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15 febbraio 2022

Renato Campinoti, Massimo Acciai Baggiani: Il ragazzo di sale

Parte prima

Fin da ragazzo avevo un incubo ricorrente. Chiaro, non è che lo facevo proprio tutte le notti, però mi capitava in media una o due volte al mese. Nell’incubo temevo i temporali perché ero fatto di sale e mi sarei sciolto completamente, lasciando solo una pozza di acqua marina sull’asfalto impietoso. In particolare temevo le cosiddette “bombe d’acqua” improvvise e infide, da cui non ti ripara neppure l’ombrello. Magari sto andando a scuola a piedi, il cielo si riempie di nubi bluastre e in pochi secondi si scatena il finimondo, non lasciandomi scampo. Di solito mi svegliavo urlando, in un lago di sudore, come se avessi effettivamente iniziato a sciogliermi anche nella realtà. Mi rendevo conto che si era trattato di un semplice incubo e mi ributtavo giù ma con la paura di riaddormentarmi e riprendere dal punto in cui ero rimasto, come in un film horror.
Le bombe d’acqua comunque le temo anche nella realtà, non perché abbia davvero paura di sciogliermi, ma per un istinto primordiale che mi paralizza la mente. Temo quegli scrosci improvvisi quando sono in auto e non riesco a vedere nulla oltre il parabrezza, rischiando di fare un incidente, soprattutto quando attraverso un sottopassaggio. Ma anche quando sono a piedi, seppure in misura minore perché un riparo posso quasi sempre trovarlo. In quel caso però ho una paura fottuta di essere colpito da un fulmine e finire incenerito. Insomma, quando sono al riparo e al sicuro me ne rido di tutti i temporali e gli uragani del mondo, ma quando sono fuori casa…

Questa fobia mi ha messo in seria difficoltà in un’occasione, qualche tempo fa. Ero in macchina insieme a una mia amica… o meglio, per lei io ero solo un amico ma lei per me era qualcosa di più, anche se non glielo avevo mai detto. Si chiamava Fiamma, e già il nome lo trovavo bellissimo: era la traduzione in italiano del suo vero nome, infatti veniva dalla Lituania. Studiava letteratura all’università ed era in quell’ambiente che l’avevo conosciuta. No, non sono uno studente, sarei davvero troppo fuori corso per esserlo; lavoro alla caffetteria del campus. Tutti i giorni lei parlava con me per far pratica con la lingua, che padroneggiava già bene ma che voleva portare alla perfezione. Io l’aiutavo volentieri, come potete ben immaginare. Una parola divenne due, poi tre, e in poco tempo era nata un’amicizia che andava al di là della caffetteria. Infatti avevo trovato il coraggio di offrirmi di portarla a visitare quei luoghi nei dintorni di Firenze dove di solito i turisti stranieri non vanno, principalmente perché non li conoscono o perché rimangono un po’ fuori mano. Lei non aveva l’auto in Italia, così misi a disposizione la mia Golf.
Stavamo salendo nel bosco per la via stretta e piena di curve che da Colonnata porta alla Panoramica Colli Alti, a Monte Morello, quando cominciò a piovere. Dapprima fu una pioggerella lieve, quasi allegra, ma presto divenne minacciosa. Il cielo faceva paura, era così scuro che dovetti accendere i fanali. Intanto veniva giù acqua a scroscio, tanto che i tergicristalli alla velocità massima erano del tutto inutili. Un vero tempo da lupi. Sembrava che il mio incubo ricorrente avesse preso forma nella realtà. Accanto a me Fiamma non sembrava affatto preoccupata, si fidava totalmente di me, dell’“italiano che se la sa cavare in ogni circostanza” e che conosce bene il territorio. Non volevo deluderla, ma me la stavo facendo sotto anche se cercavo di non darlo a vedere.

Parte seconda

A un certo punto lo scroscio d’acqua si trasformò in un vero e proprio muro, come una cascata di quelle quando un fiume fa un vero e proprio salto di decine di metri, che mi impedì di vedere dove la Golf stava andando. Fu all’imbocco di quella lieve discesa che fa la strada prima delle rampe più robuste per arrivare alla “Bottega di morello”, insomma dove si trova lo storico ristorante “L’Ulivo Rosso”, che accadde l’inevitabile: un grosso camion si era immesso nella strada, non lo vidi e andai sbatterci contro con una notevole violenza.
Sono chiuso nell’abitacolo della Golf. Il camion è riuscito a districarsi e a procedere per la sua strada. Siamo soli io e Fiamma in quel piccolissimo spazio cui si è ridotto il mio veicolo dopo la botta. Io mi tocco la testa e sento il sangue che scorre coprendomi quasi tutta la faccia. Vedo l’acqua che comincia a infiltrarsi dentro l’auto dallo squarcio che si è prodotto nella fiancata al momento della collusione col camion. Sono preso dalla paura e dal panico. «Aiuto Fiamma!», comincio ad urlare «Se entra l’acqua e mi ricopre, mi scioglierò come neve al sole. Io sono di SALE!». Sono un po’ imbarazzato a confessare questa verità proprio a lei, sapendo che se scopre questa mia debolezza, non vorrà certo più saperne di me, né come amico, né tantomeno come innamorato!
Fiamma, contrariamente a tutte le mie paure, si avvicina ancora di più a me, mi prende la testa tra le mani, incurante del sangue che le cola sulle mani. Poi fa una cosa che non mi sarei mai aspettato. Mi bacia, con un bacio così dolce che finisce per farmi dimenticare la ferita sulla testa e i rischi di dissanguamento che sto correndo. Poi Fiamma mi guarda fissa negli occhi. Io, a causa del sangue che continua a colare, riesco a malapena a vederla. Sorrido come un idiota per la cosa bellissima che mi ha regalato.
Poi si fa più serie e mi dice: «Considera questo bacio come il regalo che ho fatto ad un amico che sta per morire! Non ti resta molto, purtroppo. Il tempo che il poco sangue che ti è rimasto nelle vene finisca di colarti giù dalla faccia e di te rimarrà solo un corpo morto! E poi, come se non bastasse, tra poco qui sarà pieno d’acqua. Io penso di farcela a uscirne viva, ma tu di sale sei e di acqua ritornerai!»
La sensazione più brutta che mi lasciano queste parole di Fiamma è che le pronuncia quasi con soddisfazione. Come se io per lei rappresentassi più un peso che un piacere, o almeno un amico.
Il fatto è che ha ragione, il sangue non smette di scendere, l’acqua comincia ad entrare dentro in dosi sempre più massicce. Ora sento i miei piedi che si stanno ricoprendo di acqua. Fuori il temporale continua ad impazzare, senza scampo!
«I miei piedi, i miei piedi!» comincio ad urlare quando avverto la sensazione di toccare il fondo della Golf direttamente con l’osso dello stinco. Insomma, mi sto sciogliendo e sono destinato a scomparire!
Allora decido di mettermi ad urlare con quanto fiato ho in gola: «Aiuto Fiamma! Aiuto! Portami via di qui! Non mi far sciogliere come fossi un sacco di sale! Non così, ti prego!» Mentre urlo fino a sentire la gola che mi fa male, mi rendo conto che la mia voce esce solo a tratti, in maniera confusa e nessuno riuscirà mai a capire cosa sto dicendo! Ora è davvero un incubo quello che sto vivendo! Poi, finalmente, una parola riesco a urlarla chiaramente «Fiamma, Fiamma!»
Per tutta risposta ricevo uno schiaffo in pieno viso che mi costringe ad aprire gli occhi.
La faccia che vedo vicinissima alla mia non è quella di Fiamma.
«Salve, io sono Marisa, l’infermiera che ti è stata vicina per tutti questi dieci giorni che sei stato in coma sanitario. Te la sei vista brutta, giovane. La botta l’hai presa tutta tu. Sei riuscito a far girare l’auto in maniera che il camion ti si schiantasse addosso. Scusa se ho dovuto darti uno schiaffo, perché insistevi a urlare quel nome. Ma quando ho capito che stavi riprendendo coscienza, dovevo farlo per farti uscire definitivamente da questo stato»
Guardo Marisa con occhi pieni di sorpresa e chiedo cosa è successo a Fiamma, come sta.
«Lei se la è cavata con poco più che un graffio. Appena ha potuto si è fatta dimettere ed ha detto che avrebbe preso una vacanza dagli studi per tornare qualche settimana dai suoi. Sinceramente mi sarei aspettata che ti stesse un po’ più accanto….»
Non so se sono più felice per lo scampato perito o più deluso per la notizia di questa specie di fuga di Fiamma.
Comunque Marisa si avvicina con la faccia come per rimboccarmi le lenzuola e mi sussurra: «Non ti preoccupare, ci sono stata io vicina a te. E l’ho fatto volentieri»
Ha una bella faccia Marisa. E un fiato dolcissimo che mi pare di riconoscere. E ora che si sta allontanando per andare a prendere il tubo e il liquido che mi rimetteranno al mondo, noto che è anche una gran bella figura di donna. Mi tocco la guancia dove Marisa mi ha colpito. Ho l’impressione che ci abbia messo più energia del necessario quando urlavo il nome della mia amica. Marisa sta già rientrando con l’attrezzatura in mano e mi sorride. Forse non durerò a lungo a rimpiangere Fiamma.

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