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11 febbraio 2022

Renato Campinoti: Poteva essere un amore quasi perfetto

 

Non riesco a fare a meno di pensare a quando ci siamo conosciuti. Dire che è scoppiato subito l’amore forse è eccessivo. Eravamo troppo giovani per usare certe espressioni. Però, lo ricordo bene, fu una vera, grandissima scoperta. Lui riusciva a trasmettermi la sicurezza di un uomo giovane ma maturo, senza dimenticare le tenerezze e le effusioni di cui avevo bisogno. Accadde tutto quando cominciammo a frequentare la terza classe delle superiori, il liceo scientifico, che si trovava vicino alle nostre abitazioni. I primi tempi ci eravamo quasi ignorati, lui nelle prime file insieme ad un giovane scialbo di cui fatico tuttora a ricordarmi il nome, io di banco insieme a Lucilla, una ragazza con cui avevo fatto subito amicizia per la disponibilità e la minore propensione al pettegolezzo di molte altre studentesse. Poi ci fu quella gita scolastica, giusto l’anno prima che iniziasse la pandemia, quando ci portarono in visita a Venezia. «Prima che scompaia del tutto» come disse tra il serio e il faceto la professoressa che aveva fatto la proposta.
«Ti dispiace se mi siedo accanto a te?» mi disse col suo tono apparentemente burbero, in realtà gentile e sincero come imparai in seguito a conoscere. Io mi girai e vidi che Lucilla stava beatamente parlando con altre ragazze nella fila finale della corriera su cui eravamo appena saliti. Immaginai che la mia compagna di banco, che mi aveva confessato di essere stata più volte a Venezia dove abitava la sorella del papà, stesse illustrando le bellezze della città lagunare a quelle che ancora non l’avevano visitata. Perciò acconsentii volentieri a farlo accomodare accanto a me, anche per non rischiare di fare il viaggio in solitudine.
Fu quella l’occasione in cui, dopo un po’ di imbarazzo iniziale, cominciammo a parlare delle nostre esperienze, dei nostri sentimenti verso la vita, il mondo e tante, tante altre cose che, scoprimmo, ci univano molto più di quello che potevamo immaginare. Fu così che terminammo il viaggio scambiandoci i rispettivi numeri di cellulare e con la promessa di passare un po’ di tempo insieme. Che poi, in realtà, divenne molto, molto tempo, insieme al cinema, a passeggiare, al telefono. Ci aiutavamo nei compiti che lui, più portato alla matematica e alle materie scientifiche, si incaricava di ripassare con me, che invece eccellevo nella letteratura e nelle altre materie umanistiche.
Insomma stavamo bene insieme e cominciammo a capire che la nostra amicizia poteva andare oltre, diventare un sentimento d’amore.
Col tempo il sentimento tra di noi è via via cresciuto così tanto che lui non ha resistito. Ha deciso che era giusto far sapere di questo nostro amore anche ai nostri genitori. Per primo l’avrebbe fatto lui, poi, insieme, ne avremmo parlato anche ai miei.
È successo ieri e da ieri ha spento il telefono e non c’è stato verso di raggiungerlo e parlarci.
Poi, pochi minuti fa, mi è apparso sul cellulare un suo messaggio: L’unica cosa che mio padre ha saputo rispondermi è stata “era meglio se mi portavano la notizia che eri morto”. Ho deciso che lo accontenterò.
Ho corso immediatamente verso casa sua. Sono arrivato prima dell’ambulanza. Ma tu eri già in una pozza di sangue. Ho guardato in alto, verso il quarto piano, sperando di vedere quel maledetto di tuo padre e con, lui, tutti i pregiudizi e le angherie di questo mondo. Mi sono inzaccherato le scarpe del tuo sangue per abbassarmi a darti un ultimo bacio sulla guancia e a sussurrarti, piangendo, quello che ci dicevamo tanto spesso. «Il nostro può essere un amore quasi perfetto»

Scritto da Renato Campinoti

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