Pagine

28 dicembre 2021

Prometheus il dono del fuoco di Roberto Mosi

Viene da chiedersi dove tragga ispirazione Roberto Mosi per regalarci un bellissimo poema di questo genere, proprio quando tutto sembra precipitare e sono tanti i segni di rivolta verso la scienza e la speranza di futuro.

Forse è proprio da questa necessità di tornare a riflettere e a dare alla scienza e alla speranza il peso che meritano, che ha indotto Roberto a tornare al mito che più di tutti incarna questa necessità. Prometeo, già nell’etimologia del nome (“colui che riflette prima”) ci indica il primo percorso del poeta. Attingere, attraverso la tragedia di Eschilo, al mito del dio che distrugge se stesso pur di donare all’uomo la scintilla del fuoco (e, di lì, dei progressi che con il calcolo e la scienza l’uomo stesso riuscirà a mettere in atto), è il modo con cui Mosi incarna nei bellissimi versi di cui è capace il messaggio più forte e necessario in questo tempo di pandemia. E svolge questo compito partendo dalla nuova realtà delle nostre città (“cerco nelle città/ spazi lontani /dove s’accende la fantasia dei colori…parlano lingue/ nuove, antiche…inseguono la vita…sono folla/ nei quartieri lontani”) e dalle profonde contraddizioni umane di questo nostro tempo (“crescono muri possenti/su terre concimate d’odio/alti, sempre più alti…quando a Gerico si darà fiato/al corno d’ariete delle trombe?”)

Dopo averci portato in giro per i luoghi più rappresentativi della nostra moderna conflittualità e angoscia (“Gerusalemme, Ai confini del Messico, il muro di Berlino, Melbourne –‘Vento di sabbia trascinata/ dal deserto soffia angosce/ su noi al centro della città’ – Rio de Janeiro – ‘Volti in bianco e nero/abitanti della favela…sguardi fissi su di noi’) il poeta ritorna al tema che l’ha spinto a darci una speranza (…L’epidemia ha foderato di silenzio/ i quartieri…giorni di speranza sorgeranno/ al suono di nuove poesie, alla luce di nuove scintille d’arte”).

E qui termina, nell’ode al Giullare (“…sbeffeggia beffardo greggi/ di turisti/il lusso delle vetrine/l’ipocrisia della gente”) la parte che potremmo definire propedeutica, quella insomma che, dalle contraddizioni e dalle sofferenze del mondo, oggi smarrito nella nuova pandemia, ricerca nel risveglio dell’arte e della sapienza la strada maestra per il futuro dell’umanità.

Ma Mosi non si accontenta di queste, pur esplicite, allusioni: egli sente il bisogno di ricordarci che l’arte, intesa come modo per sconfiggere le nostre paure e i nostri sentimenti di inadeguatezza, nasce, si potrebbe dire, con la stessa storia dell’homo sapiens. Infatti “Dalle origine dei tempi, rupi/ muri dipinti, immagini…evocano miti, leggende/sono modi di comunicare/conoscere, vincere la paura”.

Ed è bellissimo l’accostamento che mi sento di fare (Roberto mi perdonerà!) con l’ode a “l’infermiere in divisa bianca/ Scala la montagna, una palla/ di ferro al piede, la forma del Covid/ Una mano sulla cima, cedono le pietre/ precipita in basso, pronto a risalire”.

Reso omaggio alla follia, intesa come ricerca di nuovi orizzonti e confini umani, il poeta giunge finalmente a “La grande porta sul fiume”, in questo caso l’Arno, dove solo leggendoli si possono apprezzare i bei versi di Roberto che, dai “Prati della Zecca vecchia” ci indicano la porta “aperta sul mito della scienza” e ci disegnano un percorso “che raggiunge Arcetri per il dialogo con Galileo Galilei sul destino dei pianeti, delle stelle”

Nella seconda e ultima parte di questo godibilissimo libro, Mosi si scaglia apertamente, per mezzo di Prometeo, contro chi vorrebbe rinnegare l’arte e la scienza quale strumento di sopravvivenza e crescita umana: “Incontro Prometeo/ e il tempo del mio ieri/ nella città sull’Arno bagnata/ dall’arte e dalla scienza”.

E non ci può essere conclusione più netta ed esplicita (“Il dio, ladro del fuoco, porge/ad Antigone la fiamma della scienza…Luci sempre accese nei laboratori/si alza pietra per pietra la diga/dell’immunità contro il contagio/Prometeo ed Antigone illuminano/la via all’uomo per riprendere/a vivere, per riconquistare l’amore”).

Chiuso il libro, resta una forte gratitudine verso Roberto per aver trovato versi così belli che ci allievano l’animo in tempi necessari e ci spingono alla riflessione e allo studio della grande tradizione culturale e scientifica che dai classici ci porta fino ai nostri tempi e ci dona la speranza che l’uomo sappia ancora una volta sconfiggere il male.

Renato Campinoti

Nessun commento:

Posta un commento