi di scoperte sottrae ufficialmente al nostro commissario il caso, catalogato frettolosamente come una sorta di ossario residuo della seconda guerra mondiale.
Dopo una prima, apparente, presa d'atto di tale versione da parte di Arcadipane, il nostro arguto e scorbutico poliziotto si affida alle abilità della gente dello staff del laboratorio della polizia per capire, anche solo per il ritrovamento di un bottone di Jeans, che i reperti non possono risalire al tempo della guerra, ma sono di un periodo più recente.
Pur in mezzo a una difficile problematica personale, che lo porta addirittura a entrare in analisi con la più improbabile (e tuttavia efficace) psicologa, Arcadipane sollecita il suo ex capo Corso Bramard a ripercorrere con la memoria un'intera, impegnativa vicenda in cui un ristretto gruppo di giovani "rivoluzionari" erano rimasti invischiati in un brutto fatto di sangue.
Dal fallimento della mediazione del giovane Bramard per chiudere al meglio tale episodio, origina la vicenda di cui ci vuol parlare lo scrittore. Per avvertirci di come siano stati (e possano continuare a essere) possibili interventi eversivi finalizzati a piegare in una certa direzione la volontà di innovazione sociale e culturale presente nel nostro Paese.
Interventi che, come fa dire a uno dei personaggi chiave della narrazione lo scrittore Davide Longo, non si sono limitati "solo" a sopprimere le persone colpevoli di aver pensato di cambiare in meglio il Paese, ma abbiano agito con ferocia e torture "perché i torturatori hanno anche loro bisogno di fare pratica", come fa dire a uno dei pochi sopravvissuti.
Non si può fare a meno di rilevare l'eterogeneità dei personaggi che Longo mette in campo, a cominciare dalla psicologa di Arcadipane, Ariel come si chiama, affetta da un grave handicap alle gambe, chiamata a rimettere in sesto la situazione sessuale del commissario.
Non meno particolare Isa, la giovane agente che, pur dominata da un carattere impossibile, riesce a dare un apporto importante alle ricerche di Bramard.
Resta da dire che in questa vicenda, per quanto rilevante sia il personaggio di Corso Bramard, la figura dominante è senz'altro rappresentata dal commissario Arcadipane e dalle sue vicende, anche personali, appunto.
Tanto che ci resteranno a lungo nella mente le figure della figlia, della moglie molto più saggia di lui nelle faccende familiari, del cane Trepet, privo di una zampa e con un occhio cecato, che è l'unico animale cui Arcadipane riesce ad affezionarsi e a fare entrare in famiglia.
Un po' sconvolti dalle conclusioni cui Davide Longo ci conduce con questo robusto racconto, ci viene di pensare che volesse farci sapere che è al Nord che si sono giocati (e si giocheranno) i destini di questo nostro Paese dalla Democrazia fragile.
La Mafia, anche quella esportata nelle altre regioni, può sconvolgerci con la sua ferocia, ma non ha l'ambizione e la forza per cambiare la storia del Paese come ce l'hanno dalle parti di Bramard e Arcadipane.
Ma forse mi posso sbagliare. Ai prossimi romanzi di Davide Longo la risposta.
Renato Campinoti
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